Luca Mercalli indirizza una lettera aperta a Mercedes
Bresso:
Ti scrivo per porgerti qualche spunto di riflessione “per
cambiare il futuro”, come recita il Tuo slogan elettorale. Seguendo
l’invito che compare sul Tuo sito Internet, questo vuole essere uno di quei
contributi “delle più diverse articolazioni della società civile,
dell'economia, del lavoro, della politica e della cultura, vale a dire a tutti
coloro che condividono il nostro punto di vista e che vogliono cambiare con noi
la nostra regione e il modo di governarla”.
Del resto, per chi ha a cuore i problemi ambientali, la
lettura del Tuo curriculum è un’iniezione di fiducia: “esperta di
economia dell'ambiente, economia agraria e di economia del turismo”,
autrice di saggi tra cui "Per un'economia ecologica" e "Pensiero
economico e ambiente", già Assessore regionale alla Pianificazione
Territoriale e ai Parchi”. “Amante delle passeggiate in montagna e nei
boschi”.
So anche che sei stata tra le prime in Italia a commentare
il pensiero di Georgescu-Roegen, un pioniere, uno che avrebbe meritato il Nobel
per l’Economia ben più di Robert Solow…
Ho avuto il piacere di conoscerTi insieme a tuo marito, quel
Claude Raffestin “geografo ed esperto di Ecologia umana e Scienze del
paesaggio” che completa il quadro del Tuo ambiente culturale come meglio
non si potrebbe desiderare.
Insomma, a leggere queste credenziali, il Tuo programma
politico dovrebbe avere una marcia in più rispetto – che so io – a quello di un
qualsiasi palazzinaro che si metta in politica con
obiettivi palesemente meno sostenibili sul piano ambientale. Sembrerebbe, con
un curriculum come il Tuo, di essere in ottime mani: una figura politica che
non solo è ben informata su questi problemi, ma ne è pure navigata studiosa.
Ora, a questo punto, i fatti dovrebbero corrispondere alle
premesse.
Eppure dal Tuo programma trapelano gli echi delle sirene
della crescita continua.
“Con l’Europa per
uno sviluppo sostenibile” per evitare il declino del Piemonte, recita il
Tuo programma. Ma cosa vuol dire “declino”? Sulla base di quali indicatori?
Forse del PIL? O del numero di autovetture prodotte dalla FIAT? Perché mai
dovremmo evitare “un dignitoso e magari confortevole declino” a favore “di
una dinamica fase di sviluppo”? Sappiamo che “sviluppo”, come è
inteso oggi (anche se corredato dell’aggettivo “sostenibile”) è in
realtà un modo addolcito di camuffare la continua crescita dei consumi. E’
un’ossessione il ritenere che un luogo sia prospero solo se la sua popolazione
aumenta o almeno non decresce, se le merci continuano ad affluire e a ripartire
in sempre maggiori quantità, se l’edilizia continua incessantemente a
costruire, se il valore degli scambi finanziari continua ad aumentare. A fronte
di tali indicatori sappiamo bene che vi è anche l’aumento di rifiuti di
qualsivoglia natura – solidi, liquidi e gassosi - e l’irreversibile diminuzione
di naturalità del paesaggio, con conseguenze sia sul piano estetico, sia su
quello dei cicli biogeochimici. Ecco dunque che il passo del Tuo programma che
recita come “La regione deve essere dotata in primo luogo di tutte le
infrastrutture necessarie ad assicurarne la rilevanza economica, culturale, geografica
e logistica cui aspira, il tutto nella logica dello sviluppo sostenibile. Vale
a dire: le opere pubbliche dovranno essere progettate e portate a termine con
il minimo impatto ambientale e al più basso costo sociale possibile. Opere
all'avanguardia, concepite come servizi alla terra e agli uomini che debbono
ospitarle, realizzate con tecnologie innovative, gestite con tutta la cura resa
possibile dalla modernità”, contiene inevitabilmente i germi della
catastrofe ambientale. E ciò perché non riconosce il limite, ormai
raggiunto e oltrepassato da tempo, del nostro territorio di sostenere ulteriori
interventi di artificializzazione. In queste infrastrutture è facile vedere
l’appoggio a progetti faraonici e non prioritari quali l’alta velocità
ferroviaria, la quarta corsia della tangenziale torinese, una ulteriore
espansione urbana e industriale capillare. Sono tutti interventi ormai non più
difendibili, inseriti nel mito della crescita continua, che – per quanto
mitigata, per quanto addolcita - non può essere sostenibile per via dei meri
vincoli fisici del sistema nel quale è concepita: il Piemonte – così come gran
parte del nord-Italia, ha ormai subito un ampio superamento di tutte le soglie
di attenzione di natura ambientale e deve ora guardare a come ridurre le
conseguenze causate da un passo più lungo della gamba.
Per fare questo ritengo che l’unico mezzo sia ormai un serio
approccio al concetto di decrescita. Orbene, il passato è passato.
Processi storici ed economici hanno condotto fin qui e non ha importanza
esaminarne più di tanto le motivazioni. Però Tu ci dici che vuoi cambiare il
futuro del Piemonte. Benissimo. E’ un’occasione d’oro per dimostrarlo. Se
effettivamente desideri proporre un programma politico innovativo – pure
rischioso, ovviamente – dovresti fare tuoi i precetti che il mondo scientifico
ha da tempo – e con sempre maggior completezza - messo in luce. Il libro che ti
allego “Le mucche non mangiano cemento” ne fa una sintesi, proponendo
una bibliografia di riferimento che non ho dubbi Tu conosca ampiamente. Provo
comunque a sintetizzare per sommi capi gli obiettivi di un futuro realmente
diverso:
1) il paradigma della crescita continua dei consumi e
delle infrastrutture (e quindi pure dei relativi rifiuti) dovrebbe
essere abbandonato quanto prima. Il suo fallimento è dietro l’angolo, una
presa di coscienza anticipata potrebbe ancora consentire una transizione
morbida verso una struttura stazionaria, altrimenti il collasso avverrà, come
spesso accade nei sistemi non lineari, in modo improvviso e non modulabile da
azioni di mitigazione.
2) sviluppo non deve essere confuso con crescita:
esiste uno sviluppo culturale, scientifico, spirituale, perseguibile anche al
di fuori di uno sviluppo dei consumi materiali o, peggio ancora, di beni superflui
ed energivori. E’ proprio lo sviluppo dei primi beni elencati a compensare
della riduzione dei secondi. In un momento storico nel quale i livelli di
benessere fisico sono ampiamente consolidati questa transizione è possibile ed
è la sola a garantirne peraltro il mantenimento a lungo termine. Detto in altre
parole, con la pancia piena e la casa calda possiamo anche pensare allo
sviluppo spirituale/intellettuale/culturale che a sua volta sarà la chiave per
continuare ad avere pancia piena e casa calda. Altrimenti si fa indigestione e
si vomita. Poi però bisogna ricominciare dall’età della pietra.
3) il consumo di suoli agrari e di «paesaggio» deve
essere arrestato immediatamente: in un mondo fisico dalle dimensioni finite
non è pensabile espandersi all’infinito. Basterebbe applicare le illuminate
proposte del Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Torino,
strumento eccellente che Tu ben conosci, purtroppo disatteso. Ovviamente la
coerenza è una dote fondamentale del politico di razza: non si possono
difendere i preziosi beni agrari dell’Ordine Mauriziano da una parte e
contemporaneamente avallare progetti devastanti quali l’alta velocità
ferroviaria: entrambi produrrebbero i medesimi risultati finali.
4) l’economia attuale in declino può trovare nuove forme
di rigenerazione nell’applicazione dei mezzi di produzione di energie
rinnovabili, di efficienza e di risparmio energetico, di promozione
dell’agricoltura locale di qualità , di riconversione del “brutto” che ci
circonda in qualcosa di almeno accettabile. Pensiamo a una FIAT che finalmente
tiri fuori dai cassetti progetti che già aveva sviluppato da decenni, come la
cogenerazione, e investa magari sulla produzione di pannelli solari... Le
officine per fare tutto ciò sono praticamente le stesse che oggi si usano per
fare automobili. Basta volerlo.
5) vi è necessità assoluta di un programma di educazione
ai valori della sobrietà e del senso del limite, imposti non da
qualsivoglia ideologia, ma da semplice rispetto del II principio della termodinamica.
In tale contesto sarebbe fondamentale disincentivare gli sprechi e l’uso del
superfluo nonché gli eccessi nell’impiego di materie prime ed energia, a
vantaggio di un benessere più sereno e libero dal senso di competizione sociale
generato da modelli pubblicitari ormai patologici.
6) abbandono delle grandi opere di scarsa o nulla utilità
e dai grandi costi e impatti ambientali/sociali, a vantaggio di un aumento
capillare dei servizi e della qualità di vita a scala locale. In effetti,
in un’epoca dove le telecomunicazioni potrebbero rendere sempre meno necessario
il movimento fisico delle persone, e l’esaurimento delle risorse petrolifere
porrà in un futuro prossimo restrizioni importanti alla inutile circolazione di
merci banali oggi dettata da meri giochi economici, il gigantismo
infrastrutturale è una scelta miope e sottrarrebbe enormi risorse alla
disponibilità diffusa di servizi efficienti.
Cara Mercedes,
se vuoi veramente cambiare il futuro, dovresti avere il
coraggio di inserire nel Tuo programma politico questi elementi, in apparenza
fortemente impopolari in quanto lontani dal pensiero unico oggi vigente.
Però il grande politico si riconosce proprio dalla capacità
di essere realmente innovatore e cambiare totalmente il punto di vista
dei problemi.
E’ peraltro difficile portare avanti tali obiettivi, però
bisogna accorgersi che non solo l’ambiente scientifico sta sempre più assumendo
consapevolezza che è necessario cambiare rotta, ma anche molta gente comune.
Sono innumerevoli nel mondo le associazioni spontanee di cittadini volte alla decrescita
(decrescita felice, décroissance, powerdown). Ma non vengo a mostrare ad
arrampicare ai gatti: Georgescu-Roegen aveva scritto queste cose già nel 1974.
Forse era in anticipo sui tempi. Trent’anni sono passati e ora le condizioni
sono fertili per applicare la teoria bioeconomica o una sua opportuna
riformulazione attualizzata.
Eppure sembra che la politica resti indietro, fatichi
a cogliere questi segnali di disagio profondo, di una disarmonia con le leggi
fondamentali di natura. Non basta aggiungere l’aggettivo “sostenibile” ad ogni
azione per cambiarne le conseguenze. Molte azioni dovrebbero semplicemente
essere abbandonate, non essere rese “sostenibili” quando non lo sono
intrinsecamente. Pensiamo per esempio ai Giochi Olimpici Invernali Torino 2006.
Chi meglio di Te può comprendere queste cose? Con un
curriculum così…
Ai miei occhi, come a quelli di molte altre persone mature e
consapevoli della nostra situazione, assumi con la Tua candidatura politica una
grande, grandissima responsabilità: quella di garantire se non il
raggiungimento di questi obiettivi, almeno un segno incisivo verso la loro
realizzazione, un cambiamento netto di direzione, un gesto di speranza.
Se invece anche Tu, con il tuo perfetto curriculum da
persona giusta al posto giusto, cadrai sotto la malìa delle sirene dello
“sviluppo a tutti i costi”, allora, noi che abbiamo capito di essere in un
vicolo cieco, saremmo privati anche della speranza.
E senza speranza non resta che la disperazione.
Torino, febbraio 2005
Luca Mercalli
(luca.mercalli@nimbus.it)