Intervento
del Gruppo Agire Locale del TSF ai lavori del tavolo tematico
Deindustrializzazione
e grandi opere: sono queste le prospettive per Torino?
Presso il Politecnico
di Torino, Sabato 1 Febbraio 2003
Questo che si tiene oggi qui è il primo momento formale
e pubblico, che si svolga a Torino, di confronto tra il Nuovo Movimento ed
associazioni ed organizzazioni della società di più antica costituzione.
Credo che il modo migliore di iniziare a confrontarsi sia
che ciascuno esprima le posizioni fin qui elaborate in seno ai rispettivi
ambiti; questo intervento intende riportare, con questo spirito, le principali
valutazioni del Torino Social Forum sul tema in discussione in questa sala,
“deindustrializzazione e grandi opere: sono queste le prospettive per Torino?”
Il TSF ha tenuto
l’anno scorso un seminario sul Piano Strategico 2000-2010 per la città, redatto
da quella strana creatura che e` Torino Internazionale, una realtà extra-istituzionale
cui viene assegnato molto potere e molto denaro pubblico.
Il giudizio scaturito dal seminario è nettamente critico
sia per il merito di molte delle scelte, che si pongono oggettivamente ancora
nell’ottica dello sviluppo illimitato, sia per il metodo della concertazione
a 360 gradi che costituisce l’essenza, secondo noi fintamente democratica,
di Torino Internazionale.
Il nostro giudizio
sul merito dei principali progetti del Piano parte da una premessa, che è
questa:
-
non si possono fare, da parte di singole
persone o istituzioni, delle belle analisi sull’esigenza di sostenibilità
ambientale e sociale solo quando si parla di grandi questioni mondiali e poi
non mettere in pratica la stessa logica quando si fanno scelte locali per
il futuro del proprio territorio;
-
non si può manifestare contro questa
guerra infinita, fatta perché il 20% dell’umanità possa continuare a consumare
risorse energetiche a livelli insopportabili per il pianeta, e poi non mettersi
coerentemente nell’ottica di fare scelte, anche nei progetti locali, che vadano
nel senso di correggere le nostre attuali storture nei consumi, queste iniquità
nell’accesso alle risorse.
Noi del TSF abbiamo
voluto analizzare il Piano Strategico per il futuro della città utilizzando
lo stesso metro di valutazione, gli stessi criteri che usiamo quando parliamo
di globalizzazione, di WTO.
Ed è in questa
ottica che consideriamo molto negative le logiche delle grandi opere e dei
grandi eventi che ispirano Torino Internazionale; grandi opere che violentano,
anche socialmente, il territorio e grandi eventi, di valenza mediatica, da
consumare in pochi giorni.
I due esempi più
significativi, ma non gli unici, di queste logiche sono l’Alta velocità e,
ovviamente, le olimpiadi 2006.
La prima, il TAV,
soprattutto, è emblematica, perché ha molti dei caratteri dell’insostenibilità:
-
non solo perché sarebbe il colpo di
grazia per il futuro della Valsusa sul piano ambientale e sociale,
-
ma anche perché prefigura un modello
di città vista unicamente come snodo di flussi di persone e merci (non considerando
che si debba invece porre un limite alla tendenza alla mobilitazione esasperata
delle merci),
-
un’opera faraonica come il TAV, inoltre,
nella totale assenza di investitori privati, consumerebbe tutti gli investimenti
pubblici disponibili, a scapito degli altri settori quando, oltretutto, autorevoli
studi hanno già dimostrato che alla fine, in esercizio, produrrebbe un costante
deficit pubblico,
Il TAV è infine insostenibile anche per il regime speciale
di cui gode, in quanto grande opera, sul piano finanziario e della regolamentazione
degli appalti (cosa che può favorire tentativi di corruzione, di infiltrazioni
mafiose, insicurezza del lavoro nei cantieri).
Sapete come si
chiama l’impresa General Contractor della TAV? Quella che fa il bello ed il
cattivo tempo nel concedere gli appalti? Si chiama FIAT Impregilo.
Questo fatto fa
emergere una seconda caratteristica del Piano Strategico: contiene molte scelte,
condivise dagli enti locali, che accompagnano un grande processo di deindustrializzazione
dell’area, che indirettamente sostengono la riconversione delle imprese, lo
spostamento della ricerca di profitto verso la cantieristica.
Tutte le opere
danno un unico risultato certo: dall’impiego di denaro pubblico scaturiscono
dei profitti alle imprese private di costruzione. Un meccanismo un po’ diverso
dai passati aiuti statali alle aziende, ma col medesimo senso di trasferimento.
E questo vale non solo per il TAV e le Olimpiadi, ma anche per il boom della
speculazione immobiliare che viene fatta sui luoghi della città liberati dalla
chiusura delle fabbriche: il terreno cambia destinazione d’uso ed aumenta
enormemente di valore; sopra ci si costruisce edilizia di lusso.
Questa economia
della cantieristica: case, infrastrutture di trasporto, impianti e villaggi
olimpici, viene enormemente decantata come fonte di occupazione del futuro:
ma ha il carattere della transitorietà, della precarietà, della povertà di
diritti per i lavoratori, della scarsa sicurezza per la salute sul luogo di
lavoro.
Quand’anche si rivelassero
almeno in parte credibili altre scommesse di Torino Internazionale, come nei
settori sopravvalutati del turismo e dell’innovazione tecnologica, dove oggi
in realtà l’aerospaziale e la ricerca nell’informatica e telecomunicazioni
sono in crisi, il quadro occupazionale nel futuro di Torino sarebbe del tutto
inadeguato ad un’area metropolitana di un milione di abitanti: avrebbe una
nicchia di alte professionalità stabili ed una norma di precariato tale da
impedire alle giovani generazioni di potersi fare un progetto di vita affidabile.
E` una prospettiva che, specie se generalizzata, obbligherà a ripensare profondamente
anche la struttura dello stato sociale a cui siamo abituati (cassa integrazione,
pensione). Di questi aspetti stanno in questo momento discutendo qui al Politecnico,
nel dibattito contemporaneo su Lavoro, diritti e cittadinanza.
Certo il Piano Strategico non è solo cantieristica, Alta
Velocità, olimpiadi: ci sono circa 90 azioni progettate al suo interno. Ma
le logiche di fondo principali sono ben rappresentate dagli esempi che abbiamo
fatto.
Il giudizio del TSF su Torino Internazionale è molto critico
anche sul piano del metodo, come dicevamo all’inizio. Questa associazione,
che annovera oggi oltre 100 soci tra Banche, grandi aziende, unione industriale,
enti locali, università, sindacati e perfino la chiesa, ha avuto questa genesi:
l’origine, a fine anni 80, si trova in una serie di studi e convegni della
Fondazione Agnelli sul futuro di Torino (si parla di Tecnocity, di città della
cultura, di terziario avanzato, di competitività territoriale in Europa…);
poi più recentemente, nel 98, l’amministrazione Castellani raccoglie questo
tema in chiave di strategia per una progressiva indipendenza della città dall’economia
dell’automobile e fonda il Forum per lo sviluppo, che in due anni commissiona
studi a Università e Politecnico e con la conseguente patente di scientificità
scrive il Piano e si trasforma nell’attuale struttura.
Questa aggregazione di enti è ben altra cosa dal modello
di democrazia diffusa sul territorio di cui si parla a Porto Alegre, nota
come Bilancio Partecipativo e, questa si, basata sulla ricostruzione dal basso
della partecipazione diretta dei cittadini.
E` piuttosto un
modello di concertazione totale in cui pare si sia trovata magicamente la
chiave di volta di un bene supremo, di un interesse comune a tutti, ma che
nella realtà dei fatti che si stanno rivelando copre e giustifica soprattutto
gli interessi, certi, di profitto a breve per gli imprenditori che si dedicano
a grandi opere e grandi eventi, le cui eventuali ricadute positive sulla collettività
saranno tutte da verificare in futuro.
Le creazioni tangibili
di Torino Internazionale sono, intanto, alcune serie di scatole cinesi, fatte
di agenzie promozionali e fondazioni che paiono molto spesso fini a se stesse,
che campano di molto denaro pubblico, che danno lustro e non solo a imprenditori
e baroni universitari che sono presidente dell’una, vicepresidente dell’altra,
consigliere di una terza ed una quarta…
Questa è l’analisi
critica sul grande progetto esistente per il futuro della città che il TSF
può confrontare con i cittadini e con le associazioni ed organizzazioni della
cosiddetta società civile.
L’accelerazione
drammatica nella crisi epocale dell’industria dell’auto qui a Torino ci impone
di affrontare su tutti i piani il problema del futuro dell’area ed io credo
che il Social Forum debba rendersi disponibile ad una fase di largo confronto,
chiarendo che le proprie convinzioni sono, come a questo punto sarà ormai
chiaro, di non volersi affatto far cooptare in ambiti concertativi e di non
voler perseguire la logica dello sviluppo illimitato.
Siamo coscienti
del fatto che quest’ultima condizione abbia implicazioni anche culturali,
nel senso che impone di non utilizzare categorie di analisi dello sviluppo
e punti di riferimento classici cui eravamo tutti abituati per valutare cosa
sia bene e cosa sia male, ma di ricercarne e sperimentarne di nuovi.
Facciamo un esempio
su di un argomento che credo sarà necessariamente oggetto di confronto ampio
nell’immediato futuro: il modello di mobilità sostenibile di cui vorremmo
dotare in futuro l’area torinese. E` uno degli argomenti centrali della discussione
nel terzo tavolo di incontro oggi, qui nelle aule del Politecnico.
Secondo noi non
basta affatto puntare ad un’auto col motore meno inquinante: resterebbe l’assurdità
di un sistema centrato su di un elemento, l’auto individuale, tra i più inefficienti
e perciò insostenibili su larga scala, perchè consuma troppa energia per spostare
le molte tonnellate che servono per muovere i pochi chili di una persona.
Così come, nella stessa logica, sarebbe sbagliato costruire ferrovie ed autostrade
a capacità sempre maggiore per le merci, quando l’obiettivo della sostenibilità
su larga scala impone di ridurre la quantità di merci circolanti allo stretto
necessario (pensiamo alle assurdità delle acque minerali del sud Italia bevute
al nord e viceversa, al latte munto in polonia, trattato in Germania e consumato
da noi).
Mobilità sostenibile,
per un ambiente più vivibile per noi e per le altre specie viventi, per le
risorse energetiche della terra, per il rispetto delle generazioni future,
per noi significa più mezzi pubblici e meno auto private, ma anche veicoli
che, come deve essere anche per le case del futuro, consumino di meno, utilizzino
fonti di energia rinnovabili, siano prodotti con procedimenti diversi dal
passato, progettati nell’ottica del minimo rifiuto finale, con materiali e
parti recuperabili e riciclabili.
Aggiungerei che
una rete di trasporti collettivi sostenibile può ben basarsi, secondo noi,
su quelle opere previste nel Piano Strategico che giudichiamo positivamente
perché vanno nella direzione descritta, come il servizio Ferroviario Metropolitano,
la metropolitana, i parcheggi di interscambio ai confini dell’area urbana,
ma non certo su infrastrutture come il TAV, su parcheggi sotto le piazze centrali.
Ecco: con queste
caratteristiche, quella che uscirà dai lavori di oggi su questo tema potrebbe
essere una delle bozze di discussione che il TSF porta al confronto con cittadini
ed associazioni, con la prospettiva di avviare una fase di studio comune e
di dibattito che possa portare a proposte e rivendicazioni in una piattaforma
per quella che si può anche chiamare “vertenza sociale per il futuro di Torino”,
di cui la città ha certamente bisogno in un momento di passaggio così grave
come quello attuale, per poter offrire anche domani occasioni di lavoro dignitoso
e stabile, tali da consentire ai giovani di poter progettare da persone libere
la propria vita.