la chiesa di S. Vito |
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una chiesa da salvare " ... don Valentino Di Cerbo, mi ha pregato di sottoporti un "pezzo" dell'arch. Lala di Napoli che descrive la chiesa di S. Vito. La chiesa conserva una pala del XVII/XVIII sec. con una splendida cornice di legno dorato e dipinto, un vero apparato scenico formato da un architrave finemente decorato sorretto da due colonne con capitello composito. Le colonne, scanalate, sono decorate alla base. La tavola che è di cm. 135 X 194 e l'intero apparato scenico è attualmente presso il mio studio per il restaurato, come è menzionato dall'arch. Lala, nel suo articolo. Ezio Flammia " S. Vito di Giuseppe Lala Se un abitante di Nansignano, dopo una vita trascorsa all'estero, tornasse nel suo paese percorrendo in pullman la strada che da Solopaca conduce a Frasso, sbirciando attraverso il finestrino in un primo momento crederebbe di avere sbagliato posto e di trovarsi dinanzi ad un altro paese. Egli aveva sognato Frasso così come lo aveva lasciato per emigrare in un paese lontano. Si aspettava di trovare i colori e gli ambienti che gli erano rimasti impressi nella memoria e invece gli si era parata dinanzi, lungo la strada, la frontiera di nuovi palazzetti, il nuovo edificio comunale e la mole del palazzo multipiani nella piazza IV Novembre. |
Poi, proseguendo oltre, dopo la piazza, trova tutto un fervore di cantieri edilizi e finalmente, uscito fuori dal paese, nell'aria limpida di quella mattina d'estate, vede il ponte di Maltempo e più avanti San Vito e solo allora esulta, felice di non aver sbagliato strada.
Questa storia è certamente inventata ma in fondo una verità esiste perché oggi effettivamente Frasso, visto da lontano, appare immutato nel suo aspetto complessivo ma da vicino ci si accorge che le trasformazioni dovute allo sviluppo edilizio l'hanno completamente trasformato e le trasformazioni non sono urbanistiche ma architettoniche, sono mutati i particolari: le strade sono sempre quelle, la piazza è la stessa, i vicoli sono gli stessi, ma molta di quell'antica e dignitosa edilizia si è trasformata in anonimi palazzotti moderni, le strade ripavimentate con cubetti di porfido, le balconate in pietra scomparse per dar luogo agli sporti in cemento, le scale in cotto o in pietra che ornavano gli interni trasformate in granito o peggio ancora in rosa del Portogallo.
Ma questi episodi di brutale trasformazione il nostro viaggiatore li ha già dimenticati nel momento in cui gli si è parata innanzi la chiesetta di San Vito, con le sue candide cortine bianche, con la sua immutabile semplicità.
E quindi gli corrono alla mente gli anni felici della sua giovinezza e la tristezza del giorno in cui, spinto dalla necessità, dovette lasciare il suo paese.
Una descrizione pressochè completa di questa chiesetta ce le fornisce il Canonico Pietro Fusco (1810-1879) che così scriveva:
"Questa chiesa è situata sopra una vasta pianura di un quarto di miglio non lontano da Frasso di ius patronato del Collegio. Essa è cinta dintorno da un muro quadrato, ma diruto, ed a costo di essa cevi un giardino bastantemente grande. Dentro questo muro vi si scorge una cisterna.
Attacca colla detta Chiesa un compresso di case composto di due stanze superiori, a queste vi si accede mediante una scalinata di fabbrica, e due sottane e mette per abitazione del romito. Ha una campana, la quale fu benedetta da Mons. Albini, patrizio beneventano e Vescovo di S.Agata dei Goti il di 13 giugno 1706 e fece da maestro delle sacre cerimonie il canonico Sig. D'Andrea Lucio di S.Agata.
In essa chiesa vi sono cinque altari, cioè il primo della Madonna della Libera, il secondo di S.Vito, il terzo di S.Eligio, il quarto dei SS. Cosma e Damiano ed il quinto finalmente di S.Maria del Popolo.
In questa Chiesa vi si cantano annue messe tre dal Collegio, cioè una nella terza festa di Pasqua di Resurrezione, ossia martedì in albis, nell'altare di S.Vito. La seconda nella terza festa di Pentecoste nell'altare di S.Maria del Popolo e la terza finalmente nella festa di S.Vito il 15 giugno nell'altare di S.Vito."
San Vito - attualmente di proprietà comunale, ma precedentemente appartenuta alla Collegiata del SS.Corpo di Cristo - ha dato il nome anche alla località nella quale è ubicata e, molto probabilmente la sua fondazione risale al XVII secolo. La facciata estremamente lineare - vi si aprono un'unica porta con sovrastante oculo - è scandita ai lati da paraste e superiormente è conclusa da un timpano triangolare; l'elemento naif di questa chiesetta è quel coronamento curvilineo posto al di sopra del timpano che, interrompendo la regolarità dell'insieme, le dà il carattere di architettura spontanea .
Nel timpano è inserito un pannello con i miracoli di san Vito; composto di 20 riggiole maiolicate questo pannello reca al centro l'immagine del Santo ed ai lati sei scene rappresentanti i suoi miracoli: uomini e donne aggrediti da cani, forse in preda alla rabbia oppure cani molto probabilmente guariti da questa malattia per intercessione del Santo. Superiormente l'immagine di San Vito è sormontata dal simbolo dell'eterno (l'occhio inserito nel triangolo) mentre inferiormente una corona regale contiene due palme simbolo del martirio.
Uno dei maggiori esperti di ceramica campana, Guido Donatone, nativo di Airola, ha pubblicato questo pannello nel volume Maiolica popolare Campana, edito dal Banco di Napoli nel 1976 e curato dalle Edizioni Scientifiche Italiane. Il Donatone attribuisce il pannello alle Fabbriche di Cerreto, datandolo agli inizi del XIX secolo.
Un modesto campanile, di forma quadrangolare con una guglia a pera, completa l'aspetto esterno di questa graziosa architettura "casareccia".
Mentre sulla facciata esterna e su quelle laterali la chiesa è discretamente conservata, notevoli sono, nella parte posteriore, i segni del degrado e dell'incuria: quella che era l'abitazione del romito - le due stanze superiori e quelle inferiori - è diruta, così come la scala esterna di accesso, quasi impraticabile per la folta vegetazione che via via sta divorando e sconnettendo la muratura .
L'interno contrasta con l'ortogonalità dell'esterno. Osservandola bene si sente che al metro si sono sostituiti i passi, che la livella e il filo a piombo sono stati ignorati, che il modellato dei muri risente di quella stessa vivacità plastica di un oggetto di argilla prodotto dalle mani di un artigiano.
Il programma iconologico di questa chiesetta doveva essere quasi tutto ispirato ai santi taumaturghi o connessi alla cultura contadina, ma dei cinque altari descritti dal Fusco ne restano solo tre: quello dei santi Cosma e Damiano, quello di san Vito ed un terzo, dove il culto originario è stato sostituito con quello di san Pasquale.
Appena varcata la soglia, sulla sinistra, troviamo quindi l'altare dedicato ai santi Cosma e Damiano, parimenti venerati nell'Oriente e nell'Occidente cristiani, detti gli Anargiri (in greco, "senza argento") per la buona abitudine di prestare la loro opera di medici senza chiedere compenso alcuno. I poteri risanatori di questi due santi hanno per secoli affascinato uomini e donne, sia che si trattasse di contadini, come quelli che li pregavano per la buona salute del bestiame, che medici chirurghi che già dal medioevo fondarono confraternite sotto la loro protezione.
Un gustoso episodio, legato ai miracoli di questi due santi, ci è raccontato da Jacopo da Varagine: papa Felice, avolo di san Gregorio fece costruire in Roma una magnifica chiesa in onore dei santi Cosma e Damiano; in questa chiesa si trovava un servitore dei santi martiri al quale un cancro aveva divorato tutta la gamba. Durante il sonno gli apparvero i santi Cosma e Damiano i quali dopo un breve consulto decisero di prelevare dal cimitero di san Pietro in Vincoli la gamba di un etiopico appena sepolto al fine di sostituirla con quella malata. L'operazione riuscì perfettamente: svegliatosi durante la notte e non sentendo alcun dolore, capì dell'avvenuto miracolo e corse subito al cimitero ove trovò la gamba del moro tagliata e quella sua posta nella stessa tomba. Questo famoso episodio è ben descritto dall'artista spagnolo Alfonso de Sedano nel dipinto Il miracolo dei Santi Cosma e Damiano, ca. 1500, conservato a Londra presso il Wellcom Institute.
La fama dei miracoli ortopedici di questi due santi ha certamente influito sulla devozione frassese tant'è che accanto all'altare sono depositati ex voto di arti e tutta una serie di grucce, antiche e moderne.
Un altro santo al quale era dedicato un altare era sant'Eligio, protettore degli orefici, dei fabbri e dei maniscalchi (categorie fra le più più benestanti già dal medioevo). Il culto di questo santo francese, oramai sparito da questa chiesa, ebbe diffusione nel Meridione durante la dominazione angioina (cfr. la chiesa gotica di S.Eligio al Mercato in Napoli).
Il santo più venerato è certamente san Vito, il titolare della chiesa; questi, vissuto nel IV secolo, subì il martirio sotto Diocleziano ed è uno dei 14 santi ausiliatori. Il suo culto ebbe vasta diffusione nel V secolo soprattutto nell'Italia meridionale ove è tuttora invocato per alcune infermità quali l'Epilessia (ballo di San Vito), l'Idrofobia, la Corea; è altresì invocato contro i Lampi ed il cattivo tempo, il Morso di bestie velenose e idrofobe. E' protettore dei Bottai, dei Calderai e dei Vignaioli.
L'altare a lui dedicato, molto semplice, così come vuole il carattere campestre dell'architettura ma con decorazioni in stucco più elaborate rispetto agli altri due, è arricchito da una pala con l'immagine del santo con l'immancabile cane, san Francesco e la Madonna col Bambino circondata da nuvole ed angeli.
Questa pala, insieme alla struttura in legno dorato che funge da cornice è in corso di restauro presso lo studio Flammia di Roma per cui una descrizione più dettagliata si rimanda a restauro completato. Appare già, ad una prima lettura, che la cornice non è di pertinenza della chiesa e nemmeno del dipinto; quest'ultimo, realizzato su tavola, presenta notevoli differenze stilistiche, come se fosse stato più volte rimaneggiato da autori diversi.
Vivaci stucchi, certamente settecenteschi, arricchiscono questa chiesa così come una graziosa acquasantiera in pietra posta accanto ad un ingresso laterale. Quello che però colpisce di più sono le ingenue raffigurazioni di animali e piante, riportate su affreschi o incise su pietra, come quelle visibili sulla soglia di ingresso; è nella plastica bellezza delle pareti bianche e in queste semplici raffigurazioni, testimonianze di un lontano mondo contadino che sta il segreto che affascina chi visita questa chiesa per la prima volta. Il tutto, di un gusto arcaico e prezioso allo stesso tempo, appare realizzato senza complicazioni cerebrali, plasmato e modellato con cura da uomini in contatto umile e fraterno con la fede, in un contesto perfettamente armonioso con la natura, senza stonature.
Nella comunità frassese è chiaramente visibile il segno lasciato dalla chiesa nei secoli all'interno della società: conservare la memoria diventa allora oltre che un impegno civile, un dovere etico, tenuto conto che per le comunità cristiane i beni culturali assumono valore di "segni e strumenti privilegiati di tradizione". Di qui la necessità di inserire il problema della tutela e della valorizzazione di tali beni nel contesto della pastorale della cultura fin qui affrontato in Frasso solamente dal nostro don Valentino che ne sta facendo una dimensione qualificante della sua stessa azione pastorale e sul quale propongo di far cadere la scelta nella prima edizione del premio Città di Frasso da assegnare ogni anno "Al cittadino che abbia manifestato il proprio amore per Frasso".
Restauriamo quindi, la chiesetta di S.Vito, rimettiamo in sesto i tre altari pervenutici, puliamo gli affreschi e nelle riquadrature vuote degli stucchi inseriamo delle raffigurazioni in maiolica; per queste ultime si potrebbe bandire un concorso fra gli studenti dell'Istituto d'Arte della ceramica di Cerreto Sannita in modo da coinvolgere anche il meglio dei futuri maestri maiolicari. Infine, rimettiamo in sesto l'abitazione del romito e ripristiniamo la cinta di muro quadrato ora diruto. L'intera operazione, di una certa rilevanza culturale, restituirà alla memoria collettiva l'aspetto originario di un complesso che nei momenti difficili costituiva l'unico punto di riferimento e di fede per coloro che non potevano fare altro che affidare le loro speranze ai santi taumaturghi e ridarà decoro a tutta la zona di San Vito che insieme al complesso in via di completamento potrà alla fine risultare un ulteriore polo di sviluppo turistico per Frasso Telesino.
Per concludere mi permetto di dare un consiglio ai frassesi: prima di sciupare argento per guarire dai vostri malanni recatevi a piedi a S.Vito, potreste ricavarne qualche giovamento, perchè l'aria di questa collinetta fa bene alla salute e soprattutto allo spirito; lo hanno dimostrato quelle simpatiche frassesi, abitanti nei dintorni, che durante una pausa del lavoro di rilievo e di documentazione fotografica, ci hanno fatto visita e, insieme ai gioiosi bambini che le accompagnavano, hanno reso vivace ed allegra la permanenza sui luoghi .
Se poi l'aria di S. Vito non dovesse essere sufficiente allora affidatevi a san Vito stesso o, meglio, ai santi Cosma e Damiano i quali, pur in assenza di ricettario, ed in virtù dei loro poteri taumaturgici potrebbero fungere da mediatori col divino per restaurare la vostra integrità fisica.
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