Il
Piemonte è una regione ricca di acqua, ma questa ricchezza non è un bene
inesauribile, molti fattori la mettono a rischio.
La
ricchezza d’acqua piemontese deriva principalmente da fattori climatici quali la
piovosità e l’innevamento con il relativo periodo di scioglimento del manto
nevoso. Questo crea una discontinuità non indifferente nella portata di fiumi e
ruscelli, i quali hanno di conseguenza a questi fenomeni periodi di abbondante
portata alternati a periodi di “magra” se non di prosciugamento totale in anni
particolarmente poveri di precipitazioni estive, e proprio nel periodo estivo si
verifica la maggior richiesta di acqua per usi sia irrigui che civili. (Un
aspetto a se ha invece la richiesta a uso industriale che è
continua).
Questo ha causato e causa
tutt’oggi un’uso scriteriato e poco attento alle conseguenze sull’ambiente di
sistemi di canalizzazione o sbarramento (dighe o laghi artificiali) con relativo
prosciugamento di lunghi o brevi tratti del letto di naturale scorrimento delle
acque, al fine di creare delle scorte di approvvigionamento continuo.
Se questo poteva avere
qualche giustificazione nel passato in quanto le conoscenze sull’esito di queste
opere umane sull’ambiente poteva essere scarsa oggi non ha più nessuna
giustificazione; molti studi approfonditi ci dimostrano ormai tutti gli effetti
dei dissesti idrologici che ne conseguono, ma soprattutto molte esperienze
tragicamente vissute, prima tra tutti la diga del Vajont (pur non essendo nella
nostra regione), quanto l’alluvione del ’94 o le successive di minor portata
mettono dolorosamente in condizione di toccare con mano che i danni maggiori
sono stati causati dall’opera dell’uomo che ha voluto arrogarsi il diritto di
deviare i corsi dei fiumi, sbarrarli, prosciugarli, incanalarli. L’acqua è vita
in ogni sua forma, ma possiede anche una violenta di distruzione
Occorre
prendere coscienza che continuando a modificare il corso della natura si creano
squilibri che spesso aumentano la portata del problema invece che diminuirla …
con l’intervento umano si sposta o si rimanda da una zona all’altra, ma più
spesso ad effetti futuri il problema acqua … così che, ad esempio, se con la
costruzione di una diga la pianura avrà una maggiore possibilità di avere acqua
in ogni periodo dell’anno, la montagna ne avrà un danno che presto si riverserà
anche sulla pianura, togliere l’acqua ad un territorio anche ristretto significa
causare la morte dell’habitat che lo circonda con conseguente disseccamento di
ogni forma di vita, alberi compresi, (altro aspetto non trascurabile è la
distruzione dell’ecosistema animale ed in particolare di quello ittico) che
rimarranno sul posto e con la prima piena verranno trasportati a valle creando i
famosi effetti barriera contro i ponti … le varie alluvioni ci dimostrano poi
come questo crei il crollo degli stessi o le esondazioni che trascinano via
interi quartieri, è questo non è che uno degli aspetti della questione relativa
alle modifiche che l’uomo apporta all’ambiente con opere di
cementificazione.
La
modificazione dei corsi d’acqua non è ovviamente l’unico problema ad essa
legata, se ci si addentra nel tema seguendo immaginariamente il corso di un
fiume dalla sorgente alla foce, o quanto mento all’uscita di questo dai confini
regionali, ci troveremo davanti ad una variegata realtà da
affrontare.
L’acqua
è un bene comune e patrimonio dell’umanità, come sempre più spesso viene
ribadito a proposito della privatizzazione, l’accesso all’acqua è un diritto
umano fondamentale, universale e degno di protezione giuridica. A questo
proposito si è espresso anche il Parlamento Europeo in data 11 marzo 2004 con
due importantissimi emendamenti al rapporto Miller con 201 voti contro 106.
Il
primo, scritto direttamente dai presenti che così recita:
"
L'europarlamento ritiene che, essendo l'acqua un bene comune
dell'umanità, la
gestione delle risorse idriche non debba essere assoggettata alle norme del
mercato interno liberalizzato e privatizzato",
mentre
il secondo dice
"
L'europarlamento raccomanda fortemente di cessare ogni ulteriore forma
di
liberalizzazione dei servizi pubblici come l'acqua, la salute
e
l'educazione". (**1)
Sulla
strada della privatizzazione poi si può anche tornare indietro come dimostrano
sia la Regione Campania,:
“ Acqua:
bloccata la privatizzazione in Campania
venerdì, 29 ottobre,
2004
Il Comitato italiano per
un Contratto mondiale sull'acqua esprime soddisfazione per l'importante
risultato raggiunto, insieme con le forze politiche della Regione Campania, con
l'approvazione all'unanimità da parte del Consiglio Regionale della Campania
riunitosi ieri di un ordine del giorno che impegna la Giunta regionale della
Campania ed il suo presidente a sostenere l'affidamento diretto "in house" del
Servizio Idrico Integrato di Napoli.
"Tale affidamento, in
sostanza – precisa il Comitato -, significa che la gestione del S.I.I. deve
essere garantita da una s.p.a. interamente pubblica. Tale decisione si inserisce
nell'ambito di un percorso di freno alla privatizzazione dei servizi pubblici,
necessario per considerare "di fatto" l'acqua come un bene comune dell'umanità e
l'accesso all'acqua come un diritto umano fondamentale ed universale”
(**2)
Che il
Comune di Verbania che in data 8/10/2004 approva un ODG che riconosce a livello
comunale l’applicazione dei contenuti del “CONTRATTO MONDIALE
DELL’ACQUA” (**3)
A questo proposito si
cita ancora un documento del
Municipio di Torino del 1926
“Rifuggendo
dal seguire l’esempio delle altre Aziende congeneri, il Comune ha sempre
ritenuto che l’acqua non debba formare oggetto di speculazione, e quindi ha
ragguagliato le sue tariffe di vendita al prezzo di costo, tenendo giusto conto
degli interessi sul capitale investito ed accantonando inoltre rilevanti
ammortamenti.
……..
Inoltre conviene tener presente che il Comune, alieno da ogni intento
speculativo, ha messo in seconda linea i criteri puramente industriali, quando
contrastavano con quelli di utilità pubblica.
…….. (Nonostante ciò abbia comportato un
aggravio dei costi economici) coll’esercizio del proprio acquedotto il Comune ha
raggiunto tutti gli scopi che si proponeva, sviluppo industriale ed edilizio e
quello dei pubblici servizi anche in Comuni contermini, ha risolto annosi
problemi igienici portando l’acqua in tutto il territorio, non escluse le
regioni più eccentriche e meno redditizie ed ha funzionato energicamente da
calmiere sul prezzo dell’acqua …. Pur mantenendo sempre un bilancio
attivo…” (**
4)
Leggendo
tra le righe di questo documento si riconosce anche un lato economico
collaterale e cioè che il garantire
l’uso dell’acqua in ogni abitazione, risolvendo problemi igenici comporta una
spesa minore nella voce di bilancio “salute pubblica”, e che tale risparmio
concorre a coprire il disavanzo eventuale della gestione
acqua.
Su
questo argomento sono sorti e si sono movimentati anche nella nostra provincia
svariati comitati e gruppi di lavoro locali, di cui alleghiamo i vari documenti
e lavori (vedi mappa degli allegati)
Ritorniamo
all’inizio del nostro viaggio, l’acqua, come l’aria è un dono della natura essa
sgorga libera, spontanea, ed accessibile ad ogni essere vivente senza costi, per
questo non può ne deve diventare una merce soggetta alle logiche del mercato e
in special modo di quello consumistico.
La
maggior parte delle sorgenti che hanno un buona portata e una idonea qualità di
acqua subiscono fin dalla fonte un prelievo atto a soddisfare il fabbisogno di
acqua potabile dei paesi limitrofi, se poi la qualità diventa pregiata si
innesca anche il prelievo ai fini commerciali di imbottigliamento e vendita
della stessa su vasti territori. Un recente decreto Legislativo, poi, (in. 31/01) che unifica tutte le acque
non minerali rende possibile l’imbottigliamento a fini commerciali di acque
“generiche” spesso confuse dal consumatore come “acque minerali” essendo
generalmente messe sul mercato dalle stesse industri dell’acqua minerale, e
comportano un prelievo maggiore di acqua dalle fonti.
Continuando
a scendere il corso del fiume, anche se non di molto, ci imbattiamo in quanto
descritto prima e cioè: il proliferare di dighe o laghi artificiali, che il più
delle volte sconvolgono sia il paesaggio che il clima delle vallate alpine, atte
a soddisfare tanto le necessità irrigue delle pianure sottostanti che la
produzione di energia idroelettrica. Creando spesso anche danni “invisibili”
causati dal dissesto idrologico in profondità, di penetrazione o prosciugamento
di falde acquifere sotterranee che andrebbero ad uscire magari nella vallata
attigua portando quindi il disequilibrio non solo nella zona direttamente
interessata ma “misteriosamente” anche a chilometri di distanza dove magari si
prosciuga improvvisamente una fonte , guardando un raggio ancora più ampio vari
scompensi causati dall’effetto barriera costituito dalle dighe del trasporto di
materiale solido che va ad impoverire tanto i successivi tratti di fiume quanto
le coste … (**** in attesa doc da allegare frere2 e altri)
Le
politiche insensate degli ultimi anni hanno messo in atto oltretutto un
proliferare smisurato di richieste di costruzioni di piccoli invasi per centrali
idroelettriche “speculative” in base alla (normativa o legge da verificare) n°
____ attraverso la quale si garantiscono contributi a fondo perso per l’impresa
costruttrice, al fine di garantire la produzione del 2% di energia pulita da
affiliare a centrali più grandi che trovano il loro impianti a valle. Spesso per
questo tipo di invasi vengono “scelti” ruscelli di modestissima portata i quali
non hanno nemmeno la pendenza necessaria per sviluppare la generazione di
elettricità e che a causa della loro caratteristica montana si trovano in
diversi periodi dell’anno già semi vuoti, e non garantiscono quindi nemmeno il
funzionamento di tali dighe per tutti i mesi dell’anno.
Come
effetto collaterale aumenta il rischio di frane, che possono non interessare
direttamente le vicinanze del corso del fiume ma sono una chiara e diretta
conseguenza dello sbilanciamento degli equilibri dell’ecosistema circostante:
dove il sottosuolo viene svuotato di acqua e impoverito di vita autoctona con
radici profonde si crea a poco a poco un disidratamento della montagna
soprastante, oppure ed al contrario riempiendo il fondo valle di acqua si vanno
a destabilizzare sottili equilibri in quota. (** doc
alleg?)
Spesso
poi si assiste all’abbandono della pulizia degli alvei dei fiumi, specie nei
tratti ove sia stata tolta l’acqua per canalizzarla, che provocano poi come già
detto prima il trasporto a valle di detriti durante le piene.(**doc
alleg?)
Per
quanto riguarda l’uso a scopo irriguo bisogna sottolineare che l’agricoltura fa
una richiesta sempre maggiore di acqua e non perché siano aumentate le superfici
coltivate, anzi, ma perché sono stati abbandonati, (anche merito alle normative
del Mercato Comune Europeo atte a limitare in Italia e a favore di in altri Stati da cui poi
le dobbiamo importare…) certi tipi di coltivazione o produzione che erano
endemici delle nostre zone e che erano meno idrivori delle colture che le hanno
sostituite come mais e riso, e anche a nuovi sistemi di irrigazione come ad
esempio quelli antibrina(** vedi allegato Coldiretti)
Parallelamente
iniziamo a trovare anche lavori di canalizzazione dell’acqua per usi delle medio
piccole industrie locali, spesso ormai abbandonati. Questi privi di qualsivoglia
manutenzione sono un altro tassello del quadro di questo tema che causa problemi
in caso di alluvioni come nel caso dei canali abbandonati per uso industriale
tessile del Biellese (**in attesa di allegato)
Iniziamo
a trovare le prime tracce del fenomeno di inquinamento delle acque, che
purtroppo crescerà di entità ad ogni passaggio del cammino verso la foce: per
troppo tempo i corsi d’acqua sono stati “usati” da smaltimento rifiuti,
specialmente quelli liquidi, si preleva acqua pulita e si restituisce al fiume
acqua “sporca” senza uso di adeguati impianti di depurazione, questo fattore
attualmente almeno per quanto riguarda l’uso civile è stato quasi ovunque
superato, ma il problema sussiste per molti altri aspetti tra cui: l’uso di
concimi e fertilizzanti in agricoltura, come di acque restituite dopo essere
state usate da attività così dette “artigianali” come l’estrazione o la
lavorazione di pietre. Un capitolo ancora a parte è l’uso industriale che
dovrebbe essere monitorato da apposite leggi, ma non sempre viene rispettato.
(**doc. arpa sul monitoraggio fiumi laghi)
A questo
punto diventa evidente quanto sia importante che la
Regione
legiferi in merito alla tutela delle acque in tutti i suoi aspetti e con tutta
l’autonomia che le è propria.
In
riferimento a quanto esposto fin ora, e riconoscendoci in quanto esposto nel
Contratto Mondiale dell’acqua e ribadito in forma riassuntiva dalla
Dichiarazione di Roma del 10 dicembre 2003, chiediamo a chi amministrerà
la regione nei prossimi anni:
●
di“…riconoscere
il carattere di “bene comune pubblico” dell’acqua e degli ecosistemi e pervenire
all’esclusione dell’acqua dalla categoria dei “beni e servizi mercantili” e non
solo per quanto riguarda l’utilizzo idro-potabile. Essenziale ed insostituibile
anche per altre attività economiche (agricole, energetiche, industriali) di
natura fondamentale per il diritto alla vita ed il vivere insieme. L’acqua deve
essere considerata un bene comune pubblico anche in questo
caso.
L’acqua
ed i servizi idrici non devono essere l’oggetto di negoziati commerciali ma di
regole mondiali che definiscono e promuovono un a valorizzazione e gestione
dell’acqua sostenibile come bene comune e diritto umano universale….
●
di
adoperarsi al fine del raggiungimento dei sei proposti dalla stessa
dichiarazione di Roma 2003 e da attuare entro 5/10 anni:
1°
“costituzionalizzare” il Diritto all’Acqua
2°
trasformare l’acqua in uno strumento di pace
3°
liberare le/i portatrici d’acqua (ragazze e bambini prevalentemente) destinando
una percentuale anche piccola del fatturato a progetti di cooperazione
internazionale verso quei paesi che soffrono per carenza di acqua
potabile.
4° porre
fine al pompaggio ed ai consumi devastanti a favore del riciclagglio
5°
inventare la finanza cooperativa per l’acqua
6°la
democrazia locale dell’acqua.
Si
allega copia della dichiarazione di Roma del 10 ottobre 2003 in occasione della
giornata speciale dell’acqua, formulata da comuni, parlamentari ed esponenti della società civile di
vari paesi del mondo.
●
Attuare
norme a livello Regionale attraverso le quali, ed in sintonia anche con quanto
emendato dal Parlamento Europeo in data 11 marzo 2004, la gestione del ciclo
integrato dell’acqua venga affidata completamente in “house” ad S.p.A. capitale
interamente pubblico, con riconversione delle gestioni attualmente a capitale
misto o privato in pubblico-pubblico.
●
Stabilire
un piano di attuazione di reti duali che rendano possibile l’uso di acqua non
potabile per tutti gli usi non alimentari alla maggior parte dei
cittadini.
●
Rivedere
le tariffe di concessione per l’imbottigliamento delle acque minerali, che
spesso sono esigue, traendo da questo una maggiore entrata da destinarsi ai
Comuni in cui hanno sede le sorgenti sfruttate, i quali saranno tenuti a
destinare questa fonte di introito in opere di riassetto idrogeologico dei
versanti montani.
●
Frenare
la costruzione dei grandi invasi in montagna,e limitare il proliferare di quelli
piccoli o di laghi artificiali a scopi idroelettrici, soprattutto laddove non
sussistano in natura le condizioni favorevoli a un buon rendimento della stessa,
impedendo quindi la canalizzazione e intubazione di tratti di fiumi atti a
favorire il “salto” di quota necessario alla produzione di energia elettrica,
permettendo l’esclusiva creazione di piccoli invasi solo in condizioni di non
deturpamento e disequilibrio dell’ecosistema naturale ne di quello
paesaggistico, sfruttando i naturali “salti” dell’acqua senza creare impatti
ambientali di sorta.
●
Lo
stesso vale per gli invasi a scopo agricolo. Qui è principalmente necessario
risalire alla fonte del problema e cioè incrementare quelle coltivazioni che per
tipologia non richiedono una forte irrigazione in periodi non
piovosi
●
Prevedere
piani e finanziamenti per il riassetto idrogeologico delle zone montane, solo
monitorando e sanando i problemi di tale riassetto, unito all’incentivazione
della pulizia degli alvei dei fiumi montani, ma non solo, anche di quello di
boschi che sempre più frequentemente vengono lasciati a se stessi, si può
pensare di iniziare a mettere in atto un piano che preservi la pianura dai
rischi alluvionali.
●
A questo
proposito potrebbe trovare spazio una proposta di legge “adotta un bosco”, che
passerebbe attraverso un attento censimento da parte del Corpo Forestale di
tutte quelle aree (boschi e tratti di alvei o sponde di fiume) lasciati incolti
e che negli anni rappresentano un rischio sia alluvionale che di meno
permeabilità e sostegno radicale di grosse piante del terreno favorendo il
formarsi di frane in occasione di periodi si forti piogge, assegandone
(ovviamente escludendo l’avvalorarsi futuro dell’uso capione) la
manutenzione/pulizia a quei privati o piccole imprese al fine della produzione
di legna da ardere.
●
Sempre
in merito all’assetto idrogeologico occorre un censimento dei canali di acque
per usi industriali ormai in disuso e che in caso di “piene” causano seri
problemi (aspetto per approfondire il materiale di Biella)
●
Monitoraggio
e risanamento degli inquinamenti ….. da
finire….