Cimentandosi nello studio delle vicende costituzionali italiane,
non può sfuggire l'enorme lentezza con la quale sono stati via via
predisposti i dispositivi normativi atti a realizzare i principi formalmente
enunciati nell'attuale Carta Costituzionale.
Tutto questo è in gran parte imputabile ai costituenti che,
per troppe questioni, si sono limitati ad enunciare delle linee guida,
rimettendosi all'attività del Parlamento per tutto quanto riguardava
la fase attuativa vera e propria.
Prendendo ad esempio l'art. 75, che istituisce l'istituto del referendum
abrogativo, nell'ultimo comma può leggersi: “la legge determina
le modalità di attuazione del referendum.” Si sono dovuti attendere
“soltanto” 22 anni per veder realizzata questa legge; 22 anni per i quali
è così venuta a mancare la possibilità di ricorrere
ad uno strumento formalmente previsto, ma sostanzialmente negato.
Stessa sorte è toccata all'attuazione delle Regioni ordinarie.
Il primo comma dell'art. 128, infatti, affida ad una legge della Repubblica
“il sistema d'elezione, il numero e i casi di ineleggibilità
e di incompatibilità dei consiglieri regionali”. Legge che è
arrivata soltanto 20 anni dopo, nel febbraio del 1968.
Ai costituenti va inoltre imputato un “eccesso di sintesi”, riscontrabile
in alcuni articoli, che ha lasciato libero il campo ad un'ampia attività
d'interpretazione.
Nell'art. 138, ad esempio, che tratta delle revisioni costituzionali,
non è specificato il tipo di revisione permessa: se soltanto parziale
e non anche di tipo generale.
Altra questione che salta agli occhi, è la mancata predisposizione
di un “controllo di legittimità costituzionale” adeguato.
Si pensi soltanto alla mancata previsione di un qualsiasi controllo
preventivo (ammesso soltanto per le leggi regionali), combinato con le
eccessive difficoltà che s'incontrano nel cercare d'investire la
Corte Costituzionale delle questioni di illegittimità, che tanti
problemi ha procurato in quanto spesso si è rivelato arduo porre
rimedio a situazioni consolidate che avevano nel frattempo prodotto degli
effetti praticamente irreversibili. In tal senso, ritardare ulteriormente
la predisposizione di meccanismi istituzionali idonei ad impedire abusi
di ogni tipo, spesso compiuti da legittime maggioranze parlamentari, è
sicuramente configurabile come un atto doloso teso a mantenere un certo
status quo.
Per essere chiari: di fronte alla possibilità di poter “legalizzare”,
anche soltanto provvisoriamente, dei “fatti compiuti”, non c'è Carta
Costituzionale che tenga. 1
Ma per cercare di risolvere il tipo di problemi poc'anzi accennati,
tra l'altro individuati già da decenni, non c'è mai stata
una grande mobilitazione, un forte impegno da parte dei politici; neanche
in quest'ultimo periodo nel quale sono divenuti di pressante attualità.
Al contrario, al solo accenno di cambiare la Forma di Governo, si è
fatto avanti un tale nugolo di improvvisati statisti da gettare nello sconcerto
anche chi potrebbe trovarsi d'accordo con l'idea di mettere mano, in profondità,
alla nostra Carta Costituzionale. Ed è paradossale, poi, che di
fronte a questa ventata cosiddetta rinnovatrice, portata avanti a colpi
di mano e di semplificazioni delle questioni da legittimare a botte di
maggioranze occasionali, a ritrovarsi tra le fila dei conservatori più
ostinati, in un incredibile – quanto poco credibile – difesa dell'esistente,
siano proprio coloro che da anni hanno indicato come prioritario riformare
il sistema.
Un paradosso che dovrebbe far riflettere, ma che viene invece usato
strumentalmente da parte di chi intende il confronto democratico come un'inutile
formalità che fa perdere soltanto tempo, forte di un sistema di
garanzie rivelatosi inefficace che ha permesso grande facilità d'azione
a chi si è mosso, con fare ostruzionistico e distruttivo, per impedire
la naturale evoluzione dell'attuale sistema costituzionale; mentre per
chi ha cercato inutilmente di attuare quanto stabilito dalla Carta, i mezzi
istituzionali messi a disposizione si sono rivelati soltanto degli impedimenti.
L'improvvisa ricerca di un accordo sul presidenzialismo tentata da
D'Alema e Berlusconi, e la vicenda di alcuni referendum – da quello sul
finanziamento pubblico ai partiti a quello elettorale – sono poi episodi
che hanno palesato tutta la pericolosità di un approccio alle questioni
scollegato da preventivi approfondimenti all'interno di tutte le espressioni
sociali e legato soltanto a degli interessi da “ceto politico”.
Lo strumento referendario di tipo abrogativo, al quale non si può
far altro che aderire o non aderire, non essendo prevista una qualsiasi
forma di referendum alternativo con il quale poter proporre delle diverse
soluzioni per il medesimo problema, è stato di fatto usato per ottenere
deleghe in bianco, legittimazioni di posizioni politiche che andavano ben
oltre lo specifico del contendere.
Ed è stato sin troppo facile, per i cultori della “semplicità”,
approfittare di una momentanea convergenza d'interessi – forti della travolgente
spinta emotiva proveniente dai cittadini, desiderosi di liberarsi e di
punire la classe politica che li aveva portati alla rovina – proporre strumentalmente2
un referendum prendere o lasciare che non dava spazio alle sfumature,
agli approfondimenti. Per chi non ha accettato, invece, di dare delle facili
ed acritiche adesioni ad un cambiamento che poteva significare un passo
indietro (timori ampiamente confermati dalle cronache politiche dei giorni
nostri), non è rimasto altro da fare, non avendo i mezzi istituzionali
per poter proporre qualcos'altro di concreto, che difendere l'indifendibile,
apparendo così come le bestia nera della conservazione.
1 Un riferimento ad un'esplicita circostanza che conferma questo tipo di timore, può essere individuato nelle vicende legate alla legge Mammì: nata apposta per fotografare, quindi legalizzare, una situazione esistente (situazione consolidatasi, per lo più, attraverso una serie di atti al “limite”, per usare un eufemismo, della legalità), dichiarata anticostituzionale in alcuni suoi aspetti soltanto un anno fa, ma che ormai ha prodotto delle conseguenze di fatto insanabili. E questo sia sotto il profilo del consolidamento di un monopolio privato con conseguente mancato sviluppo di un'emittenza televisiva diffusa, e sia sotto quello della lesione grave a degli irrinunciabili principi democratici: par condicio e conflitto d'interessi.
2 “La parola al popolo contro il sistema dei partiti!”
Ma come dimenticare che a sostenere con forza il referendum per il
passaggio dal proporzionale al maggioritario fu proprio la stragrande maggioranza
dei partiti? Probabilmente i numeri per cambiare c'erano già da
tempo.
Ma per fregature del genere è meglio evitare di passare attraverso
la normale attività legislativa del Parlamento: varando un sistema
d'elezione fortemente premiante si potrebbe infatti incorrere nell'accusa
di truffa.
Molto meglio l'orgia plebiscitaria con la quale il popolo ha
aderito di sua “spontanea volontà”!