RUTELLI CANDIDATO CON LE sinistre AL GOVERNO? NO GRAZIE !


Ma come si fà? Con quale faccia e con quale coraggio? 

Ma "signori" compagni, smettiamola, per favore, gli italiani non sono stupidi, non sono persone che si fanno imbambolare con i bei discorsi, vogliono fatti, perché sono stufi di false promesse e di patti non mantenuti.

Pensate davvero che il personaggio Rutelli, manipolando le belle cose fatte per il Giubileo a Roma, sia davvero una persona in grado di sedere al Governo d'Italia?   

Spiegate allora ciò che segue agli Italiani e dite dell'illiceità della spesa, del conferimento di incarichi a soggetti esterni alla p.a. privi di specifiche professionalità con oneri a carico del bilancio comunale, della mancata utilizzazione delle professionalità interne della p.a., ecc.. a carico del vostro candidato...

Italiani, leggete attentamente quanto segue e diffondete (fatelo prima di Aprile, però!) al più presto chi è , secondo le sinistre, il nuovo Capo del Governo...


 

Corte dei Conti - Sezione Giurisdizionale per il Lazio – 25 settembre 2000, n. 1544/2000/EL – Pres. BISOGNO – Est. DI FORTUNATO– Cons. LIBRANDI.– PROCURA CORTE DEI CONTI c. RUTELLI, TOCCI, LANZILLOTTA, PIVA, SANDULLI, BARRERA, BORGNA, FARINELLI, GAGLIANI, CAPUTO, CORDELLI, CECCHINI, MINELLI (Avv.ti GUARINO, CORREALE, RISTUCCIA, MEDUGNO,CARNOVALE,) P.M. NOTTOLA.

Responsabilità contabile e amministrativa – Enti Locali – consulenze esterne all’amministrazione – illiceità della spesa - profili di responsabilità amministrativa a carico del Sindaco, degli amministratori comunali, del Capo di gabinetto e del Segretario comunale –ripartizione di competente tra organi politici e organi amministrativi - mancata utilizzazione delle professionalità interne della p.a. – conferimento di incarichi a soggetti esterni alla p.a. privi di specifiche professionalità con oneri a carico del bilancio comunale - colpa grave e dolo contrattuale - .

È principio generale e pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza che l’attività delle amministrazioni stesse deve essere svolta dai propri organi o uffici consentendosi il ricorso a soggetti estranei soltanto nei casi previsti dalla legge o in relazione a eventi straordinari non fronteggiabili con le disponibilità tecnico-burocratiche esistenti.

Gli incarichi esterni all’amministrazione possono essere conferiti laddove questa non possa far fronte a particolari situazioni che richiedono specifiche professionalità e conoscenze eccedenti le normali competenze dei dipendenti dell’amministrazione medesima.

Ogni amministrazione pubblica deve caratterizzarsi per una struttura snella che impieghi anzitutto le risorse umane già esistenti all’interno dell’apparato e che, solo nella documentata e motivata assenza delle stesse, possa far ricorso a professionalità esterne, peraltro, da individuare in base a criteri predeterminati, certi e trasparenti.

Per il conferimento degli incarichi ad estranei alla p.a. è necessario che i criteri di scelta non siano generici o indeterminati, al fine di evitare un evidente accrescimento delle competenze e degli organici dell’ente, il che presuppone la ricognizione e la certificazione dell’assenza effettiva nei ruoli organici delle specifiche professionalità richieste e tutto questo sia per quanto riguarda l’indicazione dei requisiti che per ciò che concerne i criteri di conferimento.

Costituisce fonte di responsabilità amministrativa l’aver affidato consulenze a terzi estranei all’apparato amministrativo del Comune, pur in presenza di uffici amministrativi con competenze specifiche in grado di fronteggiare adeguatamente le necessità e/o esigenze amministrative che avevano comportato il ricorso, con oneri a carico del pubblico bilancio comunale, a consulenti esterni.

La responsabilità amministrativa è connotata dal dolo contrattuale oltre che della colpa grave quando risultano violate, da parte degli amministratori comunali, le regole per il corretto conferimento di incarichi di consulenze a persone estranee all’amministrazione comunale teorizzando un complesso di poteri e facoltà in capo agli organi elettivi che, invece, non hanno mai avuto riscontro nella realtà giuridica dell’ordinamento.

I pareri di competenza del Capo di Gabinetto e del Segretario comunale sono atti preparatori volti a illuminare gli organi di amministrazione attiva in ordine agli aspetti tecnico – contabile e di legittimità dell’atto amministrativo e il loro intervento nel procedimento amministrativo riveste il ruolo di qualificata consulenza a garanzia della legalità nell’azione amministrativa.

Va affermata la responsabilità amministrativa del Capo di Gabinetto e del Segretario comunale quando nel rendere i predetti pareri non evidenziano il giudizio negativo idoneo a far risaltare la non liceità dei provvedimenti amministrativi in seguito adottati dagli amministratori comunali.

Il giudizio negativo dei predetti organi può dissuadere gli amministratori dall’adottare provvedimenti illeciti e, dunque, dannosi per il pubblico bilancio e di conseguenza per i contribuenti.

SENTENZA

nel giudizio di responsabilità ad istanza del Procuratore Regionale presso la Corte dei Conti per il Lazio nei confronti dei sigg. RUTELLI Francesco, TOCCI Walter, LANZILLOTTA Linda, CECCHINI Domenico, PIVA Amedeo, BORGNA Giovanni, SANDULLI Piero, FARINELLI Fiorella, MINELLI Claudio, BARRERA Pietro, GAGLIANI CAPUTO Vincenzo e CORDELLI Adriano;

Visto l’atto introduttivo del giudizio iscritto al n 51610 del registro di Segreteria;

Visto l’atto rettificativo del Procuratore Regionale in data 8 marzo 1999;

Visti gli altri atti e documenti tutti di causa;

Uditi nella pubblica udienza del 15 maggio 2000, con l’assistenza del segretario rag Anna Maria Ritelli, il relatore, nella persona del Consigliere dott. Bruno Di Fortunato, l’avv. Giuseppe Guarino per Rutelli, l’avv. Ristuccia per Tocci e Lanzillotta, l’avv. Correale per Sandulli, Borgna e Barrera, l’avv. Medugno per Piva, Farinelli, Minelli e Gagliani Caputo, l’avv. Carnovale per Cecchini e Cordelli e il Pubblico Ministero in persona del Vice Procuratore Generale dott. Salvatore Nottola.

Ritenuto in

 

FATTO

Con atto di citazione del 26 febbraio 1999, ritualmente notificato, la Procura Regionale ha convenuto in giudizio i sigg. Francesco Rutelli, Walter Tocci, Linda Lanzillotta, Domenico Cecchini, Amedeo Piva, Giovanni Borgna, Piero Sandulli, Fiorella Farinelli, Claudio Minelli, Pietro Barrera, Vincenzo Gagliani Caputo e Adriano Cordelli per sentirli condannare al pagamento della somma complessiva di £ 1.090.547.564, importo così rettificato con atto del Procuratore Regionale in data 6 marzo 1999, oltre interessi, rivalutazione monetaria e spese di giudizio.

Espone l’organo requirente che, con esposto-denuncia dei Consiglieri Comunali Antonio Alibrandi e Teodoro Buontempo, venivano segnalate situazioni illegittime createsi in seguito alla copertura di posti dirigenziali (ex art. 51, 5° comma, legge n. 142/90), nonché, all’affidamento di incarichi professionali a collaboratori esterni (art. 51, comma 7, della legge n. 142/90);

in particolare, gli esponenti chiedevano di accertare e valutare se l’attività, peraltro, onerosa, dei numerosi consulenti esterni nominati dal Comune, fosse giustificabile sia sotto il profilo di assenza di personale comunale qualificato, sia in ordine alla necessità delle consulenze stesse, atteso che l’art. 51, comma 7, della citata legge n. 142/90, consentirebbe collaborazione esterne ad alto contenuto professionale "per obiettivi determinati".

I denuncianti allegavano, altresì, documentazione a sostegno, nonché copia di una interrogazione di un consigliere comunale concernente l’affidamento di incarichi professionali per la Segreteria del Sindaco.

Allo scopo di acclarare la fondatezza dell’esposto, parte attrice affidava l’incarico di svolgere indagini al Centro Repressione Frodi della Guardia di Finanza.

Dagli accertamenti esperiti, riguardanti il periodo temporale dal 1994 al 1996, emergeva che gli amministratori del Comune di Roma avevano favorevolmente votato numerose delibere di Giunta con le quali erano stati conferiti e rinnovati incarichi e consulenze professionali esterne, in asserite violazioni di norme contenute nella legge n 142/1990 e nel D.L.vo n 29/93, recepiti nello Statuto Comunale e nel Regolamento per l’Organizzazione degli Uffici e dei Servizi dell’Amministrazione Comunale.

Assume l’organo requirente, al riguardo, che, pur potendo gli amministratori valutare l’opportunità delle proroghe degli incarichi conferiti, valutando, altresì, la effettiva sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge, approvavano tali rinnovi.

Nel periodo m esame risultavano emanate anche numerose Ordinanze sindacali di conferimento di incarichi a soggetti esterni per coadiuvare la segreteria del Sindaco

In particolare, prosegue il Procuratore Regionale, con delibera di G. M. n. 35 del 4/1/1994, veniva nominato l’ing. Michele Civita con l’incarico di "Coordinamento dello staff dei consiglieri e dei consulenti del Sindaco e per la cura delle relazioni esterne", con un compenso mensile lordo di £.7.000.000 oltre IVA; tale incarico risulta rinnovato fino al 31/12/1996 e, comunque, risulterebbe prorogato anche successivamente.

In totale, la spesa ammonta a £ 275.249 332:

Con la suddetta delibera risulta aver ricevuto la nomina anche il sig. Maurizio Picca, con l’incarico di coadiuvare il Sindaco nelle funzioni di indirizzo, coordinamento e controllo relative all’Ufficio di Gabinetto, con compenso di circa £ 5 000.000 mensili oltre IVA, e per un totale di £ 196.606.666

Con delibera di G.M. n. 1184 del 12/4/1 994 e, successivamente, n. 4657 del 30/12/1994, veniva conferito, inizialmente, alla dott.sa Camilla Stola, l’incarico per "la predisposizione e sperimentazione delle modalità organizzative della comunicazione diretta, scritta e telefonica, tra i cittadini ed il Sindaco", compito da svolgere alle dirette dipendenze di quest’ultimo, il cui compenso era subordinato al corretto ed efficace assolvimento dell’incarico medesimo e previa attestazione del Capo di Gabinetto.

Con il secondo provvedimento, la Stola veniva inserita nello staff della Segreteria del Sindaco con compiti di collaborazione per i rapporti diretti con Associazioni e singoli cittadini, in particolare, nell’ambito della Conferenza Sanitaria Cittadina Compenso mensile lordo di £ 5.000.000 oltre IVA..

Tale incarico ha comportato la spesa complessiva di £.138.500.000.

Con la succitata delibera n. 35 del 4 gennaio 1994, la G.M. assentiva, anche, la nomina della signora Carla Trudu a Segretaria particolare del Sindaco, con trattamento mensile di £. 6.000.000 e, complessivo, di £. 235.928.000.

Con Ordinanza n. 39 del 20 gennaio 1994, il Sindaco nominava la signora Alessandra D’Andrea "assistente del Capo di Gabinetto", con particolare riferimento alla cura dei rapporti con le Associazioni rappresentative degli Enti locali.

Il compenso liquidato per l’incarico, più volte reiterato, ammonta a £. 122.352.686 ed é avvenuto con disposizione dirigenziale del Capo di Gabinetto, previa attestazione del Sindaco.

In pratica, i compiti consistevano in elaborazione di studi e relazioni da sottoporre alle valutazioni del Sindaco che, peraltro, alla data del 21 febbraio 1997, non risultavano ancora presentate.

Con altra ordinanza, n. 38 del 30 maggio 1995, veniva conferita la nomina alla dott.ssa Silvana Novelli di "Consulente del Sindaco nel campo dell’immagine, della comunicazione e delle pubbliche relazioni", con un compenso di £ 121.910.880, così quantificato con l’atto rettificativo di errore materiale in data 6 marzo 1999.

Anche in questo caso, soggiunge il Procuratore Regionale, la liquidazione sarebbe avvenuta con disposizione del Capo di Gabinetto, previa attestazione del Sindaco in ordine all’avvenuta prestazione; in sostanza, l’incarico comportava l’elaborazione di studi e relazioni da sottoporre al Sindaco in relazione alla partecipazione a convegni, riunioni e conferenze.

Peraltro, le previste relazioni non risultavano presentate alla data del 21/12/1997.

Gli odierni convenuti deducevano all’invito formulato del Procuratore Regionale ai sensi dell’art. 5 della legge n. 19/1994 con memoria difensiva datata 5 novembre 1998, i cui punti salienti risultano riportati nell’atto introduttivo del presente giudizio.

Alla citata memoria venivano allegate copie delle relazioni dei consulenti Stola, D’Andrea, Giorgi e Novelli.

Presentavano singole memorie difensive, in data 4 e 5 novembre 1998, i convenuti Gagliani Caputo e Cordelli, contenenti le stesse osservazioni rappresentate nella memoria collettiva del 5/11/1998.

I convenuti Rutelli, Barrera e Gagliani Caputo si sono avvalsi della facoltà di essere personalmente ascoltati dall’Organo requirente, mentre il convenuto Cordelli ha rinunciato all’ audizione personale.

Dopo aver delineato il quadro normativo disciplinante, nel periodo considerato, il conferimento degli incarichi esterni ed, in particolare, l’art. 51, 5° e 7° comma, della legge n. 142/90, l’art. 27, 8° comma della medesima legge, recepiti dallo Statuto Comunale, nonché dal Regolamento per l’Organizzazione degli Uffici e Servizi dell’Amministrazione Comunale e per l’Ordinamento della Dirigenza, argomenta, in diritto, parte attrice, che, gli elementi di valutazione raccolti dalla Guardia di Finanza non erano basati soltanto sulle sostanziali caratteristiche che gli incarichi al Trudu presentavano, ma, anche, sigg. Civita, Picca, Stola e su ulteriori aspetti, quali l’assenza di un disciplinare di incarico, il riconoscimento della indennità di missione in misura pari a quella spettante ai dirigenti superiori e la dichiarazione del Segretario Generale che definiva la nomina dei suddetti come avvenuti ex comma dell’art. 51 della più volte citata legge n. 142/90.

Aggiunge, ancora, parte attrice che gli incarichi di cui si discute erano privi sia dei requisiti richiesti dal 5°comma dell’art. 51 previsti dal 7°comma, stesso articolo.

In buona sostanza, secondo il Procuratore Regionale, l’attività dell’Amministrazione deve essere svolta da propri organi ed uffici ed il ricorso a soggetti esterni sarebbe consentito solo nei casi previsti dalla legge o in relazione a situazioni non fronteggiabili con le disponibilità tecnico-burocratiche esistenti.

Peraltro, la previsione di cui al 7° comma del ripetuto art. 51 è da considerarsi ammissibile solo nei casi ed alle condizioni ivi previste.

In conclusione, perché possa ritenersi legittimo il ricorso a consulenze esterne è necessario che si sia in presenza di situazioni così straordinarie che esulino da comuni conoscenze dell’ufficio e che le strutture dell’ufficio stesso siano manifestamente insufficienti a soddisfare esigenze eccezionali.

Il difetto, anche, di una sola condizione comporterebbe l’illiceità del conferimento dell’incarico ed il compenso rappresenterebbe depauperamento ingiusto delle pubbliche finanze.

Nella fattispecie all’esame, alla luce della normativa di riferimento, raffrontata ai contenuti dei provvedimenti adottati, in relazione alle professionalità indicate nei curricula, dei consulenti, emergerebbe, con chiarezza, ad avviso del requirente, il mancato rispetto dei requisiti idonei a legittimare il conferimento di incarichi, ai sensi dell’art. 51, commi 5 e 7 della legge n. 142/1990 e ciò, attesa la genericità ed indeterminatezza degli stessi, l’eccessiva durata, nonché l’assenza del carattere di eccezionalità della proroga ed, infine, il rilevante onere finanziario per l’Amministrazione locale.

Anche sotto il profilo della utilizzazione delle consistenti risorse umane del Comune di Roma - circa 28.000 unità - appare improbabile e difficile da ipotizzare che fra i dipendenti non fosse possibile rinvenire soggetti capaci di svolgere le attività oggetto degli incarichi che, sempre ad avviso di parte attrice, consistevano nell’espletamento di compiti propri dell’Amministrazione e in adempimenti finalizzati allo svolgimento dell’azione amministrativa comunale, con la conseguente mortificazione del personale in servizio.

Priva di pregio, aggiunge il Procuratore Regionale, si appaleserebbe la giustificazione dei convenuti in ordine alla scelta operata con il riferimento allo intuitus personae, data la natura dei compiti che non richiedevano "cognizioni di carattere superiore", ma mero svolgimento di funzioni istituzionali; altrettanto, non condivisibile, sarebbe, poi, l’affermazione che trattasi di scelte discrezionali, non sindacabili nel merito.

In proposito, soccorrerebbe la giurisprudenza di questa Corte, alla quale parte attrice ha fatto riferimento nell’atto introduttivo In definitiva, si configurerebbe, nei confronti degli Amministratori convenuti, l’ipotesi della colpa grave, nella considerazione di aver reiteratamente agito con la consapevolezza dell’antidoverosità del loro comportamento, elusivo dei limiti che regolano il ricorso a competenze professionali esterne, imposti sia dall’art. 57, 7° comma, legge 142/90, sia dal proprio Regolamento.

La responsabilità deve essere estesa, anche, ai signori Barrera, Gagliani Caputo e Cordelli, nelle qualità, rispettivamente, di Capo di Gabinetto e di Segretario Generale, per aver espresso i pareri di regolarità tecnico-amministrativa e di legittimità sulle adottate delibere.

Quanto alla ipotesi di vantaggio per la collettività, assume il Procuratore Regionale che , se è vero che l’art. 3 del D.L. n. 543 /96, convertito dalla legge n. 639/96, prevede che debba tenersi conto dei vantaggi, comunque, conseguiti dall’Amministrazione, è, tuttavia, vero che la prova dei vantaggi conseguiti spetta alla controparte, cioè, ai convenuti.

Le somme dovute dagli odierni convenuti, secondo la prospettazione fatta dall’Organo requirente, devono essere ripartite in parti uguali, in relazione alle singole fattispecie di danno erariale e, precisamente:

- Rutelli Francesco £. 301.674.228
- Tocci Walter £. 85.020.662

- Lanzillotta Linda £. 54.353.997
- Cecchini Domenico £. 85.020.662
- Piva Amedeo £. 85.020.662
- Borgna Giovanni £. 85.020.662
- Sandulli Piero £. 85.020.662

- Farinelli Fiorella £. 54.353.997

- Minelli Claudio £. 85.020.662

- Barrera Pietro £. 85.020.662

- Gagliani Caputo Vincenzo £. 73.337.027

- Cordelli Adriano £. 11.683.635

Il convenuto Rutelli si è costituito con la rappresentanza dell’avv. Giuseppe Guarino, che, in data 28 aprile 2000, ha depositato in Segreteria l’atto di costituzione in giudizio e una memoria con la quale, dopo aver posto in rilievo la necessità di una interpretazione sistematica delle norme qualificanti la nuova disciplina dei comuni e province, ha, in conclusione, affermato la legittimità del comportamento del Sindaco Rutelli, al quale non può essere addebitata alcuna responsabilità.

I convenuti Tocci e Lanzillotta si sono costituiti con patrocinio degli avv. ti Sergio Ristuccia e Andrea Spadetta, i quali, con documentata memoria depositata il 21 aprile 2000, dopo aver evidenziato la ragionevolezza e razionalità delle scelte discrezionali operate, nonché l’infondatezza delle contestazioni della Procura Regionale, hanno,in conclusione, chiesto, in via principale, declaratoria di non responsabilità dei suddetti, e, in via subordinata, che si tenga conto dei vantaggi conseguiti dalla Comunità amministrata, in ragione dell’espletamento degli incarichi affidati, esercitando ampiamente il potere riduttivo e, comunque, escludendo il cumulo fra rivalutazione monetaria ed interessi.

Il convenuto Cecchini si è costituito con patrocinio dell’avv. Nicola Carnovale, il quale, con atto di costituzione e memoria depositato il 27 aprile 2000, dopo aver contestato la prospettazione accusatoria, definendola radicalmente infondata in quanto basata su riferimenti normativi insufficienti e su una ricostruzione incompleta degli atti adottati dall’Amministrazione comunale, ne ha, in conclusione, chiesto -previa riunione dei due giudizi promossi nei confronti del suo patrocinato - l’assoluzione, dichiarando, altresì, tardivi ed infondati i relativi atti di citazione.

Anche il convenuto Cordelli si è costituito con patrocinio dell’avv. Carnovale.

Il difensore ha depositato, in data 27 aprile 2000, una memoria con la quale, assumendo che nei confronti del Cordelli, nella sua qualità di Vice Segretario Generale del Comune di Roma nel periodo in discussione, difetterebbe l’elemento soggettivo, deduce l’impossibilità di formulare, in sede di visto di legittimità, rilievi di merito circa i curriculum dei consulenti designati, sindacato che avrebbe potuto essere esercitato, semmai, al momento del conferimento dell’incarico.

Nel caso del Cordelli, invece, l’unica deliberazione che il medesimo avrebbe avuto occasione di vistare, concerneva la mera conferma di consulenze già in atto.

In conclusione, dopo aver ribadito l’insufficienza dei riferimenti normativi fatti da parte attrice, ha concluso con richiesta di declaratoria in ordine alla tardività ed infondatezza dell’atto di evocazione in giudizio.

Si sono costituiti i convenuti Sandulli, Borgna e Barrera con la rappresentanza e difesa degli avv.ti Giulio e Ivo Correale, i quali, nelle memorie depositate il 10 e 12 aprile 2000, chiedono, conclusivamente, previo rinvio anche al contenuto delle memorie depositate in altro giudizio (n. 51683) e, previa riunione della presente causa con quella suddetta - per connessione oggettiva e soggettiva - l’assoluzione dei patrocinati dalla domanda attorea e, in subordine, l’applicazione del potere riduttivo, escluso, in ogni caso, il cumulo fra rivalutazione monetaria ed interessi.

In data 5 novembre 1999 si sono costituiti i convenuti Piva, Farinelli e Minelli, con rappresentanza dell’avv. Luigi Medugno, il quale ha eccepito l’inammissibilità della citazione e, comunque, la sua infondatezza nel merito.

Con le memorie depositate il 26 aprile 2000 il difensore confuta l’impianto accusatorio e, dopo aver analizzato i singoli incarichi di consulenza, deduce la inesistenza dell’elemento soggettivo, nonché l’inesistenza del danno erariale; in conclusione, chiede il proscioglimento degli incolpati da qualsiasi addebito.

Infine, anche il convenuto Gagliani Caputo si è costituito con patrocinio dell’avv. Luigi Medugno in data 5 novembre 1999.

Con memoria depositata il 26 aprile 2000, il difensore, dopo aver confermato le eccezioni già esposte nelle altre memorie, per quanto attiene, in particolare, alla posizione del Gagliani Caputo, Segretario Generale del Comune di Roma, rappresenta che, ove si ritenesse di ravvisare nel parere di legittimità una compartecipazione al contenuto volitivo dell’atto collegiale, difetterebbe, comunque, la sussistenza di un atteggiamento psicologico idoneo a radicare la affermazione di responsabilità operata nei suoi confronti.

A sostegno di quanto precede, ha richiamato giurisprudenza di questa Corte.

Alla odierna pubblica udienza fissata per la trattazione del giudizio, l’avv Guarino ha esordito sostenendo cessata la materia del contendere per effetto dell’art. 2, comma 2 bis, della legge n. 75/1999, retroattiva alla data della prima elezione diretta del Sindaco, nonché interpretativa delle disposizioni normative medio tempore intervenute, in virtù delle quali, risulterebbero poteri e facoltà in capo agli amministratori e, dunque, liceità dei fatti perché corrispondenti al dettato legislativo, legittimati, peraltro, dalla non contestata deliberazione n. 1 del 1994.

Ha dedotto, inoltre, l’intervenuta prescrizione ex art 58, 4° comma, della legge 142 del 1990.

Nel merito, ha eccepito un errore nella interpretazione dei fatti, derivata dalla diversa natura dei compiti affidati, rispetto agli uffici burocratici, nel senso che i soggetti svolgevano funzioni di indirizzo politico e di controllo, con la conseguente necessità della presenza di uno staff.

Ha, poi, insistito sulla inesistenza del dedotto danno e sulla liceità del comportamento dei convenuti, attesa l’indispensabilità dei compiti affidati ai collaboratori esterni, riconosciuta per effetto delle leggi nn. 127/1997 e 75/1999.

L’avv Ristuccia, nel confermare il contenuto delle memorie e nel condividere la esposizione dell’avv. Guarino, ha posto in evidenza il ruolo e le necessità operative della Giunta Municipale.

L’avv. Giulio Correale, oltre quanto esposto dall’avv Guarino, ha aggiunto che le norme contenute nelle leggi n. 142 e n. 127 convivrebbero e non sarebbero contrastanti, come più esaustivamente spiegato nelle memorie; anzi, ai sensi della legge n. 127, si è in presenza di una oggettivazione dei criteri per l’esercizio del potere discrezionale da parte degli Amministratori.

Peraltro, in assenza di proteste a livello sindacale per gli incarichi conferiti, non si sarebbe verificata alcuna mortificazione per i dipendenti.

L’avv. Medugno, nel suo intervento orale, ha insistito sul riferimento normativo che deve essere inteso relativo al comma 7 e non 5 dell’art. 51 della legge n. 142/1990.

Ha, altresì eccepito che la Guardia di Finanza avrebbe commesso gravi errori nella valutazione dei fatti a seguito degli accertamenti all’uopo esperiti.

Ha confermato la legittimità della deliberazione 1/1994 e le conseguenti scelte operate.

Ha concluso assumendo l’assenza del danno e, in via subordinata, ha eccepito la prescrizione.

In ordine alla posizione del Segretario Generale Gagliani Caputo ha insistito sulla obbligatorietà del parere, riferito solo al procedimento di legittimità.

Infine, l’avv. Carnovale, nel suo intervento, dopo essersi riportato al contenuto della memoria, ha ritenuto che la responsabilità addebitata al Segretario Comunale rappresenta un paradosso, alla luce del quadro normativo di riferimento.

Ha, poi, evidenziato una carenza organica dell’Ufficio Stampa del Comune.

Il Pubblico Ministero, dopo essersi soffermato e aver analizzato la portata del quadro normativo succedutosi nel tempo, contestando la interpretazione, al riguardo, formulata dai difensori, ha, infine, sollevato eccezione di illegittimità costituzionale della disposizione, con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., nella ipotesi che dovesse prevalere l’interpretazione prospettata dalla difesa, nella considerazione che regola generale è la irretroattività della legge, che non può modificare - ora per allora - i rapporti giuridici già conclusi, anche in assenza di apprezzabili ragioni di pubblico interesse, e perché lesiva del principio della certezza del diritto e dell’affidamento.

Dopo aver posto in evidenza che soltanto 1/3 delle consulenze assentite sono state ritenute non rispondenti ai canoni previsti dalla legislazione, il Procuratore Regionale si è soffermato sulla natura e protrazione degli incarichi, ritenendoli immotivati e, comunque, in concreto, non in linea con i principi e criteri dettati dalla legge, trattandosi di personale con esperienza presso segreterie politiche.

Per quanto attiene alla posizione del Capo di Gabinetto e dei Segretari Comunali, ancorché i provvedimenti fossero frutto di una volontà politica, ugualmente sono da considerarsi responsabili, per aver espresso un giudizio di regolarità tecnico-amministrativa su deliberazioni di conferimento degli incarichi in ordine ai quali emergeva chiaramente che i soggetti interessati non possedevano i requisiti di elevata professionalità richiesti dalla legge.

In conclusione, ha confermato integralmente il contenuto dell’atto di citazione, respingendo in toto gli assunti difensivi In sede di replica, l’avv. Guarino ha insistito sul contenuto della legge n. 75/1999, ritenendo, comunque, manifestamente infondata la questione di costituzionalità; anche gli avv.ti Giulio Correale e Medugno hanno confermato che nella vicenda de qua l’attività svolta era di indirizzo politico e di gestione.

Identiche questioni sono state, poi, esposte dagli avv.ti Ristuccia e Carnovale.

Il Pubblico Ministero, nel confermare le proprie richieste di condanna, ha precisato che la deliberazione n. 1/1994 non è stata oggetto di contestazione perché non aveva contenuti illeciti, mentre illecito si è dimostrato il comportamento tenuto in sede di applicazione della stessa, con conseguente danno erariale per erogazione illegittima di danaro pubblico.

Considerato in

 

DIRITTO

Il Collegio deve, pregiudizialmente, esaminare le eccezioni sollevate sotto vari profili dai convenuti.

L’eccezione di prescrizione, nei termini in cui è stata sollevata, è manifestamente infondata.

Infatti, sostengono al riguardo i convenuti che la Giunta Comunale "ha adottato una delibera di carattere generale, la n. 1 del 4 gennaio 1994 che ribadisce la necessità di predisporre uffici di staff alle dirette dipendenze del Sindaco e dei singoli assessori e che tale delibera richiama l’art 51, settimo comma della legge n. 142 del 1990"

Per la scelta dei collaboratori esterni i criteri di riferimento non sono stati, però, quelli indicati in quest’ultima legge ma è prevalso il c.d. "rapporto fiduciario".

"Ora siccome la delibera n. 1 del 1994 non ha formato oggetto di contestazione da parte della Procura Regionale, nessuna responsabilità può essere elevata nei confronti dei componenti della Giunta per la sua adozione, né potrebbe più essere sollevato alcunché, essendo scaduto il termine di cinque anni fissato inderogabilmente dall’art. 1, comma 2, della legge 14 gennaio 1994, n. 20".

A ciò hanno aggiunto che "i provvedimenti adottati dal Sindaco e dagli Assessori entro il 30 giugno 1994, costituendo applicazione della predetta delibera, non potrebbero, dunque, in alcun caso dar luogo a responsabilità, poiché la stessa delibera non può essere disapplicata e copre tutti gli atti emessi in sua esecuzione".

"Per il periodo successivo al 30 giugno 1994, Sindaco e Assessori, pur non essendovi obbligati, non si sono discostati dalle regole che si erano già date con la citata delibera n. 1 del 1994.

Il numero degli addetti agli staff, i compensi, la durata dei rapporti sono stati sempre - a loro dire - quelli prestabiliti con la ripetuta deliberazione n.1del 1994.

Ritiene il Collegio che le argomentazioni svolte al riguardo non possono essere condivise dal momento che, con riferimento alla delibera n 1 del 1994 ed alla delibera n. 73 del 1995, l’eccezione di prescrizione così come sollevata è semplicemente improponibile.

Infatti, nel nuovo ordinamento delle autonomie locali - articolo 58 della legge 8 giugno 1990 n. 142 - è previsto che l’azione di responsabilità si prescrive con il decorso del quinquennio dalla "commissione del fatto".

Detta espressione non può essere intesa nel senso che è sufficiente a dare inizio al periodo prescrizionale il semplice compimento della condotta trasgressiva degli obblighi di servizio dalla quale non sia ancora scaturito alcun nocumento patrimoniale all’Ente pubblico, considerato che l’elemento "fatto" comprende non solo la condotta del soggetto, ma anche l’evento antigiuridico che ad essa consegue.

Da ciò discende che, ove il pubblico nocumento insorga a distanza di tempo dal comportamento colpevole dell’Amministrazione o del dipendente di cui al citato articolo 58 della legge 142 del 1990, è da quel momento che comincia a decorrere il termine prescrizionale quinquennale previsto dalla norma in questione.

In altri termini, l’inizio della prescrizione per il computo del decorso prescrizionale va individuato nel momento in cui diviene perfetta la fattispecie dannosa (il fatto dannoso), nei suoi due elementi costitutivi dell’azione-omissione e dell’effetto lesivo di questa.

Quando le due componenti risultano distanziate nel tempo, ossia quando l’effetto lesivo del patrimonio pubblico si verifica in un momento successivo rispetto a quello del compimento dell’azione-omissione, è da questo secondo momento che inizia a decorrere la prescrizione.

Prima del verificarsi dell’effetto lesivo, dunque, non vi è "interesse" ed in ogni caso mancano i requisiti della certezza e dell’attualità che legittimi ad agire, non essendosi ancora verificato il nocumento patrimoniale di cui si intende chiedere il risarcimento.

Il che postula non soltanto il compimento della condotta illecita, ma anche la realizzazione concreta del danno.

Ciò trova puntuale conferma normativa oltre che nell’articolo 2935 c.c., in base al quale la "prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere" (cfr., per tutte, SS.RR. n. 62/A del 25.10.1996), anche nell’articolo 2934 c.c., atteso che esso è fondato sull’inerzia del soggetto attivo del rapporto e sull’adeguamento di una situazione di diritto ad una composizione di interessi realizzatasi in atto per una volontà del titolare stesso, che appunto attraverso l’inerzia mostra di non avervi interesse".

Inerzia ex art. 2934 c.c., che come manifestazione di volontà del soggetto attivo del rapporto di disposizione del diritto m termini di estinzione dello stesso, non è ravvisabile nelle ipotesi, come quella in esame, il cui soggetto non sia titolare del diritto al risarcimento, o, ancorché titolare, non possa esercitarlo.

Quindi non può ritenersi inerte la parte danneggiata in un regime di responsabilità secondo cui valgono i principi posti dal citato art. 2934 c.c., in base al quale il termine iniziale di prescrizione decorre non già dall’illecito (commissione del fatto illecito), bensì dalla definitività e conoscibilità obiettiva del danno (fatto dannoso).

In tal senso è anche la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, secondo cui, in mancanza della percezione del danno, non è possibile giuridicamente, e non soltanto in via di mero fatto, esercitare l’azione risarcitoria (Cass. civ. Sez. 1, n. 3160 del 4.4.1996).

Risulta, quindi, chiaro che il compimento del fatto dannoso, per rendere possibile l’esercizio dell’azione pubblica risarcitoria, deve essere indissolubilmente legato al verificarsi del danno erariale, cioè al depauperamento dell’Ente.

Solo a questo punto insorgerebbe l’ulteriore problema, per il caso di specie, della individuazione del momento iniziale del periodo prescrizionale dell’azione pubblica, la quale andrebbe individuata dall’insorgenza certa e definitiva dell’obbligazione di pagamento o dal pagamento effettivo del corrispettivo per 1’ incarico conferito.

Orbene, nella fattispecie all’esame, in qualsiasi maniera si intenda collocare il "dies a quo", nessuno dei termini è maturato per cui l’eccezione di prescrizione va respinta perché giuridicamente infondata.

D’altra parte il Collegio reputa, per i motivi esposti, non pertinenti le argomentazioni svolte al riguardo dai convenuti.

Anche l’eccezione concernente l’invocata declaratoria di estinzione del giudizio per cessata materia del contendere è infondata e va, pertanto, respinta.

Infatti, il Collegio reputa di non poter condividere le argomentazioni svolte al riguardo che, sinteticamente, possono così riassumersi: "l’Amministrazione, per regolamentare la propria attività, in materia di consulenze esterne, ha adottato una delibera di carattere generale, la n. 1 del 4 gennaio 1994, che richiama l’art. 51, settimo comma, della legge n. 142/90. Per la scelta dei collaboratori esterni il criterio di riferimento è stato individuato nel c.d. "rapporto fiduciario" anziché nei principi stabiliti dalla predetta normativa.

I provvedimenti adottati dal Sindaco e dagli Assessori costituiscono applicazione della predetta delibera per cui non potrebbero in alcun caso dato luogo a responsabilità".

Gli "staff’ sono stati costituiti in base a regole che sono diverse da quelle che valgono per i collaboratori di alta professionalità perché nella fattispecie la professionalità occorrente non può e essere quella più elevata rispetto alla professionalità rinvenibile nella burocrazia, ma deve essere quella "adeguata" al compito di collaborazione con i responsabili politici dell’amministrazione ed al rapporto di fiducia che deve essere istituito"

A sostegno delle argomentazioni svolte è stato richiamato l’art. 6 della legge 15 maggio1997, n. 127.

Con tale norma - secondo quanto prospettato - è caduto ogni riferimento "all’alto contenuto di professionalità" e "l’unico elemento qualificante viene individuato nella costituzione dell’ufficio".

Il rapporto istituendo non è di tipo "professionale", secondo quanto di norma avviene per le collaborazione di alta professionalità, ma è di lavoro subordinato, regolato dal contratto collettivo.

Dopo la legge 15 maggio 1997, n 127 è intervenuta la disposizione della legge 25 marzo 1999, n. 75, che ha determinato la cessazione della materia del contendere, considerando che la legge n. 7 /99 ha un indiscutibile carattere retroattivo e i suoi effetti, secondo quanto espressamente recita detta norma, si dispiegano "a decorrere dalla data delle prime elezioni effettuate ai sensi della legge 25 marzo 1993, n. 81".

L’assunto dei convenuti non può essere condiviso dal Collegio.

Infatti, come già ampiamente evidenziato, la chiamata in giudizio dei convenuti riguarda le consulenze esterne conferite nel triennio 1994-1996; l’atto di citazione è stato depositato il 12 marzo 1999, mentre l’emendamento all’art. 2 del decreto legge 29 gennaio 1999 è stato presentato per la prima volta al Senato della Repubblica il 23 marzo 1999, approvato il 23 marzo 1999 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 27 marzo 1999.

Ora, indipendentemente dalla qualificazione che si voglia dare alla legge 25 marzo 1999 n. 75, l’indagine della Procura Regionale, effettuata sulle consulenze dei soli anni 1994-1995 e 1996, rendono ininfluenti ed ultronee le argomentazioni svolte al riguardo dalla difesa dei convenuti.

Infatti, ci troviamo, comunque, in presenza di rapporti giuridici già conclusi, ossia esauriti e definiti.

In questo contesto, irretroattività significa che la nuova legge non può modificare, ora per allora, i termini di tali rapporti: non escludere tutto questo significherebbe che, su questioni già concluse, l’ordinamento giuridico può essere modificato unilateralmente a cose fatte e ciò in violazione di un principio di civiltà giuridica essenziale.

Reputa il Collegio che nel caso in esame non è applicabile la legge sopravvenuta n. 75 del 1999 perché incontra il limite del c.d. "facta praeterita" o "del fatto compiuto", per cui le nuove norme non possono essere applicate a rapporti precedentemente sorti, i cui effetti sono già esauriti.

Da ciò discende che non risulta venuto meno l’interesse alla prosecuzione dell’attività processuale in questione.

Infondata è anche l’eccezione sollevata secondo cui la valutazione delle esigenze del ricorso alle consulenze esterne appartiene alla discrezionalità della pubblica amministrazione e come tale insindacabile da parte del giudice della responsabilità, giusto anche il disposto dell’ art 1, comma 1, della legge n. 20 del 1994, nel testo coordinato con il decreto legge n. 543 del 1996, convertito in legge n. 639 del 1996.

Ritiene il Collegio che, nella fattispecie, non si tratta di sindacare il merito di una scelta della pubblica amministrazione, bensì di fare chiarezza sulla sussistenza o meno delle condizioni cui è subordinato l’esercizio legittimo del potere di scelta.

Vale a dire che occorre accertare per ogni incarico se si sia tenuto conto delle predette condizioni e se sia stato rispettato il principio di ragionevolezza, cui deve costantemente improntarsi l’operato degli amministratori; principio che riassume in sé quelli della economicità e del buon andamento dell’ azione amministrativa costituzionalmente garantiti.

Infatti, va rilevato che il Collegio è chiamato a pronunciarsi in ordine ai limiti del potere della pubblica amministrazione di avvalersi dell’opera di soggetti estranei alla propria organizzazione nel perseguire le finalità istituzionali a cui, in via di principio, per la natura di queste e secondo l’apparato di cui dispone, dovrebbe provvedere direttamente con le sue strutture - organi ed uffici - per espletare l’attività istituzionale, il cui esercizio è demandato secondo la legge al proprio apparato e che ricomprende sia l’attività decisionale, identificabile con la funzione o con la potestà pubblica, sia quella tecnica o comunque operativa.

La vicenda in questione concerne, quindi, i limiti entro i quali può riconoscersi alla pubblica amministrazione la potestà di affidare a terzi lo svolgimento di attività connesse alla realizzazione delle proprie finalità, tenendo presente che la legge 8 giugno 1990, n. 142, ha effettivamente assunto portata innovativa, chiaramente puntualizzata nei principi fissati nell’art. 51, per i quali, tra l’altro, "i poteri di indirizzo e di controllo spettano agli organi elettivi mentre la gestione amministrativa è attribuita ai dirigenti".

Seguendo il tracciato già segnato in sede di diversificazione tra attribuzioni degli organi politici e competenze della dirigenza statale di cui al D.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, successivamente rimodellato dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, il legislatore si è ispirato ad un rigido criterio di ripartizione di competenze, riconoscendo agli organi politici poteri di formulazione delle linee guida (indirizzo) e di verifica (controllo) dell’attuazione delle stesse ed assegnando agli organi amministrativi, c.d. burocratici, la concreta gestione degli affari.

Tutto ciò coinvolge inevitabilmente anche la problematica della liceità del ricorso alle prestazione di terzi da parte di un ente pubblico in presenza di uffici con competenze specifiche nell’organizzazione dell’ente medesimo, tenendo presente che, per ciò che concerne le pubbliche amministrazioni, è principio generale, unitariamente e pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza, che l’attività delle amministrazioni stesse deve essere svolta dai propri organi o uffici consentendosi il ricorso a soggetti esterni soltanto nei casi previsti dalla legge o in relazione a eventi e situazioni straordinarie non fronteggiabili con le disponibilità tecnico-burocratiche esistenti.

Correlata ai principi suddetti è la previsione dell’art. 58 della legge n. 142 del la quale, in materia di responsabilità, ha unificato la posizione degli amministratori e del personale degli enti locali sottoponendoli alla giurisdizione di questo unico giudice, innanzi al quale ciascuno di essi è tenuto a rispondere per la violazione delle attribuzioni rientranti nella rispettiva sfera di competenza.

Quindi, in presenza di apparati istituzionalmente preordinati al soddisfacimento di determinate esigenze, deve ritenersi che l’amministrazione possa affidare la realizzazione di queste solo in circostanze particolari, la cui sussistenza deve essere comprovata con elementi certi e puntuali, tali da giustificare, nel caso concreto, la deroga alla regola generale prima indicata Si tratta di principi e criteri enunciati in una serie ripetuta di disposizioni normative ed, in particolare, nell’art. 1, comma 1, nell’art. 6, comma i e nell’articolo 31 del decreto legislativo n. 29 del 1993, peraltro in coerenza con i principi costituzionali di cui gli articoli 97 ed 81 della Costituzione.

Di qui la conseguenza che ogni amministrazione pubblica deve caratterizzarsi per una struttura snella che impieghi anzitutto le risorse umane già esistenti all’interno dell’apparato e che, solo nella documentata e motivata assenza delle stesse, possa far ricorso a professionalità esterne, peraltro da individuare in base a criteri predeterminati, certi e trasparenti.

Anzi, a tal riguardo, la giurisprudenza ha sempre precisato che tali criteri non debbano essere generici, anche perché la genericità non consente un controllo della legittimità sull’esercizio della attività amministrativa di attribuzione degli incarichi.

Applicando i principi evidenziati emerge chiaramente che l’eccezione così come prospettata deve essere rigettata dal momento che, nella fattispecie, viene valutato il comportamento degli amministratori in relazione all’esercizio del potere di scelta che è regolato da precise nonne, nonché tenendo conto dei caratteri e dei compiti che deve svolgere l’amministrazione comunale di Roma.

Non si tratta, quindi, di valutare l’eventuale cattivo uso della discrezionalità, ma l’illiceità della condotta dei responsabili ed il loro comportamento contrario alla normativa vigente.

Il Collegio ritiene infondata, anche, l’eccezione di indeterminatezza della domanda, in quanto la prospettazione di parte attrice in ordine sia al petitum sia alla causa petendi, appare sufficientemente definita, in considerazione dei richiami effettuati nell’atto di citazione, della minuziosa esposizione dei fatti, sulla base della consistente documentazione reperita, delle indagini svolte dalla Guardia di Finanza e delle circostanze tutte rilevanti per la ricostruzione dei fatti stessi riferibili agli attuali convenuti.

In particolare, per quanto attiene alla sussistenza del danno, tali fatti risultano o emergono in maniera sufficiente dagli atti depositati dalla Procura Regionale con l’atto di citazione, atti a cui si ritiene di far riferimento e che si devono intendere integralmente riportati.

Alla luce di quanto prospettato non vi è dubbio, quindi, sulla sussistenza anche del dolo oltre che della colpa grave e del danno nella specie all’esame.

Infatti, dagli atti risulta inequivocabilmente che è stato violato il fondamentale dovere di fedeltà; le regole per il corretto conferimento di incarichi di consulenze a persone estranee all’amministrazione comunale da parte dei convenuti, i quali per ragioni di ufficio erano sicuramente a conoscenza dei fatti dannosi che davano luogo a responsabilità in altri termini vi è il cd dolo contrattuale.

A conforto di quanto sostenuto si evidenzia anche che convenuti hanno giustificato il conferimento delle consulenze sostenendo che sul piano concreto hanno anticipato ciò che, poi, avrebbe previsto una legge futura.

In tal modo hanno teorizzato un complesso di poteri e facoltà in capo agli organi elettivi che, invece, non ha mai avuto riscontro nella realtà giuridica.

In proposito va affermata la diversità tra dolo penale (al quale è assimilabile il dolo c.d. extra-contrattuale, produttivo di responsabilità aquiliana) ed il dolo c.d. contrattuale o in adimplendo, che attiene all’inadempimento di uno specifico obbligo preesistente quale ne sia la sua fonte.

Il primo viene in rilievo come diretta e cosciente intenzione di nuocere, ossia di agire ingiustamente a danno di altri da parte di persona imputabile; il secondo consiste nel proposito sciente di non adempiere all’obbligo stesso.

E’ evidente che nel giudizio di responsabilità amministrativa-contabile, il quale si caratterizza per l’inadempimento di preesistenti doveri di comportamento nascenti dal rapporto di servizio, viene in rilievo il secondo tipo di dolo e nella specie la prova è data dalla circostanza che scientemente sono stati violati doveri di ufficio.

Il Collegio, in tale situazione, ritiene che in ogni caso la situazione prospettata deve essere sanzionata perché configura l’inadempimento da parte degli amministratori e dei funzionari del Comune di Roma di precostituiti obblighi di servizio e perciò i doveri di "comportamento" nascenti dal rapporto che lega tali soggetti alla pubblica amministrazione.

Per quanto attiene al merito, occorre precisare che la richiesta del Procuratore Regionale si fonda, essenzialmente, sul principio in base al quale non è consentito alle pubbliche amministrazioni ricorrere all’opera di soggetti esterni per lo svolgimento di attività rientranti nelle normali attribuzioni dei propri apparati organizzativi.

Al riguardo, ritiene il Collegio di fare, preliminarmente, le seguenti considerazioni.

Gli incarichi esterni possono essere conferiti ove i problemi di pertinenza dell’Amministrazione richiedano conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale dipendente.

Sotto un primo profilo, dunque, l’incarico stesso non deve implicare uno svolgimento di attività continuativa, ma la soluzione di specifiche problematiche e, cioè, di determinate e delimitate questioni; per altro aspetto, presupposto della consulenza è che detta soluzione implichi conoscenze specifiche.

Il ricorso, anche frequente (come nella specie), a professionalità esterne non può - ove non concorrano le condizioni di cui si è detto - considerarsi di per sé uno strumento per allargare (o ampliare) compiti istituzionali e ruoli organici dell’ente, al di fuori di quanto consentito dalla legge.

La possibilità di tale ricorso assume, invero, valore diverso a seconda della tipologia di ente pubblico (Aziende pubbliche, Amministrazioni statali, Enti locali, ecc.).

Al riguardo, affermano i difensori dei convenuti che, attesa la liceità del ricorso agli incarichi esterni quando ciò sia giustificato da oggettive esigenze funzionali, la valutazione di tali esigenze appartiene alla discrezionalità degli amministratori, come tale insindacabile da parte del giudice della responsabilità, giusto anche il disposto dell’art. 1, comma 1, della legge n. 20 del 1994, nel testo coordinato con il d.l. n. 543 del 1996, convertito dalla legge n. 639 del 1996.

L’osservazione, per quanto acuta, non si appalesa risolutiva della vicenda de qua.

Unanimemente e costantemente la giurisprudenza ha riconosciuto che l’attività dell’amministrazione deve essere svolta da propri organi o uffici, consentendosi il ricorso a soggetti esterni solo nei casi previsti dalla legge o in relazione ad eventi o situazioni straordinarie non fronteggiabili con le disponibilità tecnico-burocratiche esistenti (cfr. SS.RR. n.792/1992; Sezione l/A Centrale n 56/1994; Sezione 2/A Centrale n. 30/1992)

In particolare, il conferimento di incarichi esterni è da considerare giuridicamente ammissibile m presenza della sussistenza delle seguenti condizioni:

1) Rispondenza degli incarichi conferiti agli scopi e all’utilità dell’ente; è pacifico e si intuisce facilmente che, ove l’oggetto dell’incarico fosse estraneo alla finalità dell’ente, lo stesso sarebbe privo di causa giuridica, abusivo e, dunque, illecito.

2) Specificità e temporaneità dell’incarico; l’eventuale rinnovo deve risultare sempre limitato nel tempo e opportunamente giustificato.

Se fosse generico o indeterminato nella durata equivarrebbe ad un accrescimento surrettizio delle competenze e degli organici dell’ente.

3) Impossibilità di adeguato o tempestivo assolvimento dell’incarico da parte delle strutture dell’ente, o per insufficienza numerica del personale in dotazione o per mancanza della necessaria professionalità del personale disponibile.

4) Adeguata motivazione del provvedimento di conferimento dell’incarico, al fine di consentire l’accertamento della sussistenza dei requisiti in parola.

5) Proporzionalità degli esborsi connessi all’incarico con i vantaggi conseguibili dall’Ente.

E’ di tutta evidenza che, ove difetti anche una soltanto delle suddette condizioni, il conferimento dell’incarico sarebbe illecito e il compenso a esso conseguente costituirebbe ingiusto depauperamento delle pubbliche finanze.

E’ noto, altresì, che la giurisdizione amministrativo-contabile, pur se inizialmente concepita per perseguire le responsabilità nascenti dallo svolgimento di un rapporto di pubblico impiego, si è, poi, dilatata fino a ricomprendervi qualsiasi rapporto di servizio nascente dall’inserimento, nella organizzazione amministrativa, di soggetti, in via autoritativa o, anche, convenzionale, con investitura dei medesimi a svolgere funzioni obiettivamente pubblicistiche.

Pertanto, statuendo l’art. 58 della legge n 142/1990 (ad esordio del capo XV relativo alla responsabilità) che "per gli amministratori e per il personale degli enti locali si osservano le disposizioni vigenti in materia di responsabilità degli impiegati civili dello Stato", devono ritenersi estese al settore della responsabilità per danno erariale arrecato all’ente locale dal suo amministratore o dipendente, le norme di carattere processuale (art. 52 del R.D. n. 1214/1934; artt. 82 e 83 del R.D. n. 2440/1923; artt.18 e 19 Legge n. 3/1957), le quali attraggono nell’ambito della giurisdizione della Corte dei conti tutte le controversie in tema di responsabilità di funzionari, agenti e impiegati statali.

Appare, altresì, evidente che il legislatore, interponendosi per una più ampia attuazione del precetto di cui al II comma dell’art. 103 Cost., abbia inteso eliminare una diversità di trattamento tra il funzionario dello Stato ed amministratore di ente locale, diversità che, segnatamente, in relazione alla non coincidenza degli apparati giurisdizionali e dei meccanismi processuali da attivare per il giudizio sugli illeciti perpetrati dagli uni e dagli altri, non appariva più giustificabile a fronte delle numerose critiche della dottrina e delle stridenti inconvenienze segnalate dalla giurisprudenza.

In questo caso di riequilibrio assume pregnante significato l’abrogazione espressa (art. 64 della nuova legge), tra le altre norme del T.U n. 383/1944, di quelle che assegnavano all’A.G.O la cognizione dei giudizi per generica responsabilità amministrativa (artt. 261,263,264 e 265).

La nuova disciplina della materia si presenta, in tal modo, chiaramente contrassegnata dalla concentrazione davanti a questo Giudice, di tutti i giudizi di responsabilità patrimoniale - amministrativa e della conseguente eliminazione della ripartizione della giurisdizione.

Per dovere di completezza, la Sezione deve, inoltre, precisare che la giurisprudenza della Corte dei conti, proprio occupandosi delle consulenze assentite da enti locali, ha statuito l’inquadrabilità dell’illecito contabile discendente dall’affidamento di detti incarichi, nell’ambito delle responsabilità ex art 254 R D 3/3/1934 n 383.

Alla stregua di quanto sopra esposto, ritiene il Collegio che la domanda attrice sia fondata e meritevole di accoglimento pur con le dovute precisaziom che saranno successivamente indicate.

La difesa dei convenuti si incentra, in particolar modo, sui seguenti punti:

  1. Liceità degli incarichi deliberati con provvedimento n 1/1994, nella considerazione che quest’ultimo non risulta contestato;
  2. Erronea interpretazione dei fatti, attesa la natura degli stessi;
  3. Svolgimento di compiti di indirizzo politico e di controllo e non di natura amministrativa;
  4. Riconoscimento della indispensabilità dei compiti affidati ai collaboratori esterni;
  5. Inesistenza del danno;
  6. Previsione regolamentare in ordine alla oggettivazione dei criteri finalizzati all’esercizio del potere discrezionale;
  7. 7) Assenza di "proteste" a livello sindacale e, di conseguenza, nessuna mortificazione per il personale del Comune di Roma;
  8. 8) Obbligatorietà del parere del Segretario Comunale, ai fini della legittimità del procedimento e conseguente mancanza dell’elemento soggettivo.

Osserva, al riguardo, la Sezione, come già esposto, che gli incarichi di consulenza possono essere conferiti ove i problemi di pertinenza dell’Amministrazione richiedano conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale dipendente.

Ma, a ben vedere l’art. 51 della legge n. 142/1990, ed in particolare il comma 70 al quale la delibera fa espresso riferimento, prevede collaborazione esterne ad alto contenuto di professionalità per obiettivi determinati e con convenzioni a termine e la legge n. 127/1997, all’art.6, comma 8, fermo restando quanto sopra, si limita ad aggiungere che "il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi può inoltre prevedere la costituzione di uffici posti alle dirette dipendenze del sindaco, della giunta o degli assessori, per l’esercizio delle funzioni di indirizzo e di controllo loro attribuite dalla legge, costituiti da dipendenti dell’Ente, ovvero da collaboratori assunti con contratto a tempo determinato.

Sempre in materia di incarichi, la legge n. 81/1993, che , come è noto, modificò ampiamente la legge n. 142/1990 (elezione diretta del Sindaco e competenze degli organi comunali), trattando dei poteri del Sindaco, fa espresso riferimento alle modalità e ai criteri stabiliti dall’art. 51, nonché dai rispettivi Statuti e Regolamenti.

Quasi contestualmente, il decreto legislativo n. 29/1993, all’art. 7, comma 6, ha ribadito che "per esigenze cui non possano far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali a esperti di comprovata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione".

Infine, la legge n. 75/1999, art. 2, comma 2 bis, che, ad avviso di parte convenuta avrebbe dovuto rappresentare una specie di "sanatoria"; in realtà non poteva sanare una situazione non preesistente (facoltà di istituire i c.d. uffici di staff), ma, soprattutto, perché non è stata, comunque, esclusa la conformità delle nomine alle condizioni e ai requisiti previsti dalla precedente normativa e, di conseguenza, l’illiceità delle nomine disposte in violazione dei suddetti principi, come giustamente evidenziato dal pubblico ministero.

Orbene, posto che la deliberazione comunale n. 1/1994 aveva natura programmatica (impegno di fondi per gli incarichi di consulenza) e, dunque, e di per sé legittima, si appalesa, altresì, non commendevole l’uso distorto che, in pratica, gli Amministratori del Comune di Roma hanno posto in essere, conferendo incarichi in spregio ai principi che, peraltro, essi stessi avevano precisato.

In buona sostanza, ritiene il Collegio che, pur se rispettosi, sotto l’aspetto formale, dei criteri dettati dalla legge, in realtà gli odierni convenuti hanno inteso conferire incarichi a spese del bilancio comunale e, quindi, a carico della collettività amministrata, a favore di soggetti non in possesso della specifica professionalità, disattendendo e travisando così il dettato normativo.

Appare, altresì, priva di pregio l’affermazione che l’apparato burocratico fosse corrotto e incapace, di tal che la necessità di ricorrere a persone di fiducia

Ma è vero il contrario, atteso che proprio gli Amministratori avrebbero avuto il dovere di valorizzare la struttura amministrativa (cfr. art. 24, comma 4, dello Statuto), senza gravare sul contribuente.

Dall’esame di tutti gli incarichi conferiti emerge chiaramente che trattavasi di consulenze generiche, per le quali, in concreto, non era necessaria alcuna competenza specifica e che coincidevano con le funzioni degli uffici, i quali, come già evidenziato in narrativa, disponevano di organici particolarmente consistenti, nell’ambito dei quali sicuramente sarebbe stato possibile scegliere dipendenti dotati di capacità ad espletare i compiti affidati ai collaboratori esterni e che, al di là delle surrettizie generiche definizioni, si sono, invero, dimostrate normali attività rientranti nell’azione amministrativa comunale, svolta, altresì, da soggetti non forniti di particolari competenze nei settori oggetto di consulenza, né in possesso dei requisiti di alta specializzazione, eccedenti, comunque, analoghe professionalità del dipendente personale.

Né la semplice e apodittica affermazione di inesistenza di tali professionalità è utile a far superare la previsione normativa, in quanto nessun accertamento in tal senso risulta, in realtà, effettuato.

In sintesi, al fine di favorire persone di fiducia, portavoce, segretari, ecc. si sono, di fatto, conferiti incarichi sulla base di criteri diversi da quelli indicati nella citata deliberazione n. 1/1994, disattendendo volontariamente i principi richiamati dalla legge e che trovano ingresso solo e ogni qualvolta un’amministrazione intenda affidare un incarico di consulenza che, ripetesi, non deve implicare uno svolgimento di attività continuativa, ma la soluzione di specifiche problematiche e, cioè, di questioni ben precise e delicate.

Diversamente opinando, appare chiaro che l’affidamento degli incarichi in discussione si risolva in un ingiustificato ricorso ad estranei per lo svolgimento di funzioni proprie dell’apparato, come nella presente fattispecie.

In conclusione, contrariamente a quanto asserito dalle rispettive difese, l’insussistenza del danno deve essere connotato dalla impossibilità per l’ente di procurarsi altrimenti - con il personale e le strutture già a disposizione e senza aggravio di spese - i beni e servizi di cui si discute; occorre, altresì, l’indifferibilità della loro acquisizione, nel senso della non procrastinabilità ad altro momento organizzativo che consenta la stessa acquisizione con maggiore economicità.

In altri termini, deve ritenersi che il perseguimento dei fini istituzionali deve avvenire esclusivamente sulla base degli schemi approntati dal legislatore, onde ogni diversa azione non solo non è utile per l’Amministrazione, ma elusiva del fine pubblico cui l’ente deve tendere.

Una diversa condotta, volta a legittimare incarichi del genere di quelli assentiti e la relativa spesa, implicano una vistosa elusione alla normativa dettata al riguardo; ne consegue che la spesa effettuata riveste i connotati dell’illiceità e, quindi, del danno erariale.

Orbene, dagli atti processuali si evince che tutti gli incarichi assentiti e più volte reiterati si fondavano su compiti di pertinenza dell’apparato comunale, le cui strutture erano adeguate rispetto alle esigenze di funzionalità poste a base delle assentite consulenze, consistenti in attività marginali, senza alcuna utilità per l’Ente.

Evidente è, altresì, il nesso causale tra la condotta e l’evento pregiudizievole per l’erario, giacché proprio le delibere di conferimento e reiterazione degli incarichi hanno prodotto il lamentato illecito esborso.

Comprovato è, poi, l’elemento psicologico della colpa grave, risultando chiaro che gli incarichi di consulenza furono affidati senza i necessari presupposti, con lo scopo evidente, quindi, di affiancare alla struttura comunale soggetti estranei per l’espletamento di compiti istituzionali.

Ad avviso del Collegio, va affermata la responsabilità anche per il Capo di Gabinetto e per i Segretari Comunali.

La legge prevede, al riguardo, il loro intervento nel procedimento di formazione della volontà dell’ente locale, conferendo un ruolo di qualificata consulenza a garanzia della legalità dell’azione dell’ente medesimo.

Orbene, i pareri sono atti preparatori volti ad illuminare gli organi di amministrazione attiva in ordine agli aspetti tecnico-contabile e di legittimità dell’atto.

Riguardando la parte istruttoria, i pareri non possono essere esercitati ex post e, comunque, non sono vincolanti, ma debbono fornire adeguata motivazione, perché entrano a far parte integrante ed essenziale del provvedimento deliberativo. Ne discende che, nel caso in esame, doveva emergere chiaramente la non rispondenza degli incarichi attribuiti, atteso il preciso riferimento all’art. 51, comma, della legge n. 142/1990 e, di conseguenza, un giudizio negativo avrebbe comunque potuto sortire l’effetto di evidenziare la non liceità dei provvedimenti, poi, adottati.

Pertanto, la piena responsabilizzazione nel perseguimento del fine pubblico, se da un lato rivaluta la figura del Segretario Comunale, che diviene il primo garante del legittimo operare della Pubblica Amministrazione, dall’altro ricollega a esso la conseguente responsabilità amministrativa e contabile.

Considerato quanto sopra esposto, le pur sottili distinzioni tra incarichi di consulenza e l’istituzione dei c.d. staff, ad avviso del Collegio, non sono idonee ad escludere che, lungi dal riconoscere una qualsivoglia utilità pubblica nel comportamento dei convenuti, si è in presenza di attività svolta esclusivamente a favore del Sindaco e dei suoi collaboratori, al fine di soddisfare esigenze che nulla hanno a che vedere con l’interesse pubblico generale, in pratica, disattendere in assoluto l’organizzazione burocratica esistente, che - a ben vedere - avrebbe certamente svolto i compiti richiesti con la identica professionalità, senza ulteriore spese a carico della collettività, rappresenta diminuzione patrimoniale ingiusta per la collettività amministrata, né tali asserite "particolari funzioni" hanno, in concreto, risolto bisogni pubblici; anzi, al contrario, hanno influito negativamente in capo ai contribuenti.

Reputa il Collegio che la vicenda descritta che ha avuto grande eco sulla stampa e che è stata seguita con una certa preoccupazione dell’opinione pubblica per il modo disinvolto di amministrare la finanza pubblica, integri una fattispecie di responsabilità.

Infatti, i convenuti si sono resi responsabili di comportamenti illegittimi e illeciti, nonché della violazione delle regole di efficienza, economicità ed efficacia in cui si compendiano i principi del c d "buon andamento" e della "sana gestione" ai quali deve essere improntata l’azione di qualsiasi amministrazione pubblica e privata.

In ogni caso, nella fattispecie, difettano le condizioni surrichiamate per il conferimento delle consulenze esterne, per cui tali incarichi debbono considerarsi illeciti ed i compensi ad essi conseguenti costituiscono ingiusto depauperamento delle finanze del Comune di Roma.

In tale situazione, ritiene il Collegio che il danno concretamente subito dal Comune di Roma, che si ripercuote m definitiva sulla collettività, è grave ed é "in re ipsa".

In ogni caso, è stata sufficientemente provata la sussistenza di un nocumento patrimoniale del Comune di Roma, prendendo in considerazione tutti gli elementi acquisiti, valutandoli autonomamente ai fini propri del presente giudizio, nonché tenendo conto del danno del quale sono stati ampiamente evidenziati i profili, del nesso di causalità, degli elementi oggettivi e soggettivi dell’obbligazione risarcitoria per cui è domanda, nonché del collocamento funzionale tra i fatti dannosi e l’illecito conferimento degli incarichi di consulenze a persone estranee all’amministrazione comunale da parte dei convenuti, con un comportamento di questi ultimi, contrario ai doveri di fedeltà e lealtà verso lo Stato, alla cui osservanza, peraltro, i Sindaci e gli Assessori sono particolarmente tenuti.

Alla stregua delle esposte considerazioni la richiesta di risarcimento di cui al presente giudizio è fondato nei confronti di tutti i convenuti.

Il danno va quantificato, secondo le indicazioni della parte attrice, in complessive £. 1.090.547.564,

(unmiliardonovantamilionicinquecentoquarantasettemilacinquecentosessantaquattro)

Sulla somma indicata, va calcolata la rivalutazione monetaria, dalle date di effettuazione dei pagamenti fino al deposito della presente sentenza e, da tale data, sulle stesse somme vanno calcolati gli interessi legali fino alla data dell’effettivo risarcimento.

Le spese seguono la soccombenza.

 

PQ.M

LA CORTE DEI CONTI

Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione reietta, condanna a risarcire, a favore del pubblico Erario, secondo la seguente ripartizione, i signori:

- Rutelli Francesco £. 301.674.228
- Tocci Walter £. 85.020.662

- Lanzillotta Linda £. 54.353.997
- Cecchini Domenico £. 85.020.662
- Piva Amedeo £. 85.020.662
- Borgna Giovanni £. 85.020.662
- Sandulli Piero £. 85.020.662

- Farinelli Fiorella £. 54.353.997

- Minelli Claudio £. 85.020.662

- Barrera Pietro £. 85.020.662
- Gagliani Caputo Vincenzo £. 73.337.027
- Cordelli Adriano £. 11.683.635
oltre rivalutazione ed interessi come in motivazione.

Condanna, altresì, i suddetti al pagamento delle spese di giudizio che, fino alla data di pubblicazione della presente sentenza, si liquidano in £. 5.186.705.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 15/5/2000, proseguita il 26/5/2000 e 4/7/2000.

Il Direttore della segreteria omissis

Depositata il 25.09.2000

 

M A   D O B B I A M O   D A V V E R O   V O T A R E   P E R   L U I  ?

 

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