profili
JOHN
LEE HOOKER Tribute
"
Quando ho gli spettatori in pugno, me li trascino dietro, sempre più
in alto, più in alto, finchè ho piena padronanza su di loro (...)
leggo nelle loro menti, e siccome so che con il boogie posso ottenere
uno strepitoso e sicuro risultato, lo lascio per ultimo.... mi
chiamano il Re del Boogie "
Tempi
duri per i Re. A San Francisco è morto John Lee Hooker, tra gli
ultimi testimoni - e sicuramente il più grande - di un'epoca
dimenticata, in cui l'America Nera lasciava il Sud, le piantagioni e
gli strumenti acustici per andare incontro ad un futuro incerto e
duro, fatto di metropoli, ghetti e musica elettrica. Nato nel 1917 in
una piantagione poco distante da Clarksdale, Mississippi, cuore del
Delta, John Lee aveva appreso l'abc del blues dal suo patrigno Will
Moore, a casa del quale aveva visto passare alcuni tra i grandi
bluesmen dell'epoca: Charlie Patton, Blind Blake, Blind Lemon
Jefferson. Lasciato il Mississippi alla fine degli anni '30, dopo un
breve soggiorno a Memphis e Cincinnati si era stabilito infine a
Detroit, trovando lavoro nell'industria automobilistica. Iniziò così
la sua carriera musicale suonando prevalentemente in strada, in locali
privati e in qualche club.
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La
scena musicale della Motor City, pur se meno vivace
della vicina Chicago, era di sicuro stimolo per il giovane
chitarrista di Clarksdale: negli anni precedenti la Seconda
Guerra Mondiale il blues urbano viveva una fase particolare,
avendo ormai assunto forme e stilemi piuttosto distanti dalle
matrici rurali. I combos che si esibivano nei club
cittadini eseguivano una musica non priva di raffinatezza
stilistica e dai canoni formali ben definiti, che verso la metà
degli anni '40 sconfinavano non di rado nel manierismo. Se i
pilastri della musica di Chicago si chiamavano Big Bill
Broonzy, John Lee SonnyBoy Williamson, Jazz Gillum,
Washboard Sam, Detroit era il territorio del gigante
del piano-blues anteguerra, Big Maceo Merriweather. La musica
si imperniava sulle canoniche 12 battute, e trovava la propria
audience in una comunità nera già fortemente
urbanizzata, che tra i propri eroi annoverava non soltanto
bluesmen, ma anche i popolari band-leaders dell'era
dello swing.
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Quello che accadde
a Detroit alla fine degli anni '40 non è dissimile da ciò
che avvenne a Chicago negli stessi anni: una nuova e massiccia
ondata migratoria (di cui John Lee era parte) si riversò
dagli stati del Sud rurale nei ghetti delle città industriali
del Nord, accompagnata dal classico fardello di speranze e
memorie, di stili di vita e di cultura - anche e soprattutto
musicale.
L'impatto del 'Nuovo
Primitivismo' musicale di brani come 'I
Can't Be Satisfied' di Muddy Waters e di 'Boogie
Chillen' di Hooker fu incredibile: le nuove generazioni
da poco giunte dal Sud ritrovarono nell'approccio al blues
assolutamente Delta , ma rafforzato dall'uso degli
strumenti elettrici, un linguaggio che riuniva in sè le
memorie del passato e la durezza quotidiana del presente,
facendo della 'musica del ghetto' uno specchio della realtà
sociale ed emotiva assai più attuale e nitido del vecchio e
stanco blues urbano anteguerra.
John Lee Hooker aveva inciso
nel '48 il suo hit per un produttore chiamato Bernard Besman,
negli United Sound Studios di Detroit, e il disco era
stato distribuito dalla Sensation Records, che ne aveva
poi ceduto i diritti alla Modern di Los Angeles: il
successo fu immediato, col primo posto nella classifica
R&B raggiunto nel Febbraio '49. E' interessante notare che
il boogie di Hooker scalzò dal top della classifica 'Bewildered'
del pianista Amos Milburn, il cui stile sofisiticato era
quanto di più diverso si potesse immaginare rispetto al rozzo
stile di Hooker...
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foto
M. Lotta,
'Clickin'
The Blues',
Pistoia 88
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L'inaspettata
folgorante ascesa di Boogie
Chillen spinse
John Lee verso numerose nuove sessions per le più disparate
etichette, districandosi tra i meandri di contratti e copyright con
l'adozione di nomi d'arte a dir poco avventurosi, tra i quali ci piace
segnalare The Boogie Man, Texas Slim, Little Pork Chops, Birmingham
Sam & His Magic Guitar, per finire con John Lee Cooker e
John Lee Booker! Per dirla con lo stesso artista: "...
i soldi sono una cosa eccitante, sai?
". Ciò nulla toglie alla grandezza delle registrazioni di quegli
anni, realizzate per lo più in solitudine con voce e chitarra o con
l'accompagnamento di Eddie Kirkland, chitarrista quasi altrettanto
anarchico di Hooker e quindi in grado di compiere il miracolo di
riuscire a comprenderne al volo tempi e mosse. Tra i numerosi titoli,
ricordiamo capolavori assoluti quali I'm
In The Mood, Hobo
Blues, When
My First Wife Quit Me,
e Mad Man Blues,
frutto quest'ultimo di una delle sessions prodotte dalla Chess
di Chicago tra il 1950 e il '54. Ma tra i cavalli di battaglia,
soprattutto live, impossibile non citare Boom
Boom e One
Scotch, One Bourbon, One Beer.
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Rispetto ai
contemporanei successi di Muddy Waters, che seguivano col
passare del tempo una traccia evolutiva precisa nella direzione
della trasformazione del country blues elettrificato in un
potente sound di insieme, arricchito da un gruppo di musicisti
straordinariamente affiatati, i successi di John Lee Hooker
conservavano una fortissima impronta rurale.
Voce forte,
profonda, una delle più riconoscibili e coinvolgenti della
storia del blues. Chitarra scarna, usata in modo prevalentemente
ritmico ma con improvvise impennate inquietanti (mean licks,
li definiva Hooker), su blues e boogies tenuti su un accordo a
lungo, per risolversi inaspettatamente in passaggi assolutamente
irregolari ma legati a doppio filo al ritmo incalzante, scandito
dal battere del piede sulle tavole del palco.
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Blues dai temi mai
ovvi, cantati con intensa partecipazione e con toni che
andavano dal colloquiale al drammatico, ma sempre con assoluta
naturalezza. Le strofe mugugnate a labbra chiuse. Le rime,
preannunciate da un verso, e tradite a sorpresa da quello
successivo, altro tratto caratteristico di Hook, che
andava assai fiero di questo e di altri aspetti unici della
propria musica. L'incredibile carisma ne fece prima un idolo
delle nuove generazioni pre-beat del folk-revival, e lo
innalzò al ruolo di nume tutelare dell'ondata di blues bianco
partita dall'Inghilterra negli anni '60. I dischi con i Canned
Heat portarono il nome di John Lee Hooker oltre i confini
dei cultori del Blues tradizionale, aprendogli anche porte che
per altri bluesmen - anche più 'convenzionali' o 'moderni' di
lui - sarebbero rimaste sempre chiuse.
L'aspetto più interessante
di tutto questo è che, in qualsiasi conteso si trovasse,
Hooker suonava allo stesso modo. Da solo, col gruppo, in duo,
era lui il leader assoluto. A lui - che andava dritto per la
sua strada ogni volta diversa - si doveva guardare per seguire
le dinamiche delle canzoni, i passaggi di accordo, il groove.
Qualcosa in lui gli permetteva di trovarsi a suo agio in ogni
situazione musicale. Che al suo fianco ci fossero Santana,
Eddie Kirkland o Miles Davis, poco importava. Si stava
suonando la SUA musica, questo è certo. E la sua musica era la
radice.
Nino
Fazio
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foto
M. Lotta, 'Clickin'
The Blues',
Pistoia 88
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John
Lee e le sue fans.... Non avreste avuto anche voi i
Blues?
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questa
immagine e le frasi virgolettate di Hooker sono tratte da BLUES
di Neff&Connor, Priuli e Verlucca Editore
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