La Playmate del mese

D'Angelico Excel, 1934

Nella storia della chitarra americana del Novecento, ricca di personaggi e modelli leggendari, il nome di John D’Angelico sta tra realtà e mito, circondato da un alone di fama, religiosa adorazione e mistero. Mistero, va detto, legato più alla rarità degli strumenti e alle loro ormai stellari quotazioni, che non alla figura del liutaio newyorchese: D’Angelico, nato nella Grande Mela nel 1905 da una famiglia di emigranti napoletani, era in realtà una persona di grande semplicità, cresciuto tra italianissimi violini e mandolini nel laboratorio del prozìo Ciani, a sua volta liutaio. Quando, ventisettenne, decise di aprire un proprio negozio al numero 40 di Kenmare Street, indirizzò la sua produzione verso gli strumenti che in quegli anni avevano segnato una vera svolta nella storia della chitarra acustica: le archtop con le buche ad effe, tra le quali la Gibson L5 era la regina incontrastata.

Proprio a questo modello, concepito da Lloyd Loar nel 1923, John D’Angelico si ispirò nella realizzazione delle sue prime chitarre, passando successivamente a definire una propria linea di modelli (Style A, Style B, Excel, e, dal 1936, New Yorker), i cui dettagli venivano tuttavia adattati alle speciali indicazioni del committente.

Tutte le 1164 chitarre D’Angelico realizzate tra il ’32 e il ’64, anno della sua morte, erano dunque costruite interamente a mano e prevalentemente su ordinazione, con legni delle più pregiate qualità (abete per top e catene, acero fiammato per fasce, fondo, e manico, ebano per le tastiere), secondo la più tradizionale tecnica dell’intaglio a mano del corpo, culminante con la graduale intonazione delle varie parti prima e dopo l’assemblaggio mediante interventi sullo spessore di tavola, fondo e catene. Erano sempre concepite come chitarre acustiche, anche quando l’installazione di pickup sospesi DeArmond, a partire dagli anni ’50, le trasformava in strumenti elettrici: D’Angelico non si curava granchè di questo aspetto, limitandosi ad ‘accomodare’ alcuni dettagli (come lo spazio tra le catene), quando il cliente richiedeva l’installazione di un pickup sul top.

Le straordinarie qualità sonore delle D’Angelico procurarono già in vita grande fama al liutaio newyorchese, le cui opere erano richiestissime dai maggiori jazzisti del tempo. Una fama trasformatasi dopo la morte in leggenda, dimensione quasi paradossale per un uomo umile ma consapevole del proprio valore, che con canottiera, occhiali e grembiule da macellaio costruiva a furor di pialla e tampone capolavori di magica bellezza.

 

La Excel, prima dell’introduzione della più grande New Yorker, era il modello di punta della produzione di D’Angelico: la cassa aveva una larghezza di poco superiore alla L5 del tempo, tra i 16 e i 17 pollici (successivamente 17 pollici divenne la misura standard), e una profondità sensibilmente inferiore. La ricchezza della decorazione e dei materiali la ponevano in diretta concorrenza col modello della Gibson: il truss rod regolabile era ancora protetto dal brevetto, e nelle D’Angelico del tempo troviamo quindi una barra di rinforzo fissa all’interno del manico, peraltro estremamente efficace, se si considera che a parecchi decenni di distanza sono poche le chitarre del liutaio newyorchese ad avere richiesto un nuovo ‘neck set’.

 

   

Lo strumento che vi presentiamo su queste pagine è tra le primissime Excel mai realizzate, e sicuramente quella col numero di serie più basso (1078). Solo di recente è venuta alla luce una Excel certamente più antica, e tuttavia priva del numero di serie, che i navigatori cibernetici potranno osservare sul sito www.seriousacoustics.com . E’ stata completata tra il Luglio e il Novembre del 1934, e come tutte le prime chitarre dello stesso modello porta il nome ‘Exel’, invece di Excel, intarsiato in madreperla sulla paletta dalla classica forma ‘broken scroll’, coronata dalla ‘cupola’ decorativa. Il manico è costituito da due parti in acero fiammato, separate da un sottile nucleo laminato in tre pezzi (mogano, acero, mogano). Le meccaniche sono le vecchie Grover Sta-Tites col bottone ‘butterbean’, al tempo adottate anche dalla L5, ma altri esempi dello stesso periodo sono equipaggiati con le Waverly dal bottone ovale. La tastiera in ebano ha gli intarsi in madreperla decorati da figure geometriche incise, e termina con una decorazione appuntita (caratteristica ereditata dalle L5 pre-1929). La tavola in abete dalla finissima grana è rinforzata da catene pressochè parallele (l’incatenatura ad X sarebbe stata adottata solo negli anni successivi). Le effe hanno la elegante forma rettilinea caratteristica dei primi anni della Excel e una semplice filettatura bianca, e contribuiscono in modo determinante, insieme alle misurate proporzioni della paletta, alla stupenda finitura sunburst, e alle curve del corpo, a conferire allo strumento una forma straordinariamente bilanciata e aggraziata.

Il ponticello regolabile è in ebano, con la selletta lavorata ma non rigidamente sagomata, e la base più stretta sotto le corde acute e più larga sotto i bassi. Il fondo è in due pezzi di acero mediamente fiammato, e all’interno porta impresso ad inchiostro il numero di serie. In acero fiammato anche le fasce, incurvate a caldo. Il binding multiplo che contorna top e fondo rivela qua e là qualche imprecisione, inevitabile se si tiene conto che le singole strisce di celluloide venivano incollate una per volta: un dettaglio che ci suggerisce forse quanto l’elemento decorativo per John D’Angelico fosse senz’altro secondario rispetto alle qualità musicali dello strumento. Proprio in questa direzione il liutaio andò lentamente perfezionandosi negli anni più ‘maturi’ della sua carriera, quando al suo fianco arrivò un giovane apprendista, anche lui italo-americano, che si chiamava James D’Aquisto…. Ma qui comincia un’altra storia.

Ciò che sorprende, suonando la Exel, è il grande bilanciamento delle sonorità: paragonata alle concorrenti del tempo, non avendo il volume di una Super 400 con incatenatura ad X, può ricordare la L5 da 16 pollici per il tono scuro, arricchito da un morbidezza e una rotondità senza eguali. Doti queste, che ne fanno qualcosa in più che un freddo oggetto di culto: probabilmente non la portereste con voi alla spiaggia per un falò notturno o al pub per la suonata del fine settimana… Ma in sala di registrazione, davanti al microfono, o al buio di una stanza, quando le note si trasformano in emozioni e le emozioni in note, la Exel D’Angelico numero 1078 può rivelarsi una ispiratrice misteriosamente fedele e complice.

IL RESTAURO: I lunghi anni di musica avevano lasciato qualche traccia sulla mia D'Angelico: oltre alle normali 'plettrate' e agli altri segni del tempo, una riparazione male eseguita andava in qualche modo rivista. Sulla parte inferiore del fondo, per compensare la separazione di quest'ultimo dal binding e il distacco della controfascia interna, era stata malamente inserita una striscia di legno, poi verniciata in nero, che occorreva rimuovere. Il liutaio Salvatore Mancuso, con inarrivabile pazienza (soprattutto nel sopportare le mie preoccupazioni) e grande perizia è riuscito a rimuovere il 'corpo estraneo', ripristinando l'incollaggio delle parti interessate, senza alterare alcunchè.

Una serie di piccoli interventi di 'chirurgia estetica' ricostruttiva, tra cui la reintegrazione di parti degli intarsi in madreperla e la rifinitura del retro della paletta seriamente compromesso,  ha completato il lavoro di Mancuso, ed alla fine il risultato è stato più che soddisfacente, soprattutto per essere riusciti a conservare l'originalità della finitura dello strumento, a parte la paletta: quest'ultima, tuttavia, continuava a perdere scaglie di vernice, ed un solo lavoro di 'overspray' (pur se tentato con insoddisfacenti risultati) non poteva garantire un sufficiente compromesso tra risultato tecnico ed estetica.