Rete Società e Ambiente del Piemonte
Queste pagine vogliono essere uno strumento di lavoro per tutti coloro che in Piemonte sono interessati a costruire e far crescere relazioni e sinergie tra persone, circoli, comitati che si impegnano a livello locale per affermare il diritto democratico dei cittadini a partecipare alle scelte che riguardano il proprio territorio.
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Consumo del territorio e sviluppo delle infrastrutture

In Piemonte si è assistito in questi ultimi anni ad un consumo crescente di territorio e di aree agricole in parallelo con l’incremento dell’urbanizzazione, sopratutto nell’area metropolitana torinese, ma esteso progressivamente a tutte le province piemontesi. Non si tratta solo del consumo di vasti territori periurbani dovuto all’incremento dell’edilizia residenziale, legato alla grande bolla speculativa del mercato immobiliare di questi ultimi anni; ma anche e soprattutto dello sviluppo dei grandi centri commerciali (ipermercati, supermercati, outlet e discount, multisale) che si vengono sempre più configurando come grandi “città del divertimento e del tempo libero” nello stile di 45° parallelo a Moncalieri e di altre analoghe iniziative in gestazione, da Settimo Torinese a “Millennium Canavese”, passando attraverso “Mondo Juve” tra Vinovo e Nichelino. La provincia di Torino è stata maggior attrattore di tali iniziative, ma anche altre aree, collocate perlopiù lungo le grandi direttrici autostradali, come Serravalle e Santhià, stanno subendo gravi compromissioni del territorio.

La progressiva “liberalizzazione” delle attività commerciali, avviata col decreto Bersani e sviluppata dai successivi governi, ha favorito la realizzazione dei grandi centri commerciali (nell’arco degli ultimi 4 anni la superficie occupata dalla grande distribuzione nella Regione Piemonte si è pressoché triplicata), e tale incremento è avvenuto perlopiù a danno di vaste aree agricole, non già riutilizzando aree dimesse dell’industria. Nelle normative regionali sono state introdotte “misure compensative” a sostegno del piccolo commercio, ma ben poco è stato previsto a tutela dell’ambiente e del territorio. D’altro canto le amministrazioni comunali (a partire dallo “storico” esempio de “Le Gru” a Grugliasco) sono facilmente ricattabili dai grandi operatori del settore in un quadro di spietata concorrenza tra pochi grandi soggetti che operano a livello europeo. L’allettamento è sempre costituito dal pagamento degli oneri di urbanizzazione, dalle opere a scomputo e dal pagamento dell’ICI, che consentono ai comuni di fare miglioramenti di arredo urbano, incremento di servizi e di viabilità locale, a fronte di una crescente desertificazione del territorio.

Su questi temi sembra quanto meno indispensabile l’introduzione di una moratoria sull’apertura di nuovi centri commerciali (ormai anzi si chiamano “parchi commerciali”) e “città del divertimento”, nonché una revisione della legislazione regionale in merito; e l’introduzione di cospicui vincoli paesistici e studi di impatto ambientale, oggi decisamente carenti. Preoccupa ancor più il futuro, per il moltiplicarsi e il sovrapporsi di iniziative similari e concorrenti, negli stessi ambiti territoriali, che rischiano di riempire il territorio di scatole vuote, con i soggetti più forti in procinto di schiacciare quelli di minori dimensioni, destinati a soccombere e magari ben presto a licenziare (va ricordato anche che i grandi centri commerciali occupano per la massima parte lavoro precario), come sta già avvenendo a Venaria.

L’altro grande fattore di devastazione e consumo del territorio è costituito dalle confuse strategie indirizzate alla realizzazione delle grandi infrastrutture di trasposto pubblico e privato. Le Province e la Regione stanno moltiplicando le proposte di nuovi assi viabili, nuovi raccordi, nuove circonvallazioni, nuove direttrici di scorrimento veloce, nuove bretelle autostradali. ARES, R.F.I., ATIVA, SITAF, ASTM, SATAP ed altri Enti stanno operando in modo scoordinato, e pochi grandi soggetti (dai Gavio ai Bonsignore al gruppo Benetton) sono in concorrenza, con ipotesi sovente discordanti o sovrapponentesi. La filosofia delle grandi opere sembra accomunare Polo e Ulivo, attorno al dogma indiscusso dell’Alta Velocità (o Capacità) Torino-Lione, assunto come unico elemento per rompere l’isolamento e il pericolo di emarginazione del Piemonte, che viene esaltato come polo strategico di tutta l’Europa centro-occidentale(!). La sola Provincia di Torino ha in programma la realizzazione (risorse permettendo) di 125 interventi infrastrutturali sulla rete viaria di sua competenza. Per un verso si sostiene la necessità della razionalizzazione e della messa in sicurezza di svariati percorsi che sono giunti alla saturazione, per un altro vi è la spinta verso nuove “grandi opere” (come il traforo del Mercantour) che andrebbero a compromettere ambiti di territorio ancora integri e delicati sotto il profilo ambientale. Anche l’ipotesi della Pedemontana, strada di scorrimento veloce che dovrebbe collegare VCO, Biellese, Valli Susa e Sangone, Pinerolese, Cuneese, rischia di compromettere gravemente e incrementare l’urbanizzazione di tutti gli ingressi alle vallate alpine del territorio pedemontano. A sua volta la “Tangenziale Est”, che dovrebbe completare l’anello delle tangenziali attorno alla grande conurbazione torinese, collegando il basso Canavese con il Chierese ed il Carmagnolese sottopassando la collina a Gassino, sembra configurarsi come occasione e pretesto per andare a urbanizzare vaste aree agricole a Sud di Torino, tra le colline ed il Po. Ogni intervento viene progettato come se la mobilità delle merci e delle persone, ed in particolare il trasporto su gomma, dovessero avere uno sviluppo di tipo esponenziale, senza minimamente porsi il problema di come intervenire sui fattori che generano i flussi di traffico, per controllarli o arginarli. La circolazione delle merci e lo sviluppo della “logistica” sembrano essere diventati valori in sé, non più legati alle dinamiche dell’industria manifatturiera.

Nella realtà, se andiamo a vedere cosa c’è sovente dietro molte proposte di nuova infrastrutturazione del territorio, scopriamo che dietro ad esse c’è una spinta perversa alla “valorizzazione” del territorio. Le proposte di nuove infrastrutture sovente sono generate non da un’analisi dei flussi di traffico, delle domande di mobilità e da previsioni ragionate, ma dalle spinte di molti amministratori e politici locali in direzione dello sfruttamento sempre più intensivo della più importante delle risorse non rinnovabili: la terra, sia come insieme di aree agricole storicamente costituitesi col lavoro dell’uomo, sia come spazio naturale che include anche gli incolti, i fiumi e i corridoi ecologici non ancora compromessi. Basta pensare al modo ed alle motivazioni con cui si è spinto da più parti per il prolungamento della Metropolitana di Torino in direzione ovest fino a Rosta, e in direzione sud fino a Nichelino: non a caso le due proposte di prolungamento vanno a coinvolgere i beni e le aree agricole dell’Ordine Mauriziano, da S. Antonio di Ranverso a Stupinigi, nel momento in cui il Governo ne decreta la progressiva liquidazione.

In ambedue i casi gli amministratori locali, la Regione ed il Vice-Ministro delle Infrastrutture hanno sottolineato che tale prolungamento sarebbe una “straordinaria occasione” per la valorizzazione del territorio; e che l’opera, i cui costi non sono alla portata delle attuali amministrazioni, potrebbe “autofinanziarsi” attraverso vaste operazioni immobiliari e commerciali sulle aree che verrebbero attraversate e coinvolte. Le grandi infrastrutture, secondo la filosofia della “Legge Obiettivo” di questo Governo, sostanzialmente condivisa anche dal centro-sinistra, devono autofinanziarsi attraverso le grandi operazioni patrimoniali, le vendite dei beni demaniali, le privatizzazioni, i pedaggi, la cessione dei diritti di sfruttamento degli spazi commerciali; ed in questi ultimi anni anche attraverso le operazioni immobiliari sulle aree ferroviarie nelle maggiori città italiane (Torino insegna). Le infrastrutture potrebbero così moltiplicarsi all’infinito, finalizzate alla valorizzazione commerciale delle aree contigue che, fatte salve le fasce di rispetto stradale, diventano nel giro di pochi anni edificabili ed appetibili, soprattutto per i grandi centri commerciali e per lo sviluppo dell’edilizia residenziale.

Così il Piemonte, dopo aver adottato una legge urbanistica (la 56/1987), intitolata non a caso “Usi e Tutela del Suolo”, che poneva la nostra Regione all’avanguardia tra le Regioni italiane, si trova oggi ad essere uno dei terreni privilegiati della cosiddetta “urbanistica contrattata”, in cui i grandi operatori privati e pubblici contrattano direttamente con gli amministratori locali le operazioni immobiliari e le realizzazioni di nuove infrastrutturazioni del territorio in funzione delle operazioni stesse.

I piani urbanistici vengono ormai svuotati da protocolli d’intesa, piani-programma, accordi di programma, accordi quadro, e nuovi strumenti di “concentrazione” come PRIU, PRUSST, URBAN, Patti territoriali, Piani Integrati d’Area, Piani di Insediamenti Produttivi, ed infine le S.T.U. (Società di Trasformazione Urbana), che rendono ormai inutili le fasi decisionali un tempo prerogative degli organi elettivi.

Tornando al tema delle “infrastrutture”, quanto meno occorrerebbe una rivisitazione delle scelte date finora per scontate, con un impegno a “sfoltire” ed evitare inutili sovrapposizioni: individuando ad esempio le aree più critiche, dove l’accanimento infrastrutturali crea un effetto “cumulo” che rischia di compromettere per ora e per sempre vasti ambiti di territorio di rilevante valore paesistico e ambientale (pensiamo ad esempio all’effetto “cumulativo” delle infrastrutture esistenti e/o previste nella Cintura ovest di Torino e nella Valle di Susa). Per questi ambiti di territorio va posto un limite di sostenibilità oltre il quale si entra nello stadio del “non ritorno”, ovvero dell’annullamento di qualsiasi capacità di rigenerazione del territorio.

Un altro elemento da introdurre dovrebbe essere quello per cui ad ogni nuova infrastruttura dovrebbe essere abbinata la demolizione di un’altra infrastruttura divenuta inutile o obsoleta; come pure dovrebbe essere introdotto un vincolo di inedificabilità entro una fascia di notevole profondità, per impedire l’immediato attestamento di nuove ipotesi edificatorie a ridosso delle nuove infrastrutture, e salvaguardare il paesaggio.

Anche gli studi di impatto ambientale dovrebbero essere impostati, aggiornando la legge regionale 40/98, in stretto rapporto con la elaborazione dei piani paesistici della Regione Piemonte; e prevedere in modo sostanzioso compensazioni ambientali come misura ben diversa dalla semplice “mitigazione”; il concetto di “compensazione” purtroppo è stato visto, come insegna l’Alta Velocità Milano-Torino, come monetizzazione del danno, da pagarsi “in natura” realizzando altre opere viabili su richiesta dei Comuni attraversati.

L’enorme consumo di aree agricole prodotto dal tracciato dell’Alta Velocità non ha condotto a nessuna forma di compensazione ambientale propriamente detta, ma soltanto ad un ulteriore consumo di suolo. La compromissione del paesaggio rurale non è stata presa in considerazione da nessuno dei soggetti attuatori, e non è comunque monetizzabile.

Purtroppo anche gli organismi preposti alla tutela (in primis le soprintendenze) sono attenti al bene culturale isolato, ma non concepiscono il valore del territorio e delle diverse unità di paesaggio in cui esso si articola.

Così procede ad esempio la devastazione del paesaggio rurale della pianura cuneese e delle Langhe, senza alcuna forma di Tutela, grazie anche alla proliferazione indiscriminata dei famigerati “capannoni” che ormai costellano fittamente il paesaggio, omologandolo a quello del nord-est.

Per un verso abbiamo una Convenzione Europea sulla tutela del paesaggio, siglata a Firenze quattro anni orsono, che dovrebbe impegnare anche l’Italia ed in primis le Regioni, attraverso il nuovo Codice dei Beni Culturali (“Codice Urbani”), a tutelare il paesaggio diffuso, individuando ambiti specifici di tutela; per un altro verso la nuova P.A.C. (Politica Agricola Comunitaria) dovrebbe impegnare anche le organizzazioni agricole nella manutenzione del territorio e nel “restauro” degli ambienti compromessi. Ma tutto questo è rimasto finora una mera enunciazione di principi, mentre la devastazione del territorio procede indisturbata. Anche il Piano di Sviluppo Rurale della Regione Piemonte non assume impegni in materia. Questo è un terreno che consentirebbe, se esistesse una volontà politica, di avviare un’utile collaborazione con le associazioni agricole.

Per concludere riteniamo che la questione TAV e nuova linea ad Alta Capacità Torino-Lyon (che paradossalmente taglia fuori il nodo ferroviario di Torino) possa essere considerata una cartina di tornasole, quasi un banco di prova per la nostra Regione, per tutti gli aspetti non solo “trasportistici” che essa coinvolge. Se dal 1997 ad oggi in Italia (dati di questi giorni) le risorse per le “linee storiche” sono state raddoppiate, quelle per l’Alta Velocità sono state quintuplicate. Queste sono scelte politiche da mettere in discussione a livello nazionale, ma anche a livello regionale, prima che si proceda al sostanziale affossamento di un sistema ferroviario come quello piemontese, il cui mantenimento e recupero consentirebbe a costi ragionevoli di evitare altre scelte disastrose per il territorio, per l’ambiente e per il sistema della mobilità delle persone e delle merci. Questo presuppone che la politica si sganci dalle “lobbies” finanziarie, bancarie e dell’industria delle costruzioni (grande cantieristica).

Non vorremmo che le scelte politiche dei prossimi anni consistessero nello schierarci o meno con i Gavio, i Bonsignore e gli altri “padroni del cemento”. Esiste ancora la possibilità di una pianificazione territoriale regionale sganciata dall’esaltazione della rendita fondiaria e dai costruttori? Questa è la domanda di fondo.

Emilio Soave

Ultimo aggiornamento di questa pagina: 19-gen-05