La Playmate del mese

 

NATIONAL STYLE 0, 1933
NATIONAL TRIOLIAN, 1932

Per il nostro angolo del vintage di questo mese faremo un bel salto indietro nel tempo fino ai ruggenti anni ’20. La diffusione della musica attraverso i dischi e i primi grammofoni ne aveva affermato in modo progressivo ma radicale la caratteristica di “arte di massa”, in grado di coinvolgere un pubblico sempre più vasto ed eterogeneo, che non aveva più bisogno di recarsi al teatro per ascoltare gli artisti, né di aspettare nelle piazze l’arrivo degli spettacoli itineranti. Più musica, e soprattutto più musica per tutti.

E proprio attorno a questo fenomeno un’America forte di un ottimismo non ancora frenato dallo spettro della Depressione si apriva all’ascolto e alla creazione di nuovi linguaggi musicali, in cui una forte componente era rappresentata dalla matrice popolare (nera e bianca), scatenandosi alla ricerca di innovazioni tecnologiche che potessero produrre nuovi strumenti e nuovi sistemi di diffusione al passo con le aspettative del pubblico e con le nuove esigenze espressive degli artisti.

All’inizio della nostra storia troviamo proprio un giovane musicista di vaudeville nato in Texas nei primi anni del secolo scorso, George Beauchamp. Forte bevitore e abile suonatore di chitarra hawaiiana, Beauchamp era anche una mente creativa con una spiccata tendenza a cogliere le necessità degli altri musicisti che con lui dividevano gli entusiasmi e le frustrazioni di quella nuova era in cui gli strumenti a corda faticavano ad emergere in contesto orchestrale. Il suo chiodo fisso era quello di creare una chitarra che fosse in grado di raggiungere senza difficoltà gli ascoltatori e i microfoni per le registrazioni anche nelle situazioni più “affollate”. Sì, il banjo ci riusciva, e aveva vissuto una lunga stagione di popolarità fino alla metà degli anni ‘20, ma non possedeva la ricchezza timbrica della chitarra ed era ormai in declino nei gusti dei musicisti americani. 
Fu così che Beauchamp decise di rivolgersi ai fratelli John e Rudy Dopyera, due emigrati cecoslovacchi che nel loro laboratorio tra la 50ma e Broadway a Los Angeles fabbricavano banjo ai quali avevano apportato numerose modifiche migliorative. Il primo tentativo di produrre una chitarra hawaiiana amplificata risultò in una sorta di strano oggetto in noce dal quale fuoriusciva la tromba di un grammofono… La strada era ancora lunga: seguirono mesi e mesi di sperimentazione, nei quali vennero realizzati diversi prototipi e impiegati i materiali più disparati, per approdare infine al primo brevetto della chitarra a tre coni richiesto da John Dopyera nell’Ottobre del 1926, seguito dopo breve tempo da altri progetti che si avvicinavano sempre più alla forma definitiva delle chitarre resofoniche che tutti conosciamo.  La chitarra a singolo cono venne invece brevettata da Beauchamp nel ’29. 

La soluzione in entrambi i casi era rappresentata dalla trasmissione delle vibrazione delle corde, attraverso il ponte posto su un disco in legno chiamato “biscuit” (a forma di galletta, appunto), ad un cono in alluminio del quale il biscuit era alla sommità, rivolto verso il fondo della chitarra. Il cono, vibrando esattamente come il woofer di un altoparlante, amplificava il suono. Il corpo stesso dello strumento era in metallo, per esaltare il volume e la definizione.

E così nel lontano 1927 nacque la National String Instrument Corporation, che vedeva associati Beauchamp e Dopyera con Paul Barth e Ted Kleinmeyer. Il boom commerciale fu immediato, grazie all’esplosione di popolarità di cui godeva la musica hawaiiana, i cui protagonisti (Sol Hoopii su tutti) trassero dal volume e sustain delle National i suoni per cui sono ancora oggi ricordati. La storia dei dissapori interni alla Compagnia, che portarono nel ’29 alla nascita della Dobro (DOpyera BROthers), è nota e non ci soffermeremo oltre sull’argomento. Ci interessa maggiormente approfondire gli aspetti musicali di questa storia.

 

Un sostegno inatteso alla diffusione delle chitarre resofoniche giunse dall’altra America, non quella delle sale da ballo e delle atmosfere sognanti della musica hawaiiana, non quella dell’entusiasmo per bolla di sapone dell’illusorio sviluppo economico, di Hollywood e delle spiagge di Waikiki. La National divenne la voce dell’America che viaggiava negli spazi posteriori dei Greyhound e sui treni merci, che si ritrovava al Sabato nei juke joints a bere pessimo whisky e mangiare panini col pesce fritto dopo una settimana passata a raccogliere cotone. L’America Nera, l’America del Blues.
Certo, il bluesman non poteva permettersi le National più elaborate come le Style 3 o Style 4, a tre coni e con raffinate incisioni. Ma gli strumenti più economici a singolo cono come i Duolian o i Triolian erano sufficientemente a buon mercato per poter percorrere le strade del Delta e sufficientemente potenti per “tagliare” la folla e il baccano delle bettole o il frastuono della strada. Son House, Bukka White e molti altri ancora scrissero le più leggendarie pagine della Musica del Diavolo facendo scivolare il proprio slide sulle corde di un Duolian, creando un suono che ancora oggi è leggenda, ma altri artisti neri lontani dal Delta come Blind Boy Fuller riuscirono a raggiungere la notorietà suonando anche blues più elaborati e ragtime sulle chitarre resofoniche. Molti di questi, per la maggior parte del tempo, suonavano direttamente nella strada, agli angoli dei palazzi o nei mercati all’aperto, oltre alle serate di fine-settimana nei juke joints. E in queste situazioni rumorose le National davano il meglio di sé, in un’era in cui le chitarre elettriche non esistevano ancora.

In queste pagine vedete due National degli anni ’30. Se entrambe adottano lo stesso sistema a singolo cono, si differenziano per il materiale con cui sono realizzate, che poi influisce non poco sulle qualità timbriche. La Triolian del 1932 ha il corpo in acciaio verniciato, e sul fondo presenta dei disegni aerografati di ispirazione hawaiiana. La Style 0 del 1933 è invece in ottone nichelato, e i disegni sono più elaborati e realizzati con la tecnica della sabbiatura. L’attacco delle note è più accentuato sulla Triolian, e il suono complessivo è più brillante e aspro. La Style 0, una via di mezzo tra le resofoniche più economiche in acciaio e le raffinate chitarre a tre coni (tutte in ottone nichelato), ha invece un suono più “cantato”, con minore attacco e maggiore sustain. Entrambe producono un volume sensibilmente più alto rispetto ad una chitarra “normale”, e perfino per noi –  oggi perennemente storditi dal volume di Les Paul e Marshall - non è difficile immaginare la sensazione che tali strumenti debbono avere creato al momento della loro introduzione  sul mercato.I

 

 

La mancanza di truss rod (da poco brevettato dalla Gibson) portava i costruttori a realizzare dei manici imponenti, e chi desidera avventurarsi in territori extra-slide con questi strumenti forse incontrerà all’inizio qualche difficoltà, anche per le tastiere un po’ piatte e con tasti molto sottili. Inoltre c’è da dire che è sempre più raro trovare vecchie chitarre resofoniche che non abbiano problemi di manico incurvato per la tensione delle grosse corde utilizzate negli anni ’20 e ’30. Ma se si sceglie con attenzione, questi strumenti rivelano una voce unica, che parla inconfondibilmente di blues e di antico, e che – per qualche alchimia a me ignota – non si ritrova sulle nuove curatissime versioni che sono oggi in produzione. Suggestione? Forse, ma quante storie e quanti locali, quanto alcool e quanto fumo, quante emozioni, quante risate e quante lacrime hanno lasciato la loro impronta nella storia, nella vita e nella voce forte e sincera di queste vecchie chitarre? 

Nino Fazio

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