La testimonianza di Gregorio
Cosa
dire? Come cominciare?
In fondo è facile! Basta infatti cominciare dal
giorno della mia ordinazione diaconale: 18 luglio 1992. E chi se la scorda più
quella data! Era sabato e nel pomeriggio un solenne pontificale in cattedrale a
Palermo veniva celebrato dal Card. Pappalardo per ordinare quattro nuovi
diaconi. Durante il rito commovente e sontuoso, tra canti polifonici, luci,
colori, venivo attratto dalla marea di gente che affollava la cattedrale
nonostante il caldo. Mi venne alla mente, dopo l’imposizione delle mani del
Vescovo e quindi la discesa dello Spirito Santo su di noi ordinanti, un altra
folla sempre dentro una chiesa. Qualche mese prima ero stato di nascosto, non
era possibile uscire dal seminario, ai funerali del giudice Falcone. Mi è
rimasta dentro l’atmosfera tesa della gente presente, la rabbia che cercava
disperatamente di venire fuori e che a tratti sempre più frequenti esplodeva
provocando crateri tra i massimi rappresentanti delle istituzioni: Un solo grido
rimbombava dentro e quasi strideva con il clima festante che stavo vivendo
durante l’ordinazione: ASSASSINI!!!
Tra la folla dell’ordinazione ho riconosciuto
alcuni tra i volti presenti al funerale di Falcone e i loro sguardi erano pieni
di speranza. Ci guardavano e guardandoci ci chiedevano di lavorare per la
giustizia, per la pace, per non contribuire al dilagare violento e inumano della
cultura della paura e della morte...
Finito il pontificale, la festa, gli auguri, i
regali. Il giorno dopo avevo partecipato alla mia prima messa da Diacono presso
la mia parrocchia e nel pomeriggio dopo una bella passeggiata con gli amici
tornai a casa ad aspettare altri amici. Durante l’attesa una terribile
notizia: Via D’Amelio...
Arrivarono gli amici e la festa diede spazio alle
lacrime. Sul terrazzo di casa mia eravamo incollati alla tv e le lacrime ci
scendevano da sole. Chi c’era quella sera se lo ricorda ancora il sapore amaro
di quelle lacrime. Lacrime di dolore e di rabbia, la stessa rabbia dei funerali
di Falcone. Il grido però diverso: ADESSO BASTA!!!
Senza metterci d’accordo siamo andati in città e
abbiamo incontrato altre mille persone ed altre mille voci che urlavano: ADESSO
BASTA! Sentivamo che bisognava fare qualcosa, che bisognava unirci di più,
sempre di più fino a diventare una cosa sola. Non dovevamo lasciare più sole
le persone che lottavano per estirpare questo male, non dovevamo permettere che
nessun figlio di puttana dovesse premere un altro grilletto. La morte non doveva
vincere! Ci abbiamo messo parecchio tempo per capirlo...troppo tempo. Abbiamo
fatto finta di non vedere; siamo stati capaci di dire: “finché si ammazzano
tra di loro...” In parole povere, mi sentivo colpevole anch’io: era
colpevole la mia indifferenza, il mio accettare che le cose “devono andare così”.
La mia stessa scelta vocazionale non c’entrava niente con la lotta alla
mafia... Adesso ero in crisi, dovevo riparare in qualche modo. Ero diacono,
ministro di Dio...ma per che cosa? Avevo fatto mille progetti sul mio ministero,
avevo pregato perché si realizzassero ed ora sembrava sparire tutto, tutto si
volatilizzava e lo spazio veniva invaso dalla morte e dalla mia colpevolezza. A
volte il Grande Architetto si serve delle vie più imprevedibili per comunicare
con noi. Era chiaro che mi stava chiamando per una missione impossibile:
contribuire a costruire il suo Regno. Non il mio regno ma il suo regno di amore.
Ma era chiaro solo per lui, io avevo bisogno di risposte certe e annaspavo nel
mio rimorso.
Le risposte arrivarono senza tardare molto: Don Pino
Puglisi qualche mese dopo quella tragica sera fece il diavolo a quattro con il
cardinale Pappalardo per avermi a Brancaccio. Tanto insistette che riuscì
nell’impresa. Ed eccomi gomito a gomito con lui. Tutti sanno che 3P (Padre
Pino Puglisi) era il parroco di questo quartiere dove non c’era niente. Dove
molta gente aveva fame! E’ vero siamo nel 2000 ed è difficile immaginare che
in Italia ci possa essere gente che soffre la fame. Ebbene a Brancaccio c’era
e c’è! Degrado in tutte le sue forme. Differenze di ceto sociale completavano
il quadro già disastrato: la media borghesia che si faceva gli affari propri, i
ricchi per lo più appartenenti a famiglie mafiose, gli “sfrattati”dal
centro storico che affollano i palazzi costruiti con i soldi della mafia ed
adibiti a edilizia popolare, e i miseri che abitano nella parte più povera del
quartiere fatta di case fatiscenti nelle quali si viveva in quattordici in una
sola stanza che fa camera da letto, bagno, cucina e soggiorno. La mafia (i
fratelli Graviano) regnava sovrana.
3P mi coinvolse nel seminare il Regno di Dio. Pace,
giustizia, amore, legalità: erano le parole d’ordine. Una cultura alternativa
e liberante, questo era l’obiettivo. Dovetti fare una fatica del diavolo per
liberarmi io da preconcetti mafiosi ma fu un percorso guidato da 3P. 2000 anni
fa un certo Gesù di Nazareth disse che la verità ci farà liberi. Imparai che
questa verità non è così lontana: è dentro di noi. Sembra uno slogan, una
frase fatta ma invece è così. Troppi filtri ci impediscono di leggere questa
verità, ma quando con fatica, con risolutezza riesci a togliere il primo
filtro, poi l’altro e cominci ad intravedere la luce, la tua vita cambia, la
tua anima cambia. Capisci che lo scopo della tua vita non è quello di salvare
la tua anima o la tua stessa vita ma di perderla per amore. “Chi vorrà salvare la propria vita la perdera ma chi vorrà perdere la
propria vita a causa mia la salverà!”
Liberi potevamo liberare; amati potevamo amare.
Rappacificati con il nostro stesso essere, e tornati al centro di noi stessi,
potevamo parlare di pace. Questo era 3P e questo cercavo di essere io. Mi hanno
sempre detto che io sorrido sempre. E’ vero e questo sorriso per me è la
naturale dimostrazione di ciò che ho imparato. Paolo, Giovanni io non li ho
conosciti se non di fama ma l’immagine che ho di loro è un’immagine
sorridente, non riesco ad immaginarli diversamente. Non credo che io sia
influenzato dalla fotografia ormai arci nota del mio amico Tony Gentile che li
ritrae insieme sorridenti. E’ che proprio dovevano essere così e del resto
chi è libero e vero non può che sorridere. Una volta ho detto che questo
sorriso sconvolge chi si crede potente. E’ un sorriso che deve fare paura a
chi invece non sorride mai. Anzi,mentre il sorriso di Giovanni, di Paolo di 3P
è vero, quelli dei boss (ammesso che riescano a sorridere) deve essere amaro,
finto, sporco di sangue. Il sorriso vero suscita rabbia, dolore, invidia; è un
sorriso che prende per il naso chi crede che tutto si può ottenere facendo
paura, sparando, uccidendo; si sentono presi in giro e fanno di tutto per
spegnere la luce che questo sorriso porta in giro ad illuminare le nostre città,
le nostre borgate, le nostre stesse vite.
E sorridendo 3P è morto! Non ha smesso di sorridere neanche davanti al suo balordo carnefice. Ho sentito molti che dicevano che bisogna essere senza scrupoli per uccidere un uomo che sorridendo ti dice in faccia “Me l’aspettavo!”. Si, probabilmente è vero, il commando omicida doveva essere senza scrupoli ma penso che sia stato proprio quel sorriso a far scattare ancora più rabbia e sparare a bruciapelo. Vigliacchi! Avevate paura ed avete usato il silenziatore per non essere sentiti, ma nonostante tutto avete fatto casino! Il rumore di quello sparo lo abbiamo sentito in tanti. Quella sera forse tutti ormai abbiamo visto il vostro volto e posso assicurarvi che l’eco non si è ancora spenta. Come il boato di Capaci, di Via D’Amelio, di Via Pipitone Federico, quelli delle guerre che qualcuno ha il coraggio di spacciare per giuste. Sono suoni di morte che rimbombano nelle nostre vite ma che non ci fanno paura. Sono boati che i nostri figli spegneranno se noi avremo il coraggio di farglieli sentire e combattere. Se daremo loro in consegna durante la nostra vita il nostro sorriso e la voglia di essere liberi.