Tecnica di conduzione e considerazioni varie

Contender Tuning Guide by Graham Scott

Messa a punto e conduzione della barca in regata by Andrea Bonezzi

Istruzioni al Neofita by Giorgio Vannutelli Depoli

Frecce, freccine, incognite e ammennicoli vari

Considerazioni sulla randa Irwin by Roberto Mazzali
dopo ITA Campione 2002

Hardware Basteltips von Ollie Booth.

My Contender on Steroids ein Bericht von Jo Rösler aus New York.


Messa a punto e conduzione della barca in regata

by Andrea Bonezzi

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1) Centratura della barca


E' opportuno posizionare il piede dell'albero al limite minimo di stazza, ossia a mm 3050 dallo specchio di poppa. Il rake, ossia la distanza tra la penna e lo spigolo di coperta dello specchio di poppa, è più soggettivo, può variare tra 6.390 e 6.580. Dipende da quanto è grassa la vela e quindi da quanto occorre cazzare il vang, l valore inferiore viene adottato da chi usa vele magre come quelle usate in Australia. La varea del boma nelle andature di bolina con vento forte può arrivare alla distanza di circa 2 cm dalla barra del timone, è quindi necessario un buon allenamento per poter passare sotto il boma in tali condizioni

2) Virata


I timonieri di circa 1,70 di altezza o inferiore ordinariamente riescono a passare sotto il boma mantenendo il corpo in direzione longitudinale rispetto alla barca e con la testa rivolta verso prua, timonieri più alti nella maggioranza dei casi devono passare sotto il boma prima con la testa e dopo con le gambe o viceversa. Alcuni, per velocizzare ulteriormente la manovra, si sganciano prima di rientrare sostenedosi con la mano alla maniglia del trapezio. questo modo di operare é consigliabile a chi è più alto di m 1,90 e che ha particolari doti atletiche.

3) Bolina


La posizione dei piedi sul bottazzo dipende dall'intensità del vento e dal tipo di scafo, generalmente é tra le sartie e la torretta della scotta.

4) Lasco


Finché l'intensità del vento non consente l'uso del trapezio, la tecnica è analoga a tutte le altre derive. con vento di intensità superiore l'abilità consiste nel far planare la barca. In presenza di onda formata si può essere molto veloci con molta tecnica ed equilibrio portando la propria posizione al trapezio a pochi cm dallo specchio di poppa.

5) Poppa


E' consigliabile anziché andare in poppa piena fare due laschi a 160° in quanto le sartie impediscono al boma di disporsi a 90° rispetto all'asse longitudinale della barca. Con molto vento si deve stare attenti a non infilarsi con la prua nell'onda, onde evitare improvvisi rallentamenti e danni all'attrezzatura. In questi casi opportuno inoltre abbassare la deriva durante le strambate.

Andrea Bonezzi 


Istruzioni al Neofita

by Giorgio Vannutelli Depoli

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Accade spesso parlando con i nuovi contenderisti di porre l'accento su problematiche di tattica di regata, impiego della bussola per rendersi conto dei salti di vento, valutazioni su quale sarà il bordo migliore esaminando il profilo orografico circo stante, le termiche e meno male che non facciamo vela di altura se no entrerebbe in campo anche la rotazione terrestre e l'emisfero in cui ci si trova.

Argomenti indubbiamente interessanti la cui analisi però non è di grande aiuto a chi ha il problema principale, che non è di facile soluzione, di tenere la barca con la deriva al di sotto della linea di galleggiamento, in sostanza di non scuffiare.

E' mio intendimento dare alcune indicazioni che possano essere utili a chi inizia a navigare in contender perché possa superare le prime difficoltà dovute prevalen temente alle caratteristiche della barca che ha una superficie velica di generose proporzioni e una forma dello scafo finalizzata più alla velocità che all'equilibrio. Spero che altri contenderisti contribuiscano a far evolvere queste indicazioni cor reggendo le eventuali inesattezze ed aggiungendo quanto omesso.

1) Attrezzature di coperta


Deve essere dedicata una particolare cura ad armare la barca in modo corretto, non devono essere impiegati materiali o dispositivi di dubbia affidabilità. Un vang che si rompe o uno strozzascotte che non tiene, oltre a pregiudicare la regata, possono a volte determinare seri problemi di governo dell'imbarcazione. Non in tendo dare alcuna indicazione relativa alle singole fattispecie in quanto è sufficien te partecipare alle regate per poter vedere barche armate in modo diverso ed altrettanto affidabili e competitive, si tratta solo di scegliere le soluzioni che si considerano più valide.

2) Preparazione atletica


Con venti di intensità media non occorre una particolare preparazione atletica. Nelle prime uscite ed ogniqualvolta sia necessario buttarsi fuori e rientrare molto frequentemente, come avviene con vento di modesta intensità o a raffiche, ven gono sottoposti ad un certo sforzo i muscoli delle gambe. Nel caso che non si pratichino altri sport é opportuno rinforzare tali muscoli con adeguati esercizi oppure, come fanno molti contenderisti, mediante allenamento in bicicletta.

3) Bolina


Nell' 'andatura di bolina anche con venti di modesta intensità, 4-6 ms ci si può familiarizzare con l'uso del trapezio. Molto spesso si è portati temendo di scuffiare sopravvento a tenere la barca molto inclinata sottovento ottenendo il risultato di rallentarla notevolmente e di rischiare una scuffia sottovento nel caso che il vento aumenti di intensità o cambi di direzione. Nel caso che si finisca in acqua sopravvento purché la barca non si fermi e quindi senta il timone è sufficiente una leggera poggiata per poter riemergere e proseguire la navigazione.

Regola generale è tenere la barca più orizzontale possibile poggiando o cazzando la randa qualora si inclini sopravvento e orzando o lascando la randa qualora si inclini sottovento. queste correzioni devono essere molto tempestive in caso contrario non ottengono il risultato sperato. Si deve in ogni caso prestare molta attenzione alle variazioni di intensità del vento che a volte cala sensibilmente e la spinta sulla vela non è più sufficiente per sostenere il peso del timoniere al trape zio con conseguente inclinazione della barca sopravvento. In questo caso l'unica possibilità è rientrare in barca perché qualora si poggiasse si otterrebbe l'effetto di mandare in stallo la vela, fermare la barca e scuffiare sopravvento. Per evitare questo errore é molto utile osservare i tell tales sottovento alla randa che fileggiando sensibilmente o comunque non essendo più in posizione perpendicolare all'albero indicano che la vela è o in stallo o vicina allo stallo.

Come in tutte le derive non si deve cercare di fare una bolina molto stretta è molto più vantaggioso privilegiare la velocità della barca anche a danno dell'angolo di bolina.

Con vento di modesta entità il timoniere deve stare più a prua possibile ossia molto vicino alla sartie per poter tenere il margine inferiore dello specchio di poppa a livello della linea di galleggiamento, in questo modo si ha meno resistenza al l'avanzamento. Quando la barca plana è invece opportuno portarsi più a poppa perché si governa meglio l'imbarcazione.

Per quanto riguarda le regolazioni si tende a rendere la vela grassa con vento leggero e magra con vento forte. Si ottiene tale effetto cazzando il tendi base della randa e il vang. Il cunnigham ordinariamente va cazzato fino a che non scom paiano le pieghe longitudinali. L'argomento richiederebbe una più ampia ed appro fondita trattazione che demando ad altri timonieri indubbiamente più esperti di me, penso in ogni caso che queste poche informazioni possano essere sufficienti per poter iniziare.

4) Virata


Ci sono vari modi di virare il più consigliabile per i principianti è il seguente:

- lascare la randa, circa 20-40 cm di scotta

- rientrare in barca e sganciarsi dal trapezio

- portare la barca all'orza fino a portarsi sulle altre mura

- riagganciarsi al trapezio e uscire e riprendere la navigazione sulle altre mura

E' necessario ripetere queste manovre più volte fino a che non diventino quasi automatiche. inizialmente è infatti molto facile confondersi.

L'inconveniente più frequente che può realizzarsi in tale manovra è quello di pian tarsi con la prua al vento. In tale circostanza è necessario attendere che la barca spinta dal vento arretri, si può anche mettere a collo la randa per accelerare i tempi, agire sul il timone per riprendere una angolazione con la direzione del vento tale per cui la randa possa portare. Occorre perché questa manovra vada a buon fine ripartire da una bolina larga, quasi un traverso perché se si cazza la randa e si vuole ripartire prima si ottiene spesso il risultato che la barca si rimette con la prua al vento.

Le ragioni per cui ci si può piantare in una virata sono molte, le più frequenti sono errori di manovra ossia, non sufficiente velocità dell'imbarcazione nel momento precedente la virata, orzata insufficiente per cui la barca si porta nelle direzione del vento, si ferma e non passa sulle altre mura, virata lenta, la barca perde velo cità e non riesce a superare per inerzia il momento in cui la spinta della vela viene meno, oppure circostanze varie come potrebbe essere l'impatto con un'onda che riduce o azzera la velocità dell'imbarcazione nel momento più delicato della mano vra. Più il vento aumenta di intensità e più aumenta il rischio di piantarsi nella virata perché nel momento in cui non c'é forza propulsiva da parte della vela il vento riesce a fermare la barca in tempi estremamente brevi Alcuni contenderisti ritengono utile in tali circostanze lascare il vang prima di iniziare la virata. 

5) Andatura al lasco e in poppa


Nelle andature al lasco e in poppa valgono considerazioni opposte a quelle fatte per l'andatura di bolina.

Quando si rischia di scuffiare sopravvento si deve orzare o cazzare la randa e quando si rischia di scuffiare sottovento si deve poggiare o lascare la randa.

Non è intuitivo per cui le prime volte nelle andature al lasco e in poppa con vento forte si è istintivamente portati a fare il contrario di quanto sarebbe opportuno per analogia a quanto si faceva sui lati di bolina.

La deriva deve essere tenuta non completamente abbassata ma neanche comple tamente alzata per varie ragioni, anche perché in caso di scuffia ci sarebbero dei seri problemi a raddrizzare la barca con la deriva completamente sollevata.

Particolare attenzione deve essere dedicata al controllo dell'assetto longitudinale. Nella classe contender quasi tutte le rotture e i danneggiamenti degli alberi avven gono nelle andature in poppa per il fatto che il timoniere o non porta il suo peso in posizione sufficientemente arretrata o non si cura di evitare di infilarsi di prua nelle onde e frenare la barca.

Nel caso che in una andatura in poppa il vento abbia una intensità di 15 ms e che la barca vada ad una velocità di 13 ms la effettiva pressione sulla vela é di 2 ms. Se il contender si infila in un'onda e la velocità della barca si riduce a 3 ms la pressio ne sulla vela diventa di 12 ms. Non esiste in commercio alcun albero che possa resistere a una tale sollecitazione.

Inoltre essendo la superficie della vela dal punto di contatto del boma con la sartia e la varea del boma decisamente superiore alla restante superficie velica, si realiz za nelle andature in poppa una forte trazione verso poppa dell'albero esercitata in corrispondenza della trozza e non contrastata dalle sartie basse, trazione che può determinare in situazioni di particolare sollecitazione una rottura dell'albero in corrispondenza della trozza stessa . I timonieri dei mari del Nord per evitare tale inconveniente mettono in atto un accorgimento particolare che è quello di fare un nodo di ispessimento nella scotta della randa che impedisca al boma di appoggiarsi di fare fulcro sulle sartie

Con venti leggeri il timoniere deve portare il proprio peso molto a prua per consi derazioni analoghe a quelle fatte per l'andatura di bolina. Quando il vento aumenta d'intensità si deve nelle andature al lasco e a maggior ragione nelle andature in poppa arretrare più che si può per avere un buon assetto longitudinale..

6) Strambata


Il principiante è spesso intimorito da tale manovra che in seguito diventa una delle più divertenti.

Vale anche per il contender la regola generale per cui la Strambata deve essere iniziata quando la pressione sulla vela è minima e quando non si vedano a prua onde che possano rallentare improvvisamente la barca.

La deriva deve essere parzialmente abbassata in quanto agisce da perno quando si poggia energicamente nel momento in cui la randa inizia a prendere vento dal l'altro lato.

Nel caso che si abbia la certezza di non riuscire a strambare correttamente si può sempre fare "il piripicchio" ossia orzare fino ad una bolina stretta, virare e poi poggiare fino ad una andatura al lasco o in poppa.

Si perde molto più tempo che a strambare ma se la strambata evolve in una scuffia è più vantaggioso fare "il piripicchio". Momento critico della manovra è 

l'orzata dalla poppa alla bolina bisogna essere pronti a controbilanciare, con vento forte mettendosi al trapezio, l'inevitabile spinta laterale che consegue all'orzata. In caso contrario si conclude con una scuffia una manovra che aveva l'obbiettivo di evitare una possibile scuffia.

7) Scuffia


Per il contenderista sia principiante che evoluto la scuffia è una esperienza ricor rente, cambiano le cause che per il neofita sono principalmente errori di manovra mentre per l'esperto sono tentativi di mettere a punto tecniche di governo più proficue sotto il profilo agonistico.

In regata è importante raddrizzare la barca nel più breve tempo possibile per evitare di perdere posizioni.

Se la scuffia avviene dal lato sottovento si può a volte raddrizzarsi in brevissimo tempo senza neanche andare in acqua, basta sganciarsi dal trapezio prima che la barca sia scuffiata a 90°, scavalcare la falchetta, mettersi in piedi sulla deriva e rientrare prima che la barca si raddrizzi completamente.

Una tecnica che deve essere conosciuta da tutti ma particolarmente da chi esce con venti forti e il "giro di chiglia" o "eskimo". In alcuni casi è l'unico modo di poter raddrizzare la barca dopo una scuffia.

Con vento forte, se l'albero e la vela sono immersi nell'acqua anche di pochi cen timetri, la spinta del vento sulla parte dello scafo fuori dall'acqua è decisamente superiore alla coppia raddrizzante determinata dal peso del timoniere in piedi sulla deriva. Ne consegue che la barca scuffiata, faticosamente portata da 180° a 90°, ritorna lentamente a 180°. L'alternativa è di raddrizzare la barca dal lato sottovento aiutati anche dalla spinta del vento sulla parte dello scafo fuori dall'acqua, quando l'albero emerge e la barca di conseguenza viene violentemente scuffiata dall'altra parte, invece di salire si deve sott'acqua passare dall'alto lato della deriva. In questo modo ci si trova già a cavalcioni della deriva sul lato sopravvento con la vela appena appoggiata sull'acqua ed è molto facile raddrizzare la barca e ripren dere la navigazione. Questa tecnica sembra molto indaginosa, all'atto pratico è molto più difficile esporla che non realizzarla. Certamente il giro di chiglia o eskimo va fatto con venti forti in caso contrario si rischia di trovarsi sott'acqua con la deriva in mano senza che il vento eserciti sulla vela la spinta necessaria per poter riemergere. In tali casi è opportuno raddrizzare la barca in modo tradizionale ossia dalla parte sopravvento oppure con al prua al vento.

Considerazioni Conclusive:

Il Neocontenderista anche se ha precedenti esperienze veliche su altre barche necessita in ogni caso di un periodo di tempo più o meno lungo per familiarizzarsi con la tecnica di conduzione del contender che non è sostanzialmente diversa da quella delle altre imbarcazioni. L'unica differenza è che errori di manovra, che su altre derive determinano minime conseguenze di difficile percezione, nel conten der sia per la generosa superficie velica, sia per la forma dello scafo, hanno effetti molto evidenti.

Fa parte del fascino della barca che stimola costantemente a perfezionare le proprie capacità.

Giorgio Vannutelli Depoli

ITA-235

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Frecce, freccine, incognite e ammennicoli vari

 by  Mario Caponnetto

Cari amici e avversari contenderisti
il nostro Segretario mi ha gentilmente offerto uno spazio su questo bollettino per pubblicare un articolo riguardante la teoria della navigazione a vela Sebbene normalmente non ami mischiare il lavoro (l'idrodinamica) con Io svago (il Contender) cercherò di indossare i panni del Piero Angela della situazione per provare a spiegare come e perché le nostre amate barchette stanno a galla e si muovono Qualcuno potrà essere perplesso poiché in effetti non è necessario essere dei fisici per far correre una barca e vincere delle regate. Tutto quello che facciamo quando regatiamo è mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti da altri o frutto di esperienze personali, e poco importa sapere qual è la ragione per cui facciamo questa o quella regolazione. In effetti anche se la bravura nel portare un'imbarcazione ed il successo nelle competizioni dipendono in gran parte dal talento personale (che non si apprende a scuola), ritengo che avere una solida e corretta base teorica possa aiutare a raggiungere risultati positivi con minore fatica e in minore tempo. in poche parole, se normalmente siamo costretti a fare un gran numero di esperimenti "casuali" prima di trovare l'esatta regolazione di una manovra conoscendo la relazione tra "causa" ed "effetto" probabilmente dovremo fare meno tentativi per ottenere il risultato migliore.
Per cominciare è meglio non addentrarsi in problemi specifici, anche Se aventi utili risvolti pratici (tipo: qual è la posizione ottimale del grasso sulla vela se prima non si hanno chiare in mente le regole fondamentali che governano il movimento della barca. Chi non le conosce e desidera colmare questa lacuna potrà trovare interessante l'articolo seguente

L'equilibrio della barca

D'ora in avanti, salvo diversamente specificato cosidereremo che il nostro Contender navighi su un mare privo di onde e sospinto da un vento di intensità e direzione costanti. In queste condizioni non è necessario avere Andrea (leggi Bonezzi) al timone perché la barca si muova ad una velocità costante e su una rotta fissata; diremo che in questo caso la barca si muove di moto rettilineo uniforme, Questa affermazione ci riporta col pensiero ai banchi di scuola e ci ricorda le leggi fondamentali della fisica leggi di Newton). in particolare se la nostra barca avanza con moto rettilineo uniforme la somma delle forze agenti su di essa è nulla. Questo non vuoI dire che sul corpo non agiscono forze, bensì che se c'é una forza agente sul corpo ce ne deve essere un altra uguale ed opposta che le fa equilibrio. Per intenderci, se una forza di intensità IO Kg applicata alla barca agisce da poppa verso prua, deve esserci un'altra forza di 10 Kg che agisce da prua verso poppa perché la barca continui a muoversi ad una velocità fissata. Qualora questa seconda forza fosse di 9 o 11 kg ci sarebbe uno squilibrio di forze di + o - 1 kg che porterebbe la barca rispettivamente ad accelerare o decelerare verso una nuova velocità di equilibrio. Nella pratica velica esistono due tipi di forze agenti sulla barca (oltre naturalmente alla forza peso: le forze aerodinamiche che principalmente sono applicate alla vela, e quelle idrodinamiche o idrostatiche che si sviluppano sullo scafo e sulle appendici; analizzeremo in dettaglio queste forze successivamente E' bene ricordare che essendo tre le dimensioni dello spazio, l'equilibrio (o annullamento delle forze deve essere verificato non solo in direzione longitudinale (rispetto alla barca), ma anche in direzione trasversale e verticale; auspicabile l'ultima verifica (quella verticale) pena l'affondamento dell'imbarcazione o il decollo verso la stratosfera

Vento reale e vento apparente

A questo punto dovrei introdurre un grafico fondamentale per la comprensione dei concetti che dovrò successivamente presentare, ma per fare questo è necessario avere famigliarità con la nozione di "vettore". i vettori ci permettono di rappresentare in forma grafica (con delle frecce) grandezze fisiche dotate di modulo, direzione e verso (come per esempio una velocità od una forza) e di fare operazioni di somma e sottrazione su di esse. Rappresentiamo vettorialmente una barca che avanza a 6 nodi di velocità con un vento reale di 12 nodi che forma un angolo di 45° rispetto alla prua. innanzi tutto bisogna definire una scala per le velocità e per esempio decido che sul mio foglio di carta 1 nodo corrisponde ad 1 centimetro di lunghezza. 
Fissata la direzione della barca rispetto al foglio, il vettore velocità della barca sarà una freccia lunga 6 cm (modulo), giacente lungo l'asse della barca (direzione) e con la punta diretta da poppa a prua (verso). Il punto di applicazione di questo vettore, cioè la posizione della coda della freccia, é indifferente, ma ci conviene fissarlo in corrispondenza del piede d'albero che d'ora in avanti chiameremo origine (O). A questo vettore diamo il nome Vb e diciamo che a causa della sola velocità della barca il timoniere sente un vento pari a -Vb che rappresentiamo come un vettore identico a Vb (stessa lunghezza e stessa direzione) ma di verso opposto cioè con la punta rivolta verso poppa. Rappresentiamo inoltre la velocità del vento reale (Vtw) come una freccia lunga 12 cm giacente su una retta ruotata di 45° (Btw) rispetto alla prua della barca e con la punta nell'origine O. Il vento apparente (Vaw), cioè il vento relativo alla barca, è pari alla somma vettoriale di Vtw e -Vb, cioè del vento reale meno la velocità della barca. Per trovare il vettore somma di altri due bisogna far coincidere la coda di uno con la punta dell'altro; il vettore avente coda e punta negli estremi liberi è il vettore somma dei due. Così il vettore Vaw rappresentato in figura ha la coda coincidente con quella di Vtw e la punta di -Vb. Avendo a disposizione un righello ed un gognometro possiamo misurare che l'intensità del vento apparente è l6.8 nodi e il suo angolo rispetto all'asse della barca (Baw) è 30°.

Forze aerodinamiche

La vela sviluppa delle forze aerodinamiche in relazione alla forma propria ed al vento apparente che riceve e che abbiamo appena misurato. Rappresentiamo vettorialmente queste forze e diciamo che una forza di IO Kg corrisponde nel nostro disegno ad un vettore lungo 1 cm (non c'è nessuna relazione tra scale delle velocità e delle forze) e prescindiamo inoltre dal punto di applicazione di queste forze.
La pressione dell'aria sulla vela produrrà una forza perpendicolare alla direzione del vento apparente che chiameremo "portanza aerodinamica" (La) ed una forza parallela detta "resistenza aerodinamica" (Da) Il modulo di entrambe le forze varia linearmente con la superficie velica (As) e con la densità' dell'aria (rho) e cresce col quadrato della velocità del vento apparente. Lasciando perdere la densità dell'aria, su cui abbiamo scarsa possibilità di intervento, questo vuoI dire che se raddoppiamo la superficie velica, la portanza e la resistenza aerodinamica raddoppiano, mentre quadruplicano se raddoppia la velocità del vento apparente. In termini matematici possiamo scrivere che:

 La = 0,5*rho*As*Vaw Da = 0,5*rho*As*Vaw
 

I coefficienti CI e Cd, detti rispettivamente coefficienti di portanza e di resistenza, dipendono da una serie di fattori tra i quali ricordiamo i più importanti CI cresce aumentando l'angolo tra vento apparente e boma (angolo di attacco aumentando la concavità della vela (grasso) e riducendo la svergolatura della balumina Ogni vela però, a seconda della concavità, ha un valore massimo dell'angolo di attacco oltre il quale Cl non può salire (CI max) poiché oltre si verifica il fenomeno del lo stallo. Tanto per dare dei valori indicativi una vela molto grassa può avere CI max - 1.6/1.8 mentre una vela molto magra non supera CI max - 0.6/0.8. Vele esasperate dotate di flap e slot come le "ali" dei catamarani di classe C' possono raggiungere Cl max = 2.4
Cd è in realtà la somma di due termini Cdo e Cdi (cioè Cd = Cdo + Cdi). Cdo cresce con l'angolo di attacco, con la concavità della vela e dipende inoltre dalla forma e dalle dimensioni dell'albero di bolina Cdo può andare da 0.01 per un classe C a 0.3 per una vela molto grassa sostenuta da un albero a sezione cilindrica mentre in poppa si possono raggiungere valori intorno a 1.2. Cdi aumenta invece col quadrato di CI e linearmente col rapporto tra superficie velica e lunghezza della ralinga. Esiste inoltre una svergolatura della balumina per cui Cdi è minimo a parità di tutto il resto; aprendo o chiudendo la vela rispetto a questo valore ottimo Cdi aumenta. Il valore ottimo della svergolatura è quello per cui si verifica che la variazione della portanza sulla randa andando dal boma alla tavoletta (di cui il già citato La è solo il valore complessivo) ha andamento ellittico.
Ipotizzando dei dati tipici per un Contender possiamo calcolare che nel caso rappresentato in figura La e Da valgono rispettivamente 47.2 e 9..9 Kg. Partendo dalla punta di Vaw disegnamo il vettore La lungo 4.72 cm con direzione perpendicolare a Vaw e dalla punta di La il vettore Da lungo 0.99 cm e parallelo a Vaw. La somma di questi due vettori è il vettore equivalente Fa; se poi vediamo le cose dal punto di vista della barca e non del vento possiamo scomporre Fa in altri due vettori detti T (spinta) ed H (forza laterale), il primo parallelo all'asse della barca ed il secondo perpendicolare ad essa. E' bene puntualizzare che non c'è nessuna differenza nel considerare la barca soggetta alla coppia di forze La e Da, oppure all'unica forza Fa o ancora alla coppia formata da T ed H. Il risultato è sempre lo stesso vettore complessivo Fa, avente intensità pari a 48.2 Kg. Però utilizzando T ed H vediamo che in definitiva di tutta la forza Fa sviluppata dalla vela solo una parte (T= 1 5 Kg) é la forza utile per la propulsione della barca, poiché rivolta in direzione poppa/prua, mentre una parte sostanziosa (H=47.2 Kg) tende a spingere la barca di lato.

Forze idrodinamiche

Per quanto detto in precedenza se il Contender rappresentato in figura naviga effettivamente alla velocità costante di 6 nodi e se la vela sviluppa (nel piano orizzontale) la forza Fa che abbiamo calcolato, allora da qualche parte della barca deve essere applicata una forza uguale ed opposta ad Fa. Poiché abbiamo esaurito le forze aerodinamiche e poiché la forza peso non ha componenti sul piano orizzontale, restano le forze idrodinamiche ad opporsi ad Fa. Chiamiamo la forza idrodinamica complessivamente applicata alla carena e alle appendici Fi la rappresentiamo come un vettore avente la stessa lunghezza e direzione dì Fa ma verso opposto. Come avevamo fatto per Fa, consideriamo Fi pari alla somma di due vettori , equivalenti uno parallelo Di e uno perpendicolare I.i all'asse della barca che chiamiamo rispettivamente "resistenza" e "portanza idrodinamica". Notiamo che Di é uguale e opposto al vettore T mentre Li è uguale ed opposto ad H.

Li e la forza che contrasta la spinta laterale H sviluppata dalla vela; e- è generata in parte dalla deriva ed in parte dal timone. Esiste una ripartizione percentuale ottima tra portanza prodotta dalla deriva e dal timone che rende minima una componente della resistenza all'avanzamento che analizzeremo in seguito. Se consideriamo che tutta la portanza venga prodotta dalla deriva possiamo dire che la portanza è linearmente proporzionale alla densità dell'acqua, alla superficie laterale della deriva e varia col quadrato della velocità della barca (Vb). Inoltre varia linearmente con l'angolo di scarroccio (che per semplicità non avevamo ancora considerato) ed è nulla quando l'angolo di scarroccio è nuIlo. In generale l'angolo di scarroccio che la barca deve raggiungere per generare la portanza necessaria all'equilibrio laterale della barca varia dai 3 ai 6 gradi. Nel nostro caso si può calcolare che l'angolo di scarroccio deve essere pari a 3.9_

La forza opposta al movimento in avanti della barca (Di), anche detta resistenza al moto, è la somma di diverse componenti. Le tre più importanti sono la resistenza viscosa (Rv), la resistenza d'onda (Rw) e la resistenza indotta (Ri), cioè Di = Rv + Rw - Ri.

Rv è la resistenza viscosa e nasce principalmente dall'attrito tra l'acqua e la carena o le appendici di carena. Il suo valore cresce linearmente con l'area della superficie bagnata e col quadrato della velocità della barca. E' inoltre proporzionale ad un coefficiente di resistenza che dipende principalmente dal tipo di flusso che si instaura sulla superficie della carena se il flusso è "laminare" il coefficiente di resistenza é più basso che con flusso "turbolento". Per quanto riguarda lo scafo l'unica maniera per cercare di ottenere flusso laminare è con una carena perfettamente liscia e priva di ondulazioni. Si può invece ottenere flusso laminare sulla deriva e sul timone con un'opportuna scelta della forma dei profili. E' bene anticipare che profili particolarmente studiati per avere flusso laminare in condizioni sfavorevoli (per esempio con vento forte) possono rivelarsi disastrosi in altre con bonaccia), mentre esistono profili con prestazioni medie su un vasto campo di utilizzo.

Nel caso pratico della figura si può calcolare che Rv = 7.5 Kg

L a resistenza d'onda (Rw) nasce dalla cessione di energia dalla barca al mare sotto forma di un treno d'onde; queste nascono principalmente dalla prua e dalla poppa dell'imbarcazione per effetto di un disturbo di pressione generato dalla carena. Non è facile calcolare la resistenza d'onda a tavolino, anche avendo a disposizione dei super computer, per cui spesso si ricorre alla sua misura sperimentale utilizzando la vasca navale. Possiamo dire che in generale la resistenza d'onda aumenta all'aumentare del dislocamento dell'imbarcazione mentre diminuisce all'aumentare della lunghezza al galleggiamento. Diminuisce inoltre riducendo la larghezza al galleggiamento ed è molto sensibile alla disposizione longitudinale dei volumi. Alle basse velocità Rw è minore se si hanno le estremità relativamente vuote ed il baricentro leggermente più a prua della metà lunghezza al galleggiamento; aumentando la velocità della barca la resistenza d'onda minima si ottiene riempiendo progressivamente le estremità e spostando il baricentro verso poppa. Data una certa carena Rw cresce in generale come la quarta o sesta potenza della velocità della barca. In pratica questo vuoI dire che a velocità basse la resistenza d'onda è una frazione trascurabile della resistenza viscosa, mentre alle alte velocità è la componente dominante della resistenza al moto. Superata una certa velocità una barca sufficientemente leggera, per effetto della elevata pressione dinamica sul fondo, tende a sollevarsi dall'acqua entrando in planata. Il volume immerso e la superficie bagnata diminuiscono riducendo così sia la resistenza d'onda che la resistenza viscosa. In queste condizioni è favorevole ridurre la lunghezza al galleggiamento; sono inoltre avvantaggiate barche con elevata larghezza al galleggiamento, fondo piatto e spigoli sul ginocchio in grado di staccare l'acqua dallo scafo prima che questa scorra (inutilmente) sul fianco.
Avendo a disposizione il piano di costruzione del Contender è possibile prevedere con una buona approssimazione che la resistenza d'onda a 6 nodi sarà Rw = 6.4 Kg.

Per resistenza indotta (Ri) si intende la forza che si oppone al moto della barca ed è conseguenza della generazione della portanza (Li). In altre parole la portanza Li che si oppone alla forza laterale H prodotta dalle vele non si ottiene gratis, ma pagando con la resistenza indotta. Se consideriamo che solo la deriva partecipi allo sviluppo della portanza la resistenza indotta risulta essere direttamente proporzionale al quadrato della portanza ed inversamente proporzionale sia al quadrato dell'immersione della deriva sia al quadrato della velocità della barca Cioè la resistenza indotta quadruplica se raddoppia la portanza mentre si riduce ad un quarto se raddoppia l'immersione della deriva o se raddoppia la velocità della barca. In misura minore dipende anche dalla forma in pianta della deriva (trapezoidale, ellittica...).
Abbiamo già detto che considerando anche la presenza del timone esiste una ripartizione ottimale della portanza tra deriva e timone che rende minima la resistenza indotta complessiva. Se l'immersione del timone e della deriva fossero uguali dovrebbero essere caricati ciascuno col 50% della portanza totale, riducendo l'immersione del timone rispetto alla deriva la percentuale dì portanza che il timone deve sviluppare per ottenere il minimo di resistenza indotta si riduce bruscamente. Su una barca come il Contender dove la deriva è molto più immersa del timone quest'ultimo deve essere lasciato decisamente scarico (barca poco orziera). Inoltre se un timone corto viene caricato anche poco oltre il valore ottimale, la resistenza indotta sale bruscamente, con che avviene in misura meno sensibile con un timone più lungo.
Nel caso in figura la resistenza indotta calcolata è Ri = 1. 1 Kg.

E' interessante notare che, come previsto, dalla somma delle tre resistenze parziali si ottiene un valore della resistenza totale pari a Di = 7.5 + 6.4 + 1.1 = Kg, valore identico a quello della spinta propulsiva della vela (T= 15 Kg).
 
 

Mario Caponnetto, ITA- 1 87
 

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