La grazia a Sofri oltre Sofri

Il primo blitz del neo-direttore del Corriere della Sera è riuscito. Se il successo di un’operazione mediatica si misura dall’eco che suscita, non c’è dubbio che il fondo dedicato da Stefano Folli l’altroieri al "caso Sofri" ha colto nel segno. Tutti si sono sentiti in dovere di riprenderlo e di commentarlo. Può persino essere che questa sortita riesca a smuovere le acque, propiziando una rapida soluzione della vicenda. Ma che dire dell’eventuale concessione della grazia ad Adriano Sofri?

Sgombriamo subito il terreno da un possibile equivoco. Per noi è giusto sottrarre alle patrie galere ogni persona che non costituisca una minaccia per gli altri e la liberazione della quale non sia fonte di grave sofferenza morale per la parte lesa dal reato. In questo senso siamo anche noi favorevoli alla concessione della grazia a Sofri. Detto questo, resta un interrogativo, per noi fondamentale. Perché questo provvedimento? Qual è la ragione per cui come titolavano ieri molti giornali sono «tutti d’accordo, da Forza Italia ai Ds», nell’invocarlo?

Ci sono due risposte possibili. La prima è che Sofri merita la grazia perché è Sofri. Così pensa, ad esempio, il direttore del Corsera, che tesse un panegirico dell’ex leader di Lotta continua e della sua attività intellettuale. Non ci sembra che, scegliendo questa strada, si renda a Sofri un buon servizio. O meglio: può ben darsi che l’argomento si riveli efficace, che aiuti denunciare la detenzione di «uno dei maggiori intellettuali italiani». Ma questa connessione tra grazia e talento intelletuale getterebbe una macchia sulla sua scarcerazione. La collocherebbe fatalmente nel quadro di una giustizia malata di particolarismo e incapace di rispettare il principio di eguaglianza che dovrebbe invece ispirarla. Perché mai avere scritto bei libri dovrebbe aiutare ad uscire di galera? Perché occupare un posto di spicco nella «società dei letterati» dovrebbe costituire un titolo di merito a questo scopo? Come non pensare poi che ad infoltire le schiere di quanti chiedono la grazia per Sofri concorrano anche considerazioni politiche, la condivisione delle tesi propugnate nei suoi articoli: sarebbe augurabile una grazia per «meriti politici»? Ma per essere a favore della liberazione di Sofri non c’è bisogno di essere d’accordo con Stefano Folli. La si può auspicare anche solo per il fatto che sono passati più di trent’anni dalla morte di Luigi Calabresi e che Sofri (che per la giustizia italiana fu mandante di quell’omicidio) non è certo un pericoloso criminale la cui liberazione possa far temere episodi di violenza. Su questa base l’auspicio che egli lasci presto il carcere non può non essere condiviso. Ma se davvero sono queste le ragioni per le quali ci si mobilita in massa a favore di Sofri, allora non ci si può fermare qui.

Sofri è uno, i detenuti nelle sue condizioni sono migliaia. E decine e decine di migliaia di migranti, tossicodipendenti, proletari semi-analfabeti – sono in questo Paese i detenuti che conoscono patimenti non meno gravi dei suoi, se mai fosse possibile immaginare una misura delle altrui sofferenze. Essi non hanno voce e nessuno parla in nome loro: accetteremo che, per un detenuto illustre che lascia la cella, moltissimi altri proseguano nel loro oscuro calvario? Al 31 dicembre dello scorso anno erano 1.025 le donne e gli uomini che scontavano nelle carceri italiane condanne all’ergastolo: ci sarà anche per loro un accorato appello del Corriere della Sera?

In tre anni il parlamento non è riuscito a varare una pur cautissima misura di clemenza che dovrebbe concedere a qualche migliaio di detenuti due anni di sospensione condizionata della pena. Intanto in carcere si muore di suicidio, di overdose, di mancate cure. I detenuti denunciano pestaggi e continue lesioni dei loro diritti fondamentali (sanità, relazioni affettive, difesa, rispetto della corrispondenza). Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura non esclude di chiedere la condanna del nostro Paese per violazione dei diritti umani nei confronti della popolazione detenuta. Allora che si parli pure di Sofri, che lo si aiuti ad uscire presto dal carcere. Ma che si faccia altrettanto per chi, come lui, non ha motivo di marcire in galera, e che ci si impegni a fondo affinché le carceri italiane cessino di essere l’inferno che sono. Si eviti che un gesto di civiltà si trasformi in un privilegio.

Alberto Burgio
Responsabile nazionale giustizia del PRC