12
marzo 2004
Cuneo
TAVOLO
DELLE ASSOCIAZIONI
Un programma per
le elezioni provinciali ..e non solo
LE
SCELTE ECONOMICHE NON SONO INDISCUTIBILI E DEVONO ESSERE FATTE GUARDANDO AL
BENESSERE COLLETTIVO.
L’economia non è una cosa naturale che, attraverso le
leggi del mercato, governa nel miglior modo possibile la vita degli uomini.
L’economia è invece il frutto di scelte fatte dagli uomini. Bisogna quindi
intervenire con decisione per far si che al centro dell’iniziativa economica
e politica vengano posti gli uomini e le donne e non gli interessi materiali
di una minoranza. Questo fondamentale concetto viene trattato diffusamente anche in altri
documenti presentati in questo incontro. In questo documento noi vogliamo
richiamare alcuni elementi riferiti alla nostra realtà locale e poi formulare
alcune richieste concrete alla futura amministrazione provinciale.
Anche nella nostra provincia le difficoltà economiche
incominciano a farsi sentire e c’è il rischio reale che i costi vengano scaricati
soprattutto sui lavoratori sia attraverso la perdita del posto di lavoro sia
con la messa in discussione dei diritti fondamentali.
La disoccupazione in provincia si è attestata al 3,1%
nel 2003. Questo dato non può però farci dimenticare che soltanto nella zona
di Cuneo sono in pericolo diverse centinaia di posti di lavoro e che le previsioni
formulate dagli industriali locali sono tra le peggiori degli ultimi anni.
Per quanto riguarda le assunzioni dobbiamo rilevare che nel 2002 e nel 2003
oltre l’82% delle assunzioni in provincia di Cuneo sono state effettuate con
un contratto a tempo determinato
Le ricette applicate negli ultimi anni hanno contribuito
a determinare questa situazione. Pensare di risolvere problemi complessi attraverso
la riduzione dei costi e l’aumento della precarietà si è rivelata una scelta
perdente. Infatti, non è possibile per un apparato produttivo come il nostro
pensare di vincere questa sfida attraverso la riduzione del salario e non
puntando decisamente verso la ricerca e le innovazioni. Il tessuto produttivo
provinciale è formato da molte piccole e medie aziende e quindi è ancora più
importante il ruolo che possono svolgere, a questo proposito, gli enti locali
e le forze economiche e sociali.
Noi crediamo che sia
indispensabile che anche gli enti locali, a partire dall’amministrazione provinciale,
lancino chiari segnali che vadano nella direzione di una valorizzazione del
lavoro e dei lavoratori e siano dei segnali inequivocabili verso un diverso
tipo di sviluppo.
Potrebbero essere molte le cose da dire a questo riguardo
e ci sarà tempo per farlo. Come prima cosa noi crediamo sia importante chiedere
alla prossima amministrazione provinciale di adoperarsi affinché il lavoro
ritorni ad occupare il ruolo che gli viene assegnato dalla costituzione italiana.
IL
LAVORO NON E’ UNA MERCE
Il diritto al lavoro é un diritto fondamentale posto
alla base della Costituzione Italiana, e quindi il lavoro non può essere trattato
come una merce al servizio della produzione.
Le ultime leggi votate dal parlamento vanno però in
un’altra direzione. Diventano centrali le leggi del mercato e tutto deve essere
funzionale all’accumulazione ed alla crescita economica, senza che nessuno
valuti le conseguenze che queste scelte avranno sulla vita di milioni di donne
e di uomini, soprattutto delle fasce più deboli.
A questo riguardo crediamo sia fondamentale operare
affinché l’applicazione del decreto legislativo 276/2003 (chiamata impropriamente
legge Biagi) avvenga con una grande attenzione verso i valori e le necessità
di cui si parlava. Per chiarire nel modo più dettagliato possibile quali
sono gli impegni che secondo noi l’amministrazione provinciale deve assumere
se vuole lanciare un segnale chiaro che vada nella difesa del valore del lavoro
e contro la precarizzazione delle condizioni di vita di moltissimi uomini
e donne abbiamo diviso le questioni in alcuni capitoli.
1. In merito alle agenzie di intermediazione di manodopera
premesso che
·
affinché il lavoro sia un diritto
é necessario che tutti siano posti nella stessa condizione per l’accesso evitando
non solo le discriminazioni etniche, culturali, di religione, di sesso e di
espressione politica e sindacale ma anche quella che possono derivare dalla
intermediazione di una merce dotata di una propria intelligenza e personalità;
·
i rischi di una discriminazione
di fatto determinata dalla convenienza, come della “buona azione”, di favorire
un disoccupato rispetto ad un altro saranno sempre più alti;
·
che l’articolo 6, secondo comma,
del decreto legislativo 276/2003 prevede la possibilità per molti soggetti
diversi siano autorizzati a svolgere attività di intermediazione di manodopera
costituendo proprie “agenzie di intermediazione” secondo quanto previsto dal
decreto legge citato.
considerato che
·
la frammentazione dei soggetti
autorizzati alla gestione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro non
offre maggiori possibilità di lavoro alle lavoratrici/ori né risponde adeguatamente
alle esigenze delle imprese che ricercano personale.
·
l’avere introdotto la possibilità
a una miriade di soggetti pubblici e privati accreditati, tutti messi sullo
stesso piano, di esercitare nel MdL (Mercato del Lavoro) intermediazione di
manodopera in tutte le sue forme (comprese somministrazione, ricollocazione,
ecc) risponde forse all’esigenza di fare anche della disoccupazione un mercato
redditizio dal punto di vista economico e politico, ma metterà in difficoltà
il servizio pubblico e creerà una segmentazione istituzionalizzata
del MdL;
·
il pubblico con sempre meno
risorse: - tutti i soggetti accreditati potranno utilizzare risorse
pubbliche, - dovrà accollarsi l’onere di collocare le persone che le varie
agenzie non giudicheranno redditizie, senza avere gli strumenti né economici
né normativi per esercitare un vero governo del MdL;
·
tutte le agenzie pubbliche
e private sono considerate paritarie e alle Province con i CpI (Centri per
Impiego) non è neppure assegnato il ruolo di “coordinamento”;
·
una simile struttura abbinata
a una moltitudine di rapporti di lavoro individualizzati renderà impraticabile
un intervento pubblico sulle politiche attive del lavoro;
·
le risorse serviranno a pagare
gli avviamenti a prescindere dalle caratteristiche professionali delle persone
o da quelle del lavoro offerto;
si ritiene che
·
le amministrazioni locali debbano
rispondere a una simile destrutturazione e smantellamento del sistema pubblico
che l’ U.E. continua a considerare strumento indispensabile, scegliendo la
strada del sostegno e rafforzamento di un sistema univoco e pubblico;
·
sia necessario che gli oltre
1200 Comuni Piemontesi rifiutino una logica che li porterebbe a costruire
in proprio oltre 1200 collocamenti e partecipino, invece, con le Province
alla costruzione di una rete pubblica che abbia come fulcro i CpI,
unici titolari dell’intermediazione;
·
specifiche convenzioni tra
Province e Comuni possono prevedere la messa in rete di competenze, servizi,
anche specialistici, modalità di progettazione e gestionali di politiche attive,
di orientamento, di formazione, capaci di rendere effettivo l’incontro tra
domanda e offerta, dando pari opportunità a tutte le parti in cerca di lavoro.
·
l’esperienza abbia insegnato
che fare intermediazione non vuol dire incrociare due dati e neppure limitarsi
a mettere in rete informazioni su chi cerca e chi offre lavoro, ma presuppone
un lavoro difficile e costoso sia nei confronti delle persone e delle
aziende, il ruolo e le competenze acquisite dai comuni possono essere giustamente
valorizzate rifiutando un ruolo improprio di intermediazione e contribuendo
alla definizione e alla gestione di servizi complementari alla buona riuscita
si richiede all’amministrazione
provinciale di:
·
operare affinché venga mantenuto centrale il ruolo pubblico
dell’intermediazione di manodopera, coinvolgendo in quest’azione anche i
comuni della provincia.
2. In merito alle funzioni della provincia come “datore
di lavoro” e come “committente” di lavori”
premesso che
·
le funzioni di governo del
territorio e dei servizi utili alla comunità di riferimento non devono essere
svolte in funzione della riduzione costante e progressiva dei costi poiché
molte volte questo avviene a scapito della qualità dei servizi e delle condizioni
di reddito, di lavoro e di sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori interessati;
·
la scarsa esperienza e la insufficiente
conoscenza del luogo in cui si è chiamati ad operare sta determinando, come
ormai è dimostrato dal numero degli infortuni nel primo giorno di lavoro e
dall’indice di frequenza degli stessi tra i lavoratori precari o temporanei
o in affitto (da oggi in regime di “somministrazione”), una crescente insicurezza
per le lavoratrici interessate;
si ritiene che
per queste ragioni, le amministrazioni pubbliche debbano adottare provvedimenti
amministrativi e misure organizzative improntate ad evitare che si abbassi
la qualità del servizio e delle condizioni di dignità e di sicurezza dei lavoratori
interessati, rinunciando ad utilizzare direttamente quelle forme di rapporto
di lavoro caratterizzate dalla impossibilità per un essere umano di migliorare
professionalmente e nella propria personalità e socialità e della insicurezza
crescente, che penalizzano i diritti e non combattono il lavoro nero;
si richiede all’amministrazione
provinciale di:
·
non utilizzare le forme di prestazione di lavoro meno
dignitose quali:
·
il lavoro in “regime di somministrazione” a “tempo indeterminato”,
cioè in prestito a vita;
·
il lavoro “a chiamata”, definito dalla legge “lavoro intermittente”,
cioè in attesa di essere chiamato per lavorare per le ore o i giorni di
cui l’impresa ha bisogno;
·
il lavoro “ripartito”, per cui una singola prestazione
di lavoro può essere svolta da più prestatori d’opera (tra loro solidali
anche in caso di dimissioni: si dimette uno e si licenzia in due);
·
di limitare il ricorso alle Collaborazioni Coordinate
Continuative solo nei casi esulanti dalle normali e continuative esigenze
dei servizi, stipulando contratti ad alto contenuto professionale e garantendo
i diritti normativi e retributivi delle lavoratrici e dei lavoratori.
3. In merito all’impiego di lavori svolti tramite contratto
con imprese d’appalto
premesso
che
il ricorso a lavori in appalto dovrebbe riferirsi a lavori specifici, non continuativi
e ripetibili a distanze di tempo lungo;
si richiede all’amministrazione
provinciale di:
·
evitare in ogni caso di sottoscrivere contratti di committenza
con imprese di appalto che operano come intermediari di manodopera senza
svolgere una autonoma attività lavorativa e senza essere fornitori di prodotti
e servizi;
·
garantire il rispetto pieno delle norme contrattuali necessarie
a garantire un lavoro dignitoso.
4. In merito all’inserimento persone svantaggiate
premesso che
·
da sempre, l’inserimento nel
mondo del lavoro delle persone svantaggiate e delle fasce deboli, costituisce
un campo di intervento e non solo finanziario dei Comuni e delle Pubbliche
Amministrazioni;
·
l’esperienza maturata dimostra
che per ottenere risultati soddisfacenti, in grado di evitare ghettizzazioni,
è necessario attivare politiche di inclusione che siano in grado di muoversi
su più fronti: quelli soggettivi (rimotivazione – formazione, etc..) – quelli
socio / economici riguardanti sia la persona che il nucleo familiare – quelli
del contesto lavorativo;
·
l’Articolo 13 del dlgs. 276
cancella questa impostazione prevedendo:
·
per le persone “svantaggiate”
l’obbligo di accettare lavori somministrati a termine, con trattamento retributivo
e normativo inferiori a quelli dei CCNL;
·
per i Comuni o le Province
il compito di stipulare convenzioni con le Agenzie di somministrazione che
dovrebbero trovare un lavoro a termine alle persone svantaggiate presso imprese
che stipuleranno un contratto di somministrazione;
si ritiene che
questa sia una politica sbagliata, e controproducente, sul piano occupazionale
e sociale poiché sancisce una ghettizzazione delle persone svantaggiate,
escludendole da ogni prospettiva di lavoro “normale,.
si richiede all’amministrazione
provinciale di:
·
non stipulare convenzioni con le agenzie di somministrazione;
·
predisporre vere politiche per l’inclusione nel mondo
del lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori più deboli presenti nel territorio.
5. In merito alla certificazione.
premesso che
·
con l’introduzione di ulteriori
tipologie di lavoro (si raggiungono oltre 45 tipologie) e una deregolamentazione
normativa sia dei “singoli” rapporti di lavoro, che delle possibilità di terziarizzazione
dell’impresa (appalti, cessioni, staff leasing), il nuovo decreto legislativo
lascia aperti ampi spazi alla contestazione e all’impugnazione da parte delle
lavoratrici e dei lavoratori;
·
per evitare il contenzioso,
dare certezze alle imprese e rendere difficile il ricorso alla Magistratura
da parte delle lavoratrici e dei lavoratori il legislatore ha disposto che
vengano istituite commissioni di certificazione con il compito di certificare
l’autenticità dei singoli rapporti di lavoro, la genuinità degli appalti,
i regolamenti delle cooperative;
·
la norma prevede che la scelta di ricorrere alla certificazione
sia volontaria ma è noto che il lavoratore al momento dell’assunzione è la
parte più debole, conseguentemente sarà la parte più forte, il datore di lavoro,
a scegliere;
·
dopo la certificazione i lavoratori
potranno ricorrere all’autorità giudiziaria solo per particolari e specificate
situazioni e solo se avranno esperito la conciliazione obbligatoria e che
gli effetti della certificazione permarranno sino alla sentenza di merito;
considerato che
tale scelta che punta all’individuazione “costrittiva”
dei rapporti di lavoro e che la sede sede di certificazione potrebbero essere
anche le Province,
si richiede all’amministrazione
provinciale di
·
non istituire la commissione di certificazione.