Comunicato stampa su esito referendum del 15 e 16 giugno 2003

Il dato dell'affluenza al voto dei referendum sull'articolo 18 e sull'elettrodotto coattivo è chiaro e rappresenta una sconfitta per tutti i lavoratori italiani. Sia per coloro che, nel caso di raggiungimento del quorum e di vittoria dei "Sì", avrebbero beneficiato dell'estensione delle tutele previste dall'articolo 18, sia per quelli che vedranno, con l'approvazione del ddl 848 bis, venire meno le loro tutele, sia per quelli, precari, parasubordinati, co.co.co, e atipici in genere, che vedono oggi più lontana la possibilità di accedere a garanzia di stabilità del posto di lavoro maggiori di quelle, pochissime, di cui beneficiano oggi.
C'è sicuramente da riflettere sull'uso di uno strumento come quello referendario, ormai usurato e che, storicamente, comporta un astensionismo aggiuntivo a quello delle competizioni elettorali del 15%. In una situazione in cui anche alle elezioni politiche si recano alle urne due elettori su tre, si capisce bene che probabilmente sarebbe stato difficile raggiungere il quorum anche se le forze che hanno boicottato il referendum avessero dato indicazione di voto per il "No". Certo è che, con l'attuale rapporto di forze all'interno del parlamento, la via legislativa sarebbe stata ancora più impercorribile di quella referendaria.
Detto questo credo sia bene fare alcune considerazioni: la prima riguarda il fronte unitario di forze politiche, sindacali e sociali, che si è coalizzato sui due quesiti referendari, che ha un'ampiezza maggiore di quella delle singole forze politiche che hanno promosso il referendum. Queste forze, che vanno dal Prc alla sinistra Ds, dai Cobas alla Cgil, dall'Arci ai Forum sociali, dai Verdi al PdCI, dalla Cub alla Fiom, hanno condotto una battaglia comune su una questione, quella dei diritti del lavoro, non congiunturale e di fase, ma strategica e strutturale, della quale è un segnale chiaro anche l'accordo separato fra Federmeccanica, Fim e Uilm, che esclude la ben più rappresentativa Fiom. Nell'ultimo anno e mezzo, dall'inizio della raccolta delle firme ad oggi, sono state intessute fittissime reti di relazioni a tutti i livelli, a partire dalla base. Si è sperimentato, in questo anno e mezzo un buon livello di unitarietà sui contenuti dei quesiti referendari. Anche se può suonare strano si deve riconoscere che quasi tutta la sinistra italiana, nella sua pluralità ed eterogeneità si è unita sul "Sì"; solo la parte più centrista della sinistra italiana, la maggioranza diessina, si è espressa contro. E' auspicabile, per il bene della sinistra, che quello che è stato "il fronte del Sì", continui a sperimentare forme di unitarietà sui contenuti, continui a portare avanti battaglie comuni sulla difesa del diritto, della pace, del lavoro, rifuggendo qualsiasi tentazione di far cadere la responsabilità del risultato su altri o all'indomani del voto, di porre distinguo o di "sfilarsi", per evitare di dover sopportare il peso della sconfitta.
La seconda considerazione riguarda la posizione dei Ds. La dialettica interna a tale partito ha messo il luce la perdita dei riferimenti di classe da parte della maggioranza diessina. Non si tratta ovviamente di "tradimento della classe operaia", si tratta della scelta, che rispettiamo ma non condividiamo, da parte di quel partito, del blocco sociale di riferimento. Ciò ha a che fare con la natura di partito "interclassista" che i Ds si sono dati. Ed in una fase di rapporti di forza fra le classi tutti spostati a vantaggio del capitale, perdere i riferimenti di classe e proporsi di rappresentare gli interessi di tutta la società, significa privilegiare di fatto gli interessi delle classi più forti. La classe imprenditoriale oggi, non potendo più contare sulla svalutazione competitiva della lira, è costretta a basare la propria competitività internazionale sulla compressione salariale e dei diritti del lavoro.
Terza, e ultima, considerazione: il referendum per l'estensione dell'articolo 18 non è stato "la madre di tutte le battaglie". Qualsiasi esito avesse sortito la consultazione referendaria, la dialettica fra lavoratori ed imprenditori (la lotta fra capitale e lavoro, se mi si passa questa desueta locuzione) sarebbe continuata comunque. Su posizioni più o meno avanzate, di maggiore o minore forza contrattuale da parte dei lavoratori, ma sarebbe continuata.
Credo quindi che sia necessario che le forze cha hanno sostenuto il "Sì" continuino a ricercare terreni unitari sui contenuti (ed il materiale su cui essere uniti c'è: difesa del lavoro appunto, ma anche pace, Europa, Stato di diritto, difesa dell'ambiente, difesa della scuola pubblica) per ricostruire e dare una prospettiva "di sinistra" a quei circa 11 milioni di cittadini (due terzi dell'elettorato di centro sinistra) che si sono recati comunque alle urne, che hanno chiesto un segnale di svolta in termini di diritti dei lavoratori e di sviluppo sostenibile.

Roberto Fabio Cappellini
Segretario Provinciale Prc