Titolo
Reflessologia Zu
Morfologia
Autore
A. E. Baldassarre
Pagine: 148


INDICE
(click sui capitoli)

- Morfologia Riflessa Zu
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L'alluce
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Le Dita
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Parte alta
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Parte centrale
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Parte bassa
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Alterazioni morfologiche..
- Sudorazione e odore
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Sintesi

Elenco libri

 

 

 

 

PARTE BASSA

Organi genitali esterni

Sotto il malleolo tibiale, sopra l’area riflessa dell’utero-prostata, è situata la zona corrispondente pene/vagina, colorata in verde. Da un punto di vista morfologico, quest’area può apparire leggermente gonfia, solitamente a causa di un processo infiammatorio esterno del pene o della vagina.

Questa situazione è maggiormente riscontrabile nelle donne anziché negli uomini, ci indica un’infiammazione della parte più esterna della vagina, i sintomi più comuni sono: prurito, secchezza, gonfiore. Gli organi genitali esterni sono sotto il controllo del fegato, il quale controlla a sua volta la circolazione sanguigna periferica.  

Gonfiore area riflessa della vagina

 

Utero/prostata

A metà strada tra il malleolo interno e la tuberosità inferiore interna del calcagno è situata l’area riflessa dell’utero-prostata che, nell’interpretazione morfologica psicosomatica attraverso i piedi, è in grado di darci notevoli quantità di indicazioni, che si differenziano a seconda che il soggetto sia maschio o femmina. La differenza fondamentale a livello archetipo nel rapporto utero/prostata è che la donna si è sempre identificata con il concetto di maternità, di fecondazione, di riproduzione intesa nel senso della continuità della specie. Questo aspetto ci spiega il riferimento come la madre terra o la mucca sacra dispensatrice dell’alimento latte.

Area riflessa utero/prostata

Uno degli elementi che caratterizza a livello fisico la differenza tra l’uomo e la donna è appunto l’apparato della riproduzione. In maniera più o meno cosciente, la donna tende a identificarsi, a livello archetipo, con l’utero. Sono indicative le frasi usate dal femminismo militante: "L’utero è mio e me lo gestisco io!" o "La donna è mobile..." dal Rigoletto di Verdi o la donna è lunatica. Frasi che nella simbologia del linguaggio si associano al principio della donna-luna, mese lunare di 28 giorni, ciclo mestruale di 28 giorni, da contrapporsi all’uomo-sole, riferimento fisso, costante. L’uomo non si è mai identificato con la sua prostata, non gli è mai venuto in mente di andare alle manifestazioni gridando: "La prostata è mia e me la gestisco io!" L’uomo si è sempre identificato con il concetto di capo, inteso come testa, pensiero, autorità, colui che dirige. Per la donna l’utero rappresenta un’importantissima fonte di somatizzazione, e prova ne è il riscontro morfologico nell’area riflessa.

Un uomo al quale venga asportata la prostata non avrà nell’area riflessa corrispondente, una piccola depressione corrispondente a vuoto, mancanza; invece una donna che subisce un’isterectomia, (asportazione dell’utero), o solamente la cauterizzazione di una piaghetta, oppure un aborto volontario o involontario, o qualsiasi altro tipo di intervento chirurgico all’utero, avrà delle manifestazioni riflesse sul piede a seconda di quanto il problema abbia influito sulla sua psiche. Dopo un’isterectomia, appare sempre una fossetta ben evidente nell’area riflessa dell’utero. Se tendiamo la pelle circostante fino a farla scomparire, la rivedremo apparire non appena lasceremo ridistendere la pelle. Nei casi di piccoli interventi sull’utero la fossetta sarà probabilmente di dimensioni inferiori. Mi è capitato d’incontrare donne con le manifestazioni reflessologiche morfologiche caratteristiche di un’isterectomia, ma che in realtà dichiaravano di aver subito solo un aborto. Così come ho incontrato casi completamente opposti: persone che avevano subito un’isterectomia ma la cui fossetta era molto superficiale.

Questi esempi ci spiegano come la comparsa dell’alterazione sia legata più al vissuto emotivo dell’individuo che non al danno organico. La catalogazione di centinaia di casi ha dato questo tipo di responso preciso e logico in cui rientrano manifestazioni di diverso tipo. Quindi in presenza di una fossetta nell’area riflessa dell’utero prenderemo in considerazione:

            a) l’ampiezza

            b) la profondità

            c) la forma dei bordi

a)         L’ampiezza ci da indicazione dell’importanza dell’intervento: isterectomia, raschiamento susseguente a emorragia, asportazione di un fibroma, comunque una dimensione sicuramente più fisica.

b)         La profondità della fossetta ci dà la misura della sofferenza fisica che la donna ha provato con l’intervento subito.

c.       Il bordo della fossetta, simile a un cratere, che può essere collinare o spigoloso, ci dà la misura di quanto sia stata intensa la sofferenza psicologica. Il bordo tagliente ci indica che la sofferenza psicologica è stata sicuramente notevole.

Fossetta ampia

Fossetta profonda

Fossetta con bordi arrotondati

Fossetta con bordi spigolosi  

Vissuti

Fin dagli inizi dei miei studi reflessologici ho sempre fatto accomodare i pazienti su un lettino alto tanto quanto una sedia: io stavo su un tappeto con le gambe incrociate, seduto sui talloni, con un ginocchio a terra o in qualunque altra posizione ritenessi opportuno per avere l’inclinazione idonea delle dita delle mani rispetto ai piedi, in rapporto alle aree riflesse che stavo trattando. Alle persone anziane, a chi ha mal di schiena o altre limitazioni motorie, il lettino basso riduce il disagio di sdraiarsi.

Il lettino che uso tutt’ora è più lungo e più largo dei così detti lettini d’ambulatorio. Quando lavoravo in ospedale era imbarazzante per il paziente, ma anche per me, vedere debordare dal lettino una parte del proprio corpo e non sapere dove appoggiare le mani, o pazienti di un’altezza, anche poco sopra la media attuale, con le gambe penzoloni. Purtroppo si continua a costruire lettini da visita con misure antropometriche anteguerra, per questo decisi di costruirmi un lettino decisamente fuori misura, sia in larghezza che in lunghezza.

A lato avevo una grossa lente d’ingrandimento, innestata su un braccio pieghevole, con una luce incorporata che tenevo sempre accesa: mi serviva per evidenziare i particolari che vado descrivendovi e che sono stati la base dei miei studi che hanno portato alla nascita della Reflessologia Zu.

Ora vi racconto alcuni eventi che hanno segnato la mia vita di reflessologo diagnosta.

Venne da me una ragazza molto giovane, non ricordo più per quale motivo, sono trascorsi quasi venti anni, ed ero così preso dal mio lavoro di ricerca, da trascurare la motivazione per la quale fosse venuta. Ricordo lo stupore stampato sul suo volto, l’imbarazzo e la paura di essere stata scoperta, quando le chiesi di confermare quello che il piede indicava come manifestazione riflessa di un evento traumatico, riferibile ad un aborto.

Il suo fu un sì profondamente imbarazzato e stupefatto. Inaspettatamente le avevo riaperto una ferita che faticosamente tentava di tenere chiusa, e non si sarebbe mai aspettata che una persona guardandole i piedi gli facesse riemergere un vissuto così doloroso. Volle sapere come fossi riuscito a scoprire, attraverso i piedi, una sofferenza così profonda e intima di cui nessuno, al di fuori del suo ginecologo era a conoscenza.

Sull’area riflessa dell’utero appariva una fossetta di piccola entità con i bordi nettamente acuti, indice di un intervento chirurgico sull’utero di lieve entità fisica, ma di grande sofferenza emozionale. Mi raccontò che, durante un rapporto sessuale con il suo fidanzato, aveva vissuto nettamente l’emozione di essere rimasta incinta. Trepidante, e con la speranza che ciò fosse solo una sua sensazione, attese l’arrivo delle mestruazioni: dopo due giorni di ritardo fece un test di gravidanza che risultò positivo.

Il terzo giorno interruppe la gravidanza attraverso l’aspirazione dell’embrione.

Date le minime dimensioni del feto, non soffrì assolutamente di questo microintervento chirurgico ma, l’entità dell’azione chirurgica non era risultata altrettanto lieve per il suo trauma psichico, per cui sul piede appariva una fossetta con i bordi molto ben definiti e taglienti. Le spiegai che l’utero è per la donna una forma di archetipo identificativo, per cui tutte le manifestazioni inerenti alla nascita sono riscontrabili anche nell’area riflessa dell’utero. Ancora oggi, a rileggere quanto scritto, mi emoziono e soffro per il dolore infertole.

Preso dal sacro fuoco della ricerca, che oggi posso definire una mia stoltezza giovanile, non tanto per l’attitudine alla ricerca, che se non fosse stata tale non sarei quì a raccontarvi queste cose, ma per la totale mancanza di tatto nell’evidenziare eventi di cui avevo il bisogno di conferma, ma che i pazienti avrebbero fatto volentieri a meno di ricordare, tanto più che in quel tempo non erano ancora così determinanti per la terapia.

In un’altra occasione, feci una rilevazione simile ad un’anziana signora più che settantenne: questa fece un sobbalzo sul lettino, tremolante negò un evento del genere, scambiandosi occhiate d’imbarazzo con la sorella presente, anche lei più che settantenne. Mi scusai, spiegando che mi trovavo in una fase di studio e di ricerca, per cui la mia non era un’asserzione ma una domanda per confermare o meno le osservazioni delle mie ricerche.

La settimana successiva l’anziana signora tornò per la terapia, da sola, e mi chiese scusa per avermi detto una bugia la volta precedente quando ci eravamo visti. Erano due sorelle che erano sempre vissute insieme e non si erano mai sposate. Effettivamente cinquant’anni prima, all’età di ventiquattro anni, lei aveva avuto un rapporto sessuale con conseguente aborto, ma nessuno ne era venuto a conoscenza. Immaginate quindi il suo disagio di sentirsi scoperta, a distanza di cinquant’anni.

Una persona che va da un reflessologo per un mal di schiena, considerato che allora non si sapeva nemmeno cosa fosse un reflessologo, e si sente chiedere, in presenza della sorella con la quale viveva da una vita: "Signora lei ha avuto un piccolo intervento sull’utero? Un aborto? Una piaghetta bruciata? Un piccolo fibroma?" Dolori immolati sull’altare della ricerca: anche questa fu un’esperienza che mi segnò notevolmente.

Situazione analoga, ma dai risvolti completamente opposti, è quella di una signora di mezza età alla quale chiesi se avesse subito un intervento di raschiamento: in quanto sul piede appariva una fossetta piuttosto ampia e con i bordi molto collinari, non spigolosi.

Mi rispose che aveva subito un’isterectomia, inizialmente rimasi stupito, poi compresi, data la sua età l’intervento non le aveva procurato alcun trauma a livello psicologico, lasciandola totalmente indifferente. Infatti la sera stessa, ancora col catetere vescicale allacciato a un contenitore per le urine, con grande senso di humor aveva messo il sacchetto con le urine dentro la borsetta di pelle di coccodrillo e se ne andava passeggiando per l’ospedale a consolare le altre pazienti.

Poco tempo prima di lasciare il reparto di pediatria dell’Istituto dei Tumori di Milano, ebbi l’occasione di verificare i piedi di una dodicenne alla quale era stata praticata un’isterectomia. Ogni giorno andavo a verificare se appariva qualcosa sui suoi piedi. Non è mai apparsa alcuna alterazione riferibile all’intervento, in quanto la poverina, non avendo vissuto il menarca e le implicazioni psicologiche, non aveva somatizzato il problema. Comunque tutte le manifestazioni sopracitate, come pure tutte le somatizzazioni, sono da differenziare, in sede di diagnosi, a seconda che si verifichino sul piede sinistro o destro.  

Vescica

L’area riflessa della vescica è sicuramente una delle aree più interessanti da analizzare, per la quantità e la qualità dei riscontri che possiamo prendere in considerazione nel rapporto morfologico/organico/psicosomatico. Questa area in condizioni di squilibrio si presenta come una bolla circolare, che può avere diverse dimensioni, colorazioni e tono.

Area riflessa della vescica

Possiamo avere un’area riflessa della vescica grande o piccola, molle o dura, dura al centro e molle in periferia o molle al centro e dura in periferia. La sua forma verrà evidenziata facilmente perché la pelle apparirà più liscia e lucente e il dermoglifo lambirà parzialmente il bordo inferiore, delimitandola senza interessarla. In condizioni normali la vescica invia messaggi al cervello, relativi all’esigenza di svuotamento quando il suo contenuto è di almeno circa cento/centoventi ml. di urina, e da qui in poi che cominciamo a percepire l’esigenza di svuotare la vescica.

Man mano che il tempo passa, il rene continua a filtrare sangue e produrre preurina e urina per cui diventa sempre più impellente l’esigenza di urinare. Il nostro margine di autonomia ci consente di controllare lo stimolo fino a mille/millecinquencento ml. di urina presente in vescica.

Se l’area riflessa della vescica appare piccola e tesa sta ad indicare che il soggetto in esame soffre di pollachiuria, esigenza di mingere frequentemente. Sintomo fastidioso provocato dalla difficoltà da parte della parete muscolare della vescica a distendersi, pertanto invia frequenti stimoli al cervello. Infatti la vescica piccola e dura, è impossibilitata a contenere più di tanto ed è costretta ad inviare impellenti messaggi di saturazione.

Area riflessa della vescica piccola e tesa

Se l’area riflessa della vescica appare grande, situazione opposta alla precedente, il soggetto ha la tendenza a trattenere l’urina, in maniera più o meno sintomatica, quindi può apparire grande e tesa o grande e molle; quando è grande e molle significa che tende ad una forma di prolassamento morfologico, non necessariamente patologico. La differenza è questa: il prolassamento morfologico comporta la possibilità di trattenere una grande quantità di urina, senza avere lo stimolo a urinare; il prolassamento patologico è determinato dall’impossibilità della vescica di svuotarsi completamente per cui rimane un residuo indesiderato che, a seconda della quantità, può determinare sintomi più o meno fastidiosi.

Area riflessa della vescica ampia

Nel prolassamento morfologico il soggetto è capace, senza soffrirne, di urinare una volta la mattina prima di uscire di casa e un’altra volta la sera quando vi fa ritorno. È più comune riscontrare questo comportamento nelle donne, per la difficoltà ad usufruire delle toilette dei locali pubblici. La parete vescicale si prolassa, diventa cedevole, per cui tanta più urina vi arriva, tanto più essa si espande, situazione meccanica compensativa: il cervello non avverte lo stimolo della minzione se non raggiunto da una sollecitazione da parte della muscolatura della vescica, che ne impone l’eliminazione attraverso l’atto emuntorio. In questi soggetti è comune riscontrare la tendenza alla lassità di tutti gli organi fu, vuoti, per cui trattengono anche la bile nella cistifellea, sono tendenzialmente stitici, hanno una digestione lenta e lunga.

Quando l’area riflessa della vescica appare grande ma tesa, siamo di fronte a un soggetto che avverte frequentemente lo stimolo ma spesso rimanda, si trattiene a urinare, perché è in viaggio o impegnato in un lavoro che non può interrompere. Alla lunga la vescica di queste persone non sarà più in grado di svuotarsi completamente perché abituata ad essere sovradistesa, per tanto incapace di contrarsi in modo efficace ed espellere tutta l’urina che contiene: il paziente ha la sensazione di avere ancora bisogno di urinare.

La presenza di ristagno vescicale predispone al rischio di infezione. In questi casi la domanda che pongo è la seguente: "Ha la sensazione di non svuotare completamente la vescica quando urina? In particolare quando è un po’ teso?"

Solitamente la risposta è affermativa. Inoltre essi manifestano stupore per come la domanda abbia colto nel segno, identificando perfettamente la situazione da essi vissuta; situazione non rivelata nemmeno al proprio medico curante, poiché ritenuta di lieve entità.

Questo sintomo è determinato dalla sollecitazione anomala della prostata, la quale si ingrossa momentaneamente ed impedisce alla vescica il suo svuotamento completo.

I casi in cui l’area riflessa della vescica è dura al centro e molle all’esterno, o al contrario molle al centro e dura all’esterno, rispecchiano situazioni di transizione, di cambiamento che solitamente avviene sempre dal centro verso la periferia, pertanto il primo caso indica che fino a qualche tempo prima il paziente non aveva lo stimolo a urinare, perché la vescica era tendenzialmente prolassata, ora invece ha l’esigenza di urinare più frequentemente.

La seconda situazione conferma viceversa che mentre fino a poco tempo prima le minzioni erano più impellenti e frequenti, ora lo stimolo viene contenuto in tempi più normali.

Area riflessa della vescica dura all'esterno molle al centro

Area riflessa della vescica molle all'esterno dura al centro 

Retto-ano

Sotto l’area riflessa della vescica troviamo, in alcuni soggetti, la presenza di un solco o una serie di piccoli solchi simili a ramoscelli, associabili a una manifestazione di vuoto nella zona che corrisponde al retto. Questi soggetti presentano una tendenza al cedimento della parete dell’ampolla rettale o a manifestazioni emorroidarie. Sollecitato nella risposta, il paziente conferma di non avere la sensazione di svuotare completamente l’ampolla rettale dopo l’evacuazione.

Una sola volta mi è capitato un paziente con un’evidente callosità nell’area riflessa del retto, che ovviamente mi colpì particolarmente. La callosità è qualcosa in più, in eccesso, una manifestazione yang, quindi cosa poteva esserci in eccesso, in senso proliferativo all’interno del retto? Feci una serie di domande mirate alla sua alimentazione e i suoi viaggi, così scoprii che era stato affetto da parassitosi intestinale. Data la dislocazione, la callosità non era attribuibile a una postura patologica, infatti debellati i parassiti e asportata la callosità residua, questa non è più ricresciuta.

Area riflessa del retto  

Stasi venosa profonda addominale

L’area comunemente detta caviglia, articolazione di Chopart, tibio-astragalica, reflessologicamente è riferita al cingolo pelvico e anatomicamente al complesso delle articolazioni tarso-metatarsiche nelle visioni laterale interna, esterna e dorsale. La diversa colorazione della pelle in quest’area è riferibile a problematiche inerenti a stasi della circolazione sanguigna venosa.

Stasi venosa profonda addominale: appare un gonfiore lievemente violaceo 

In generale, quest’area viene associata all’addome dividendone l’interessamento della parte più interna con la visione laterale interna e della parte più esterna con la visione laterale esterna. Quando il colorito della pelle appare violaceo e diffuso la motivazione è da attribuirsi a interventi chirurgici sull’addome: come ad esempio appendicite, cesareo, eccetera.  

Teleangectasie

Quando i vasi capillari appaiono evidenti, simili a ramoscelli molto sottili, detti teleangectasie, sono da riferirsi alla circolazione sanguigna periferica più superficiale. In questi casi il primo consiglio che diamo è di eliminare giarrettiere, body, reggicalze e tutto ciò che genera una forma di compressione e impedisce il reflusso venoso superficiale. Questo quadro clinico sovente si accompagna a ristagno di liquidi negli spazi interstiziali, con la conseguente formazione di edema. Il soffocamento dei bulbi piliferi, causato appunto dai liquidi stagnanti, rende la pelle lucida e induce la caduta dei peli. Alla presenza di capillari di solito si accompagna una fragilità vasale; infatti, i pazienti ci riferiscono che dopo ogni piccolo colpo appare un ematoma, è come se le loro vene fossero divenute tubicini di vetro. Questa sintomalogia verrà definita vuoto di milza.

Teleangectasie

Diamo un significato diverso ai capillari che si presentano evidenti e anche ingrossati. La loro colorazione diventa rossiccia o tendente al blu, sono visibili tante bollicine di sangue sotto pelle, sintomo del cedimento delle pareti venose e della ridotta viscosità del sangue, ispessatio sanguinio. Anche questo tipo di manifestazione corrisponde ad una forma di compressione, e di impedito flusso della circolazione venosa, ma non più superficiale e con cause esterne, bensì provocato da situazioni compressive più profonde, riconducibili a sofferenza degli organi nell’addome, che comprimono strutture venose.

Teleangectasie con ispessimento sanguigno  

Circolazione linfatica

Un’articolazione è costituita da almeno due capi articolari contigui, contenuti all’interno di una capsula periostea. Affinché questi capi ossei si possano muovere, sono necessari: i muscoli collegati alle ossa attraverso i tendini, i legamenti e le fasce connettivali. Gli spazi presenti tra questi elementi sono virtualmente vuoti, in presenza di travasi linfatici si riempiono e appare un gonfiore per esempio in caso di insufficienza linfovenosa, traumi, patologie reumatiche ecc.

Una delle articolazioni più importanti del piede è l’articolazione tibio-astragalica, è in quest’area che più frequentemente si verificano gonfiori evidenti. Tenendo conto che il piede è costituito da ventisei ossa mosse da trentadue articolazioni, è facile intuire quanti spazi possiamo percepire nelle diverse dislocazioni.

Quando in un piede prendiamo in considerazione i gonfiori e i vuoti, è importante ricordarsi che le valli esistono in presenza di monti, altrimenti verrebbero identificate come pianure. Per tanto raccomando di fare attenzione a non confondere un vuoto reale, o una depressione, indici di una situazione di carenza, con un vuoto che si manifesta per la presenza di monti. In questo caso saranno i monti a divenire oggetto della nostra attenzione.

Una valida esperienza è acquisibile con la pratica clinica e una buona guida nell’osservazione di queste realtà.

I gonfiori più indicativi sono quelli che si manifestano sulle articolazioni più importanti e sono in corrispondenza alle aree descritte come: circolazione linfatica inguinale, addominale, retromalleolare e inferiore.

Gonfiore circolazione linfatica inguinale

Gonfiore circolazione linfatica addominale

Gonfiore circolazione linfatica inferiore

Il gonfiore che si manifesta in corrispondenza dell’area circolazione linfatica inguinale ci dà l’indicazione che le stazioni linfonodali dell’inguine si sono attivate, la produzione dei linfociti è aumentata per difendere gli organi pelvici: la vescica, la vagina, l’utero e annessi. A questo gonfiore si accompagna spesso anche quello dell’area della circolazione linfatica addominale posta verso l’esterno del piede, riferita soprattutto ai linfonodi retroperitoneali e addominali in genere. Questi soggetti hanno forme di leucorrea più o meno intensa e continuativa; più i gonfiori sono turgidi più la leucorrea è intensa, gialla e maleodorante. Se i gonfiori sono poco tesi e quasi senza tono, la leucorrea sarà più sierosa e prolungata nel tempo, il numero di leucociti, presente è quindi insufficiente ad assolvere la loro funzione di difesa immunitaria. Nel trattamento di questo ultimo caso dobbiamo aspettarci che la leucorrea diventi di un colore giallo più accentuato, densa e maleodorante per un tempo limitato e quindi con una rapida risoluzione.

Considerata da un punto di vista energetico la leucorrea chiara e continuativa ci indica una situazione di vuoto, l’organismo non è in grado di sviluppare, in tempi brevi, le sufficienti difese immunitarie per risolvere il problema.

Il gonfiore retromalleolare ci dà l’indicazione della sofferenza delle ovaie. La caviglia diventa gonfia in maniera generalizzata quando esiste una situazione di gonfiore diffuso nell’addome.

I gonfiori delimitati e circoscritti sono di facile evidenziazione e rilevazione e le mappe reflessologiche sono un valido ausilio, quindi la diagnosi di queste aree solitamente non costituisce alcun problema. Altre aree, dove si manifestano occasionalmente gonfiori, sono le articolazioni metatarso/falangee, queste il più delle volte non hanno un riscontro reflessologico: il gonfiore, quindi, è di origine locale, probabilmente dovuto ad uno stress articolare, verosimilmente determinato da scarpe con tacchi alti. Il gonfiore delle dita, invece, ci indica qualcosa di più subdolo e grave: è l’indicazione di uno scompenso cardio-circolatorio. I piedi che ci appaiono esteticamente belli, perché non sono visibili i tendini, le articolazioni e le vene, sono l’indicazione di subdolo diffuso gonfiore che definiamo vuoto di terra. La linfa ha riempito tutti gli spazi virtuali armonizzando il tutto, ma solo da un punto di vista estetico.

I piedi di un neonato ci appaiono relativamente gonfi rispetto a quelli di un adulto ma per il bambino è assolutamente normale, perché questi è molto più zuccherino e acquoso di un adulto.

Le strisce di pelle lucida senza peli che a volte appaiono sulle gambe, soprattutto degli uomini, verranno considerate relativamente al percorso del meridiano corrispondente.  

Callosità calcaneare

L’osso calcagno è la proiezione di un emibacino, quindi i due calcagni messi insieme rappresentano il bacino nel suo complesso e tutto ciò in esso contenuto. L’osso del tallone occupa la metà esterna e quando abbiamo i piedi uniti ci appare l’immagine completa del bacino: la parte più esterna è la parte ossea, l’area mediale corrisponde alle strutture molli in esso contenute. Sul calcagno possiamo avere una callosità che può interessarne una parte o circondarla, come una corona.

Dividiamo la callosità in tre zone differenti con significati e motivazioni diverse tra loro: la callosità mediale o interna, posteriore ed esterna. La callosità mediale è di grande importanza per le indicazioni che ci fornisce confrontandola con l’eventuale callosità dell’area mediale dell’alluce, ormai nota come callosità padre. Conoscere l’importanza del raffronto tra queste due callosità ci permette di fare una buona diagnosi iniziale.

A seconda che la callosità più evidente sia quella sull’alluce o quella sul calcagno, definita callosità madre, avremo per un verso l’indicazione se le problematiche principali del soggetto in esame sono da riferirsi alla parte alta: dal diaframma in su o piuttosto alla parte bassa dall’ombelico in giù. Per l’altro verso scopriamo se le problematiche di tipo emozionale sono da riferire alla figura materna piuttosto che a quella paterna.  

Callosità madre

La callosità nella parte mediale del calcagno, ci indica l’indurimento, la perdita di elasticità, la fibrotizzazione degli organi contenuti nel bacino e in particolare di quelli deputati alla riproduzione.

Ribadisco che attraverso l’osservazione dei piedi, non possiamo determinare l’atteggiamento pedagogico che la madre ha avuto nei confronti del figlio, ma attraverso i piedi possiamo evidenziare il vissuto del figlio nei confronti della madre. La presenza della callosità madre sul calcagno sinistro, ci dà l’indicazione dei limiti creati dalla madre allo sviluppo della personalità del soggetto in esame, la qual cosa ha un’origine lontana che risale ai primi cinque, sei anni di vita, quando il bambino utilizzava soprattutto la parte destra del cervello che, ricordiamo essere quella più emotiva, istintiva, irrazionale, creativa. Il bambino vive nel mondo delle fiabe e della fantasia, crede ancora alla befana, usa le immagini per esprimersi, non conosce il principio dell’ironia, dei sinonimi, le sfumature nel disegno e nel parlare. Per il bambino la madre dovrebbe rappresentare, la dolcezza, l’assorbenza, il senso di protezione. La bambina, in particolare, dovrebbe vedere nella madre l’archetipo di riferimento, la sua eroina, dovrebbe pensare: "Da grande vorrei essere come la mamma!"

La presenza della callosità madre nel piede sinistro di una donna ci racconta di una bambina che non ha mai pensato: "Da grande vorrei essere come la mamma!" Tutt’altro. Se una madre non rappresenta i contenuti descritti il bambino non la vive come tale, le emozioni verranno vissute in maniera distorta e creerà disarmonie nello sviluppo futuro. Il bambino o la bambina, cercherà altri modelli di riferimento e li troverà negli eroi dei fumetti, nel cinema, nei cartoni animati.

Mi stupisce e mi induce a riflettere, notare con quanto interesse i più giovani seguono i cartoni animati correnti, piagnucolosi e disperanti fin dalle musiche, storie strazianti di bambini soli o abbandonati, costantemente alla ricerca di genitori perduti. Perché i bambini li seguono con tanto interesse? Probabilmente si identificano nei personaggi, oppure trovano in loro lo strumento per esorcizzare la paura della perdita, dell’abbandono.

La callosità calcaneare mediale del piede sinistro, la definisco della madre non perdonata. Intimamente il soggetto non ha mai perdonato sua madre, anche se da adulto razionalmente la comprende e la giustifica. Non possiamo ergerci a giudici, né permetterci di giudicare nessuno, come terapisti osserviamo, facciamo delle valutazioni che rimangono nell’intimo della nostra comprensione. Possiamo decidere di volta in volta di esprimerle e renderne partecipe il paziente, continuando a confermargli che da parte nostra non c’è giudizio.

Ogni genitore si comporta come ritiene opportuno in ogni circostanza: anch’egli è figlio del suo tempo, ed è stato figlio di genitori figli a loro volta del loro tempo.

Un detto pellerossa diceva: "Prima di esprimere un giudizio nei confronti di qualcuno, dovresti camminare per tre lune nei suoi mocassini!" Quando si esprime un giudizio nei confronti di qualcuno, il più delle volte si esprime un "pre" giudizio; si esprime cioè una valutazione senza avere la quantità di elementi sufficienti per giudicare, se mai potremmo averne. Sintetizzando, possiamo interpretare la callosità madre, come manifestazione di una cicatrice nel nostro io più profondo, un dolore rimosso, soffocato, rifiutato per poter sopravvivere, ma sempre lì nascosto e vivo, come brace sotto la cenere.

Una callosità analoga sul piede destro si riferisce invece al presente, alla conflittualità che il soggetto vive in rapporto al proprio femminile, al femminile che lo circonda, alla sua istintività, alla sua sessualità; conseguenza del cordone ombelicale emotivo con la madre, che non è mai stato tagliato del tutto. Se confrontiamo le due callosità e notiamo che quella del piede destro è inferiore a quella del sinistro o è del tutto assente, significa che la persona che abbiamo di fronte, crescendo e probabilmente divenendo genitore a sua volta, ha tagliato il cordone ombelicale, archetipo di riferimento con la propria madre o con la sua immagine, pertanto non ha creato conflitti nel presente. Se la callosità sul piede destro invece di scomparire, tende ad aumentare significa che il cordone ombelicale non è stato tagliato, anzi il problema è peggiorato: i vissuti non metabolizzati continuano pesantemente a condizionare la vita nel presente. Il soggetto vive in maniera conflittuale il proprio femminile e il femminile fuori di sé, avrà problemi di relazione con le donne e con tutto quanto assimilabile a manifestazioni femminili: difficoltà ad esprimere i propri sentimenti, la propria istintività, la creatività.

     

Gli organi dell'addome sono contenuti negli emibacini

La callosità nella parte interna del calcagno destro, rappresenta i vissuti metabolizzati dall’emisfero cerebrale sinistro, quello che controlla la parte razionale, logica, matematica, computerizzatrice, maschile. Essa assume un significato ben più importante se appartiene a una donna, infatti, da un punto di vista prettamente fisico, è l’indicazione di un utero tendente alla retroversione e alla fibrotizzazione, espressione di indisponibilità, di negazione del proprio essere femminile più profondo, del proprio esistere come donna. Nel porsi retroverso, è come se l’utero stesse comunicando la sua indisponibilità, il suo indurimento relativo a un irrigidimento; ci riporta alla situazione opposta di quanto prima evidenziato riguardo alla mobilità, la donna è lunatica, la donna è mobile. Se la stessa callosità appare sul piede di un uomo significa che questi ha difficoltà a manifestare il proprio femminile e pertanto sarà un soggetto incapace di esprimersi con dolcezza e avrà rapporti emotivi difficili con tutto il genere femminile. Se la callosità sul piede destro invece di scomparire tende ad aumentare significa che il problema invece di diminuire è aumentato, il rapporto col femminile è peggiorato.

Callosità madre

Callosità esterna

La presenza della callosità calcaneare esterna ci dà l’indicazione della rigidità delle anche.

Il malleolo peroneale, epifisi distale del perone, si articola con la parte esterna del calcagno, reflessologicamente corrisponde all’articolazione dell’anca ed è attraversato dal meridiano zu shaoyang (V.B.).

Al centro del gluteo, nella grande depressione, a un terzo di una linea immaginaria tra il grande trocantere femorale e il coccige troviamo il punto 30 V.B. Huantiao, salto della cintura. Il meridiano scende poi lateralmente la coscia e la gamba, prosegue lateralmente sul dorso del piede passando sopra il malleolo esterno, da qui la stretta relazione tra articolazione dell’anca, meridiano della vescicola biliare e l’articolazione astragalocalcaneare.

Callosità esterna

  Callosità posteriore

La callosità centrale posteriore del calcagno, ci da indicazioni di tipo strutturale riferite alla retrazione del muscolo gastrocnemio e del tendine d’Achille, quest’ultimo è il tratto terminale della catena muscolare posteriore che ha origine alla base del cranio. Questo lungo tragitto è percorso dallo zu taiyang, meridiano della vescica, il più esterno, il più yang, con il maggior numero di punti, 67.

Lo zu taiyang, sostiene la wei qi, che significa energia difensiva. I wei erano le pattuglie che facevano la ronda attorno alle città per avvistare i gui (barbari invasori che nel periodo degli Shang erano gli Unni) e impedire loro di entrare; la funzione del meridiano della vescica è similmente quella di impedire alle energie perverse di penetrare nel nostro organismo. Uno dei significati che diamo alla callosità posteriore del calcagno è di ansietà. A questa callosità comunemente si associa una sporgenza in corrispondenza dell’inserzione del tendine d’Achille denominata sperone calcaneare è dovuta alla prolungata contrazione dei muscoli gemelli (gastrocnemio).

Callosità posteriore


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