CUBA E I DISSIDENTI

Il recente arresto, con processo e condanna, di dissidenti a Cuba è stato sottoposto a forte critica in Occidente dal punto di vista dei diritti umani e della legalità. Ma vorrei guardare oltre questo, a ciò che tale vicenda ci dice circa la valutazione che la leadership cubana esprime sull'attuale situazione mondiale. In un tale più largo contesto storico, noi possiamo meglio comprendere quella che è stata chiamata la repressione cubana del dissenso.
In primo luogo, dobbiamo aver chiaro che l'accusa contro di essi non era che dissentissero, ma che cospirassero con il capo della Sezione Interesse Usa a L'Avana per sovvertire lo stato cubano. Secondo il ministro degli Esteri cubano Felipe Perez Roque, con il recente insediamento del rappresentante diplomatico di Bush, James Cason, la Sezione Interesse è diventata "il quartier generale della sovversione interna a Cuba". In violazione delle norme diplomatiche, Cason ha organizzato dissidenti, ospitando nella sua casa incontri, fornendo ad essi materiale e soldi, parte degli 8 milioni di dollari già stanziati quest'anno per "supportare lo sviluppo della società civile a Cuba". Si può ben immaginare che oltraggio sarebbe per il nostro paese se, a parti rovesciate, accadesse che diplomatici cubani organizzassero e finanziassero qui negli Usa un'opposizione al governo. Viceversa, una simile interferenza negli affari politici interni di un altro paese è norma tranquillamente accettata quando sono gli Usa a compierla e, in particolare, quando è compiuta nei confronti di Cuba. Nel caso di Cuba, il fine esplicito di tale intervento è - per dirla con un termine di uso corrente - il cambio di regime. Questo è stato lo scopo della politica Usa nei confronti di Cuba da oltre 40 anni, attraverso dieci amministrazioni. Se dunque questa è una vecchia storia, perché Cuba dovrebbe ricorrere alla repressione proprio adesso, dopo aver tra l'altro concesso negli ultimi tempi un maggiore spazio politico? Non è una reazione eccessiva?
Io penso che la leadership cubana stia agendo sulla base di una valutazione della situazione del mondo che è cambiata e che è caratterizzata in modo eclatante da un imperialismo statunitense sempre più aggressivo e tendente al fascismo. L' establishment di Bush ha condotto con successo una guerra d'aggressione in dispregio della maggior parte dei suoi tradizionali alleati e dei paesi membri dell'Onu, contro un' opinione pubblica mondiale manifestatasi in dimensioni che non hanno precedenti. Essi hanno proclamato l' intenzione di mantenere il loro dominio militare nel 21° secolo attraverso guerre unilaterali e preventive contro ogni possibile futuro concorrente, non solo globale ma anche regionale. E Cuba è chiaramente nella loro lista.
Rispetto ad un tale grave pericolo, dobbiamo chiederci: come può sperare Cuba di difendersi? Dalla metà degli anni '80, la difesa di Cuba non poggia su di un esercito professionale ma su un'armata e ben esercitata popolazione civile, che infliggerebbe ad un'eventuale invasione Usa dell'isola dei costi proibitivi. Secondo la dottrina Weinberger, che ancora prevale tra i pianificatori del Pentagono, gli Stati Uniti combatteranno solamente quelle guerre che potranno conseguire risultati decisivi in un tempo relativamente breve e con perdite contenute o nulle. Dopo il Vietnam, questo è l'unico tipo di guerra politicamente accettabile negli Usa. Per questa ragione, gli obiettivi preferiti sono stati deboli (Grenada, Panama, Afghanistan, Iraq). In effetti, le sanzioni Usa contro l'Iraq possono essere viste come uno strumento messo in opera per indebolire la capacità irachena di resistere all'eventuale attacco statunitense. In questa prospettiva, il più forte deterrente di Cuba è di mostrarsi politicamente unita.
La contromossa Usa è di cercare di promuovere la divisione politica all'interno di Cuba. L'ideale per Bush e compagnia sarebbe il sorgere di tumulti sociali da utilizzare come pretesto per un intervento militare, nella forma di missione umanitaria. Il primo passo in questa direzione è la promozione di una società civile che si contrapponga allo stato: poco importa che a Cuba vi sia già una società civile socialista basata su di una cultura politica partecipativa. Questa è la trama che la leadership cubana ha ritenuto di dover stroncare sul nascere reprimendo la sovversione targata Usa: sanno di dover far fronte ad un nemico pericoloso.
Credo che questa sia la valutazione che la leadership cubana dà della situazione attuale. Essa non è diversa da quella che molti progressisti danno qui, nella pancia del mostro. Quali conclusioni sono da trarre? Se i progressisti statunitensi desiderano vedere a Cuba un maggiore spazio politico per le opinioni differenti, allora dobbiamo batterci per porre un freno alla cricca reazionaria di Washington. E' l'ostilità del nostro governo nei confronti della Rivoluzione Cubana che limita lo spazio politico a Cuba. Il governo cubano certamente preferirebbe che gli fosse data tregua così da poter perfezionare le sue proprie istituzioni democratiche: considerando che è stata sotto assedio per quattro decadi, i progressi di Cuba sono stupefacenti. Ed ha bisogno della nostra solidarietà, del nostro aiuto, perché si allenti la pressione su di lei esercitata dal colosso yankee. Al momento, questo potente paese è nelle mani di un establishment fanatico. Esso è il nemico del popolo cubano, così come della maggior parte dei popoli del mondo e dello stesso popolo americano. E' nostra responsabilità cominciare a cambiare regime qui, a casa nostra.

Cliff DuRand, professore emerito di Filosofia presso la Morgan State University e coordinatore dell'annuale Conferenza degli Scienziati sociali e dei Filosofi Nordamericani e Cubani (www.cubaconference.org)

(trad. di Bruno Steri)