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Le tracce del passato
Il
ruolo di Lecco, fu spesso più importante, in passato, sotto l’aspetto
militare che sotto quello socio-culturale. In varie occasioni la città e
il suo contado assunsero infatti la funzione di elementi cardine di una
linea fortificata. Non sorprende dunque che in città le tracce più
evidenti del passato siano costituite, piuttosto che da edifici civili o
religiosi, da resti di fortificazioni. Dei
castello bizantino, poi riattato dai Longobardi, affiorano tracce in
località Santo Stefano. Esso fu importante elemento del limes che
gli eredi dei Romani avevano costruito contro Goti e Franchi ai piedi
delle Prealpi. La tradizione vuole che dal colore bianco delle sue mura
calcaree il castello abbia preso il nome di "castron Leuci" e da
qui sia venuto il nome della città. Sull’origine del toponimo si è
invece già detto che più probabilmente esso è legato al Leuk celtico
(landa senza boschi, radura ecc.) oppure alla Leucomonia etrusca
(distretto). Del
castello tardomedievale che gli Arcivescovi di Milano possedevano a Lecco
e che serviva da rifugio per la città in caso di attacco è rimasto solo
il toponimo: Castello. L’edificio è stato sostituito dal bel palazzo
Belgioioso, nel quale è ospitato il Museo Civico e l’interessante
sezione archeologica. Le incertezze di quel tempo lasciano però tracce
nelle torri di Abbadia e Maggiana, il cui castello ospitò il Barbarossa,
e nella casatorre di
Crebbio raro esempio di quell’edificio turrito che maggior fortuna
ebbe nell’Italia centrale. I
resti del castello visconteo sono invece in centro; ma quello che si vede
è per lo più il frutto dell’intensa opera di potenziamento sviluppata
dagli Spagnoli, che fecero della linea Trezzo - Lecco - Fuentes la spina
dorsale del loro sistema difensivo nord-orientale. Il castello è quello
famoso che ai tempi di Renzo e Lucia offriva a Lecco il "vantaggio di
ospitare una stabile guarnigione di soldati spagnoli, che insegnavan la
modestia alle fanciulle e alle donne del paese, accarezzavan di tempo in
tempo le spalle a qualche marito, a qualche padre, e, sul finire
dell’estate, non mancavan mai di spandersi nelle vigne, per diradar
l’uve, e alleggerire ai contadini le fatiche della vendemmia". Di
esso è rimasta una torre, ove ha sede il Museo Civico del Risorgimento. Le
testimonianze dell’attività economica prevalente nella regione, quella
rurale, rimasta immutata per alcuni secoli, sono impresse chiaramente
nella struttura abitativa. Per quanto riguarda le case rurali nelle valli
lecchesi, rinviamo a quanto osservato sulla casa
valsassinese pur segnalando che non infrequenti sono alcune
contaminazioni provenienti dal modello della collina brianzola. Qui
parleremo invece della casa rurale della fascia costiera. La sua struttura
è assai semplice: a pianta rettangolare, con la facciata esposta a
mezzogiorno sul lato lungo, è generalmente disposto su tre piani, col
seminterrato adibito a stalla e fienile e gli altri ad abitazione. Il
tetto è a due spioventi laterali, rivestito di ceppi o, nelle più
antiche, di piede (piöd).
Le finestre sono più
piccole del normale. Anticamente avevano i battenti interni e, ai piani
bassi, delle robuste inferriate. Sul retro mancano quasi del tutto. Nella
casa tradizionale, come in tutta l’alta Lombardia, il camino è di
introduzione recente. Si trovano ancora case con i "baffi" del
fumo agli angoli superiori delle finestre. Ai piani superiori è normale
il ballatoio (Iòbbia).
Quelli di legno sono
ormai rari. Il
cortile (curt)
non esiste ed è
sostituito da uno spiazzo acciotolato o lastricato o anche in semplice
terra battuta, che serve per il movimento dei mezzi ed il deposito
provvisorio dei prodotti. Neppure l’aia individuale esiste, ed era
sostituita da alcune aie comunitarie poste ai margini dell’abitato. Oggi
sono quasi introvabili e solitamente hanno cambiato funzione. Lo
spiazzo antistante la stalla è a volte affiancato da una tettoia con
funzione di ripostiglio o di legnaia, o anche di pollaio e conigliera.
Spesso una parte di questo ripostiglio fungeva da ricovero per le piante
di limone (limunera).
Presso la stalla
un’altra piccola tettoia proteggeva la sosta, dove venivano depositati
il letame o il foraggio di pronto impiego. La
scala è esterna, di solito si trova sul fianco dell’edificio e non
porta direttamente al ballatoio cui si accede dai ripostigli. Quanto
all’interno, esso è così strutturato: al pianterreno o nel
seminterrato compare la stalla, un ripostiglio e il fienile, che spesso è
aperto a portico (portéc).
Se la casa è ad un
solo piano, di fianco alla stalla compare un piccolo portico col forno e
nel retro il cameròt,
stanzino adibito alla
stagionatura dal formaggio. Sull’altro lato della casa trova posto la
cucina. Nelle case più grandi era previsto anche un locale per il torchio
per le olive. Al
primo piano abbiamo solitamente il cameròt,
il ripostiglio, la
cucina con un grande focolare addossato ad una parete e il forno. Nel
passato il ripostiglio era solitamente occupato dalla bigatéra, dove
si provvedeva all’allevamento del baco da seta. Il secondo piano ospita
invece le camere ed un altro ripostiglio per la conservazione di prodotti
deperibili (semi, frutta, patate ecc). Il sottotetto ha funzione di
deposito per attrezzi e oggetti d’uso episodico, come lo spazacà
brianzolo. Qualche
dimora dispone anche di una cantina. In questo caso manca il cameròt
ai piani superiori. Sui
medi e alti versanti lariani, le dimore, permanenti o temporanee,
assomigliano a quelle valsassinesi. Prevedono una cantina (Casèlt nei
seminterrato; la cucina e la stalla ai primo piano: le camere ai secondo;
il fienile nel sottotetto. Nella zona del castagneto la ca dal
fögh
è sostituita da un
unico locale. Il sècadòr,
tagliato in due
orizzontalmente da un oraticcio di vimini (gràq),
su cui venivano
distese ad essiccare le castagne ai calore d un fuoco permanente acceso
nel centro dei locale Tra le tracce del passato segnaliamo infine numerose miniere abbandonate o le incisioni di assaggio minerario che in varie epoche sono state effettuate. La miniera di galena della val Calolden, situata presso il rifugio SEL ai Pian Resinelli, era ancora in funzione all’inizio degli anni Cinquanta. Molto prima hanno chiuso le miniere di Sottocavalio in val Grande, sopra Ballabio superiore, e le altre della val Calolden sopra Laorca.
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