In questa sezione sono trattati i seguenti argomenti :
ISTITUZIONI LOCALI , CHIESE ED ESERCIZI PUBLICI
|
ISTITUZIONI
LOCALI, CHIESE ED
ESERCIZI PUBBLICI
A
Carassai nel XVIII secolo esistevano due Monti frumentari.
Ma l'esistenza di due fosse nelle quali veniva conservato il grano, dimostra
che, ancor prima della fondazione delle due pie istituzioni, forse si praticava
una sorta di abbondanza frumentaria.
Di tali fosse si è trovata traccia nella zona seminterrata del palazzo comunale
durante la costruzione della scalinata che collega la via Gian Paolo Polini con
la piazza G. Matteotti. Nel 1624 mons. Pietro Dini, arcivescovo di Fermo, in
occasione di una sua visita pastorale al paese, ordinò ai proprietari delle
fosse di spianare le bocche e di portarle a livello del piano della piazza.
Evidentemente queste fosse, dove era contenuto il frumento, sporgevano e
costituivano un pericolo per la popolazione .
A Carassai sono esistiti due Monti frumentari: il Monte Mattei retto dalla
Confraternita del Sacramento e il Monte Grassetti (o del Purgatorio) retto dalla
Confraternita del Rosario e dalla chiesa di Santa Maria del Buon Gesù .
a)
Monte Mattei .
Ad istituire il Monte Mattei fu tal Fabrizio Martini con lascito
testamentario di 20 rubbie di grano. Dopo trent'anni, incrementò questa prima
donazione il nipote di Fabrizio, Giovanni Martini (è la stessa persona che donò
il forno alla Sagrestia della chiesa di Santa Maria del Buon Gesù) che
aggiunse, alle 20, altre 40 rubbie di grano. Il Monte Mattei fu istituito il 22
dicembre del 1677 e
" nell istromento
pubblico " veniva concesso il diritto di proprietà
alla Confraternita del SS. Sacramento.
Il Monte, agli inizi del '700, subì un ammanco di grano di 15 rubbie: era
eramontista Giuseppe Virgili.
Questa perdita di capitale mise in difficoltà la Confraternita alla quale
competeva la gestione. Tuttavia, per gli interventi di sostegno di Alessandro IV
Borgia, la dispensa del grano continuò regolarmente ; essa veniva effettuata a
Natale, a carnevale e a Pasqua .
b) Il
Monte Grassetti ( o del Purgatorio ) .
Fu costituito per iniziativa di Giovanni Grassetti : era costui
l'eremita della chiesa di Santa Maria del Buon Gesù. La data di costituzione
risale al 1714, ma nel 1768, a soli 54 anni dalla sua fondazione, entrava in
profonda crisi; risultava infatti mal amministrato e il suo capitale si era
ridotto a sole 14 rubbie di grano.
Nel 1771 la situazione finanziaria non era sostanzialmente migliorata, infatti
il capitale era ancora di appena 18 rubbie .
La dispensa del grano veniva fatta nella prima settimana di giugno, in occasione
della Festa di San Barnaba patrono del paese.
Alla fine del '700 l'amministrazione dei due Monti frumentari
lasciava molto a desiderare, tant'è che il cardinale Parracciani, arcivescovo
di Fermo, a seguito della visita fatta a Carassai nel 1768, dispose
l'unificazione dei due istituti .
Ma nel 1773 la disposizione dell' Arcivescovo non era stata ancora rispettata
poiché i pii istituti, in questo periodo, risultavano ancora distinti .
Probabilmente la riunificazione avvenne nel 1788, anno in cui fu eretta la
Collegiata di Santa Maria del Buon Gesù.
In questa circostanza le proprietà delle Confraternite del Santo Rosario, dal
Sacramento e di Santa Monica furono riunite al fine di costituire la rendita
degli ecclesiastici che dal 1788 in poi costituiranno il Capitolo.
Tale operazione di associazione dei due Monti produsse da lì a
poco degli indubbi benefici economici; ciò si evince dal fatto che nel 1811 si
discusse la possibilità di creare a Carassai un Monte di Pietà pecuniario.
Il progetto rimase sulla carta, però il capitale dei pii istituti
ebbe un notevole incremento: nel 1837 disponeva di una quantità di frumento
pari a 104,73 rubbie .
L 'elezione dei Montisti, anche dopo l'unificazione, rimase di competenza delle
due Confraternite, le quali concedevano la gestione dell'ente a colui che
avanzava l'offerta più alta "dopo lo spegnimento della candela".
Il Pontista aveva l'obbligo di registrare in un libro mastro i debitori e
"le sicurtà rese dai mutuanti”.
La paga erogata dall'ente ai montisti non era fissa, ma
indicativamente venivano dati per ogni quarta presa in prestito quattro
quattrini".
Il Montista nel periodo in cui era in carica aveva l'obbligo di
pagare il "Notaro" , il "Balivo" ed era tenuto a sostenere
le spese per la custodia e la distribuzione del frumento, spese che
complessivamente ammontavano a tre scudi annui.
Nel 1866 il Monte frumentario di Carassai veniva retto dalla Congregazione di
Carità che quindi rilevava nelle sue funzioni le due Confraternite che fino a
quel momento avevano gestito l'ente.
Nel 1868 la Congregazione di Carità stilava un regolamento che si
articolava in 15 capitoli e prevedeva 23 punti.
Nell'anno successivo il presidente dell'ente di Carità prefigurava
l'istituzione di una cassa di Risparmio.
A tal fine veniva redatto uno statuto in cui si ipotizzava la
costituzione di un capitale di £. 2050,29 derivante dalla liquidazione di parte
del grano di proprietà del Monte.
Il progetto rimase inattuato. Solo nel 1912 fu istituita una Banca popolare che
non ebbe fortuna Ne1 1925, infatti, fu tra gli istituti che chiusero battenti
poiché i clienti ritirarono i soldi a seguito delle voci fatte diffondere ad
arte dal Governo fascista, secondo le quali tali istituti di prestito erano
sull'orlo del tracollo.
Il
termine ospedale oggi ha il significato di luogo pubblico destinato all’
assistenza sanitaria.
In passato con questo termine si soleva indicare un luogo dove trovavano
alloggio i pellegrini.
Era insomma una sorta di dimora, di ospizio per il viandante.
Dal 1539 a Carassai esisteva l'ospedale inteso appunto nell'accezione di
ostello. Era allora una casa situata all'interno del Castello Vecchio, molto mal
ridotta.
Due anni più tardi l'intera struttura edilizia si presentava in
condizioni più dignitose: aveva il nome di "Ospitale di Sant'Eusebio"
ed era gestito dal responsabile ecclesiastico dell'omonima Pieve.
Nella visita pastorale di mons. Dini del 1624 si dice che la casa
adibita ad Ospedale era contigua all'oratorio del Sacramento, che si trovava su
un Iato della piazza del Comune.
Da tale indicazione si può ragionevolmente supporre che la casa in
questione fosse proprio nei pressi dello stabile che circa un secolo fa era
adibito ad Ospedale, inteso come luogo di assistenza sanitaria.
Nel 1658 l'Ospedale era ridotto a beneficio semplice (era cioè in dotazione
patrimoniale ecclesiastica il cui il titolare non aveva obblighi di culto ma
soltanto obblighi di provvedere al mantenimento delle strutture) da mons.
Talenti, vicario generale della Diocesi di Fermo.
La gestione dell'ente era di pertinenza del figlio di tal Rutilio
Scaramuccia .
Nel 1765 l'Ospedale si trovava ancora dentro il castello, ai piedi del palazzo
pubblico, dunque era allestito negli stessi locali che anche in precedenza
avevano svolto la medesima funzione. In tale data era responsabile dell'ente
l'abate Vignati Romano.
In questi stessi anni, e precisamente nel 1771, la struttura
edilizia veniva utilizzata come dimora permanente da due indigenti famiglie
carassanesi.
La decisione di mettere lo stabile a disposizione di indigenti
del1uogo fu presa personalmente dal cardinale Parracciani in occasione della
Sacra visita del 1768 .
Nel 1813, su domanda del Podestà di Ripatransone che chiedeva dove venissero
ricoverati i pazzi del luogo, il primo cittadino di Carassai rispondeva che nel
paese non c'erano ospedali, intendendo con il termine il luogo di ricovero per
malati .
Il 13 febbraio del 1842 si riuniva il Consiglio comunale in seduta allargata a
trenta consiglieri con il seguente
punto all ' ordine del giorno: Se pare o no erogare il fruttato di un decennio
della Prebenda Canonicale di Sant 'Antonio abate o jus. patronato di questa
illustrissima comunità vacante per la morte del rettore fu
Don Altobrando canonico Morici per lo stabilimento di un ospedale a
Carassai.
In altre parole il Consiglio veniva chiamato a decidere se la
rendita di dieci anni di un beneficio canonicale rimasto vacante, invece di
venire destinata al sostituto di Don Morici, potesse essere devoluta per la
costruzione di un ospedale.
La costruzione si sarebbe dovuta realizzare ristrutturando e modificando il
vecchio palazzo comunale.
Era Priore (una sorta di Sindaco) del paese Bernardino Vannozzi; a quella
riunione erano presenti 23 consiglieri: 22 votarono a favore della proposta,
soltanto uno votò contro.
Durante la stessa seduta venne votata una commissione, a cui fu affidato il
compito di richiedere le licenze necessarie per la costruzione, essa era
composta dall'arciprete Lodovico Tomassini, dal canonico Severino Sansolini, dal
priore Bernardino Vannozzi e dal sig. Gervaso Laurantoni.
Il 20 dicembre dello stesso anno (1842) l' Amministrazione di
Carassai destinò un assegno annuo di 25 scudi per i lavori dell ' ospedale. Per
la realizzazione della struttura sanitaria fu redatto un progetto dal signor
Basili di Porto San Giorgio con un preventivo di spesa pari a 408 scudi e 66
baiocchi.
I lavori procedettero a rilento; nel 1854 erano state ricavate
quattro camerette peraltro non ancora pavimentate; a quella data, dunque,
l'ospedale non era ancora fruibile .
La popolazione, che in quegli anni doveva fare i conti con una grave epidemia di
colera, avanzò le proprie rimostranze.
Nel gennaio del 1856 la costruzione dell' ospedale, pur non ancora ultimata, tuttavia
risultava a buon punto.
Erano stati spesi 404 scudi.
Con questa somma l' Amministrazione locale aveva trasformato il vecchio palazzo
comunale: aveva rifatto l'interno e l'esterno del primo e del secondo piano
sostituendo anche alcune travi del tetto e molti coppi; aveva costruito la
cappella e sostituito 13 finestre; inoltre erano state realizzate altre opere in
muratura e in legno.
Con altri 200 scudi disponibili erano stati acquistati 1500 "pianconi"
per la pavimentazione e altro materiale.
Per ultimare i lavori però mancavano ancora 100 scudi che dovevano servire per
la messa in opera del materiale acquistato. Pertanto nel 1856 la struttura
sanitaria carassanese stava per essere portata a termine; evidentemente le
entrate non venivano erogate con regolarità se il Sindaco nel 1861 si lamentava
di non aver denaro necessario per far funzionare la struttura.
Il primo amministratore dell'opera Pia Ospedale fu il canonico don Giuseppe
Ferretti; a cui successe don Pacifico Rossi .
Esisteva già
nel 1657 ; era adibito ad aula scolastica un locale ubicato nell'edificio
prospiciente la piazza del Comune.
I locali di questo stabile erano di proprietà della Confraternita del
Sacramento che, come si è gia detto, nella stessa piazza possedeva una piccola
chiesa omonima.
Nella stessa casa in cui si insegnava a leggere e a scrivere veniva ospitato
anche il predicatore della Quaresima .
Nel 1768 il maestro della scuola di Carassai era tal Angelo Garulli.
In questo stesso anno il cardinale Parraciani, in visita pastorale al paese, si
recò presso la scuola; gli allievi recitarono in suo onore dei componimenti
poetici e musicali: in quella circostanza I' insegnante ricevette i complimenti
dell ' Arcivescovo.
Nel 1833 la scuola elementare di Carassai era frequentata da 23
bambini tutti maschi, la popolazione del paese in quell'anno era di 1277
persone.
Maestro di scuola era all'epoca un sacerdote, canonico della locale Collegiata.
Soltanto dopo l'Unità d'Italia l'insegnamento elementare fu affidato ad un
laico.
Ad impartire l'insegnamento della grammatica tre anni più tardi era Don Pietro
Matà che continuerà a svolgere tale compito per diversi anni .
Nel 1845 fungeva da maestro don Giuseppe Ferretti; in questo periodo la scuola
veniva frequentata da 20 bambini, divisi in quattro classi: nella prima si
insegnava lettura, nella seconda l'ornato; nella terza i principi di grammatica;
nella quarta classe si studiava la grammatica.
A Carassai in detto periodo non c'era la scuola di Umanità che probabilmente
corrispondeva all'attuale Ginnasio: era questa un livello di studi più alto la
cui istituzione, in un sito così piccolo, sarebbe stata impensabile .
A impartire le lezioni nella scuola pubblica del paese nel 1851 era tal Clemente
Rossi, un uomo tutto di un pezzo, che amava lo studio e desiderava che i suoi
allievi potessero disporre di strutture scolastiche accoglienti.
Egli, infatti, il 3 agosto di quell'anno scriveva all' Arcivescovo di Fermo
lamentandosi che il Sindaco di allora, Camillo Garulli, aveva destinato alla guardia
civica un locale che precedentemente era stato assegnato alla scuola.
Il Rossi comunicava alI' Arcivescovo che l'aula scolastica, dove
teneva le lezioni, non era assolutamente idonea e confacente poi che era situata
nella pubblica piazza al di sopra di un esercizio pubblico che, di volta in
volta, fungeva da bettola, da pescheria e da spaccio delle carni: dall'aula si
udiva spesso lo schiamazzo proveniente sia dalla piazza che dall'esercizio
pubblico.
La vicinanza alla scuola di un ritrovo in cui veniva usato un
linguaggio così sconveniente e volgare, recava grande disturbo al normale
svolgimento delle lezioni e costituiva un pessimo esempio educativo per i
piccoli scolari.
Ciò induceva l'insegnante Rossi a protestare e a richiedere l'intervento
di sua Eccellenza. Il maestro si lamentava anche per il fatto che l' aula era a
suo dire una sorta di tugurio molto angusto, a cui si accedeva attraverso
quindici gradini esterni, mal ridotti che, durante l'inverno, quando c'era il
gelo, mettevano a rischio l' incolumità del maestro e quella dei bambini.
L 'insegnante Rossi ogni giorno impartiva 5 ore di lezione in una struttura
edilizia fredda e scura in cui la scolaresca non doveva proprio trovarsi a suo
agio .
Nel 1855 il posto del maestro Rossi fu preso da tal Lorenzo Capriotti da
Rotella, anche lui doveva essere un prete e pare che non fosse un valente
insegnante.
Don Capriotti, infatti, non riscosse i favori dell'autorità ecclesiastica
locale.
In una lettera inviata dall'allora arciprete di Carassai all'arcivescovo di
Fermo cardinale De Angelis si diceva che il maestro non sapeva insegnare le
regole della lingua latina e che traduceva le versioni solo aiutandosi con il
traduttore .
Nel settembre del 1858 a Carassai c'era ancora la sola scuola per i maschi, in
cui venivano impartiti gli insegnamenti della lettura e i primi rudimenti di
lingua latina.
I ragazzi che la frequentavano erano 17, di cui 6 studiavano i principi di
grammatica e gli altri venivano esercitati nella lettura.
L' onorario del maestro era di 80 scudi annui; però, essendo egli prete,
percepiva anche due scudi per la celebrazione di dodici messe all ' anno nella
chiesa rurale del Crocifisso, che era di patronato comunale.
Già nel novembre dello stesso anno (1858) la scuola veniva a trovarsi senza
insegnante; infatti don Giacomo Ciarrocchi che avrebbe dovuto prendere servizio
pretendeva un aumento di stipendio di 10 scudi.
L 'aumento non gli fu accordato e il Ciarrocchi, senza dare alcun preavviso,
aveva lasciato l'insegnamento. Al suo posto venne di nuovo incaricato lo zelante
canonico don Clemente Rossi.
Già dal 1860 fu nominato maestro Alessandro Garulli nativo di
Mogliano e domiciliato a Tolentino; egli non era un prete.
Quell ' anno gli alunni iscritti erano 14, gli abitanti del paese 1808.
Nel 1861-62, cioè a un anno dalla proclamazione dell'Unità d'Italia, nel paese
continuava ad esistere la sola scuola per maschi; essa, da questo momento, non
era più regolata secondo le norme emanate da Leone XII, ma si conformava alle
disposizioni sancite dalla legge Casati.
L 'insegnante in questo periodo era Francesco Virgili di
Castignano.
Subito dopo il 1862 venne introdotta la scuola unica femminile: l'insegnante era
la signora Cristina Capoferri .
Durante la
storia del paese, la popolazione ha usufruito di diversi luoghi di culto, ognuno
dei quali ha assunto un ruolo di maggiore o minor rilievo, a seconda del variare
della situazione socio - ambientale del luogo.
Si possono distinguere tre diversi periodi, ognuno caratteriz-zato dalla
preminenza di alcune chiese rispetto alle altre.
Fino al 1363 le chiese più importanti erano la Pieve di San Eusebio e la
Prepositura di San Lorenzo in Camporo.
Ma nel 1363 il Castello di Camporo e il Castello Vecchio (Carnassalis) furono
distrutti. Nell'assalto al primo castello vennero abbattute le chiese che si
trovavano al suo interno e cioè San Lorenzo e Santa Maria; rimase invece
praticamente indenne la chiesa rurale di San Vito perché lontana dal luogo dove
era avvenuta la battaglia. Gli abitanti dei due siti dopo la disfatta si
riorganizzarono all'interno del Castello Vecchio e qui costruirono la nuova
chiesa di San Lorenzo , che da questo momento cominciò ad essere jl luogo di
culto di riferimento per la popolazione carassanese.
Dagli inizi del sec. XV fino al 1788, la chiesa principale del paese era quella
che in tutti i documenti è detta la Prepositura di San Lorenzo e che ancora
oggi si trova all'interno del Castello Vecchio.
Detta chiesa fu costruita nel 1424, con una forma diversa dall'attuale: aveva
l'entrata ad est e l'altare maggiore ad ovest ed era di dimensioni ridotte .
Intorno alla metà del sec. XV, durante il travagliato periodo della dominazione
sforzesca ,
il pievano di San Eusebio trasferì la pievania all'interno della Prepositura di
San Lorenzo, divenendo così altarista.
La chiesa plebana continuò ad essere officiata, ma solo in alcune festività
dell'anno.
Tale
trasferimento si rese necessario per ragioni di sicurezza in quanto la chiesa,
non essendo protetta, costituiva un facile bersaglio per le incursioni delle
soldatesche; del resto, la popolazione si era a poco a poco trasferita
all'interno delle mura del Castello Nuovo, costruite alla fine del sec. XIV .
Dunque in questo periodo la pieve di Sant'Eusebio cominciò a perdere d'
importanza, dopo essere stata per diversi secoli il principale luogo di culto
del territorio carassanese, e in cui, secondo lo storico Giuseppe Colucci, fu
sepolto il corpo del famoso avventuriero Boffo da Massa, ucciso in una imboscata
tesagli in Carassai, mentre correva l'anno 1387.
Nel 1495 la Prepositura di San
Lorenzo, dove già da qualche decennio la pievania di Sant'Eusebio si era
trasferita e il pievano, come precedentemente detto, era diventato altarista,
per decisione concorde dei due parroci venne ampliata, poi che risultava
insufficiente ad accogliere i fedeli; perciò i due ecclesiastici decisero di
acquistare due piccole case contigue al lato nord di detto luogo sacro, le
demolirono e costruendo un arco di sostegno all'interno, arco che è ancora
visibile, ampliarono la struttura dell ' edificio .
In tale circostanza, l' entrata della chiesa fu aperta sul lato nord e l' altare
maggiore fu disposto a sud.
Sulla parete ovest, sopra la porta che immette nell'attuale sacrestia si può
notare ancora oggi l'esistenza di un arco a tutto sesto che costituisce un
residuo architettonico attestante il sito ove era collocato l'antico altare
maggiore. Nel 1574 la chiesa fu restaurata; il campanile invece fu costruito in
epoca più recente , risale probabilmente al XVIII secolo .
In isita pastorale effettuata nell'anno 1785 si dice che in quel periodo erano
presenti nel territorio carassanese dieci chiese :la parrocchiale di San Lorenzo
ed Eusebio, I' oratorio di Monica, l'antica pieve di Sant'Eusebio, le chiese
rurali del SS crocifisso , di San Filippo Neri, di San Vito e la sub urbana di
Maria del Buon Gesù; in territorio di Rocca Monte Varmine
inoltre, esistevano tre chiese: la parrocchiale di San Pietro all’
interno del castello, la chiesa
rurale di San Luca e quella di Sant ‘ Angelo in Piano, antica abbazia.
Nello stesso documento si precisa che nel paese erano presenti tre Confratenite:
del Sacramento , di Santa Maria del Buon Gesù unita a quella del Rosario ,e di
Santa Monica. Al
servizio di culto in detti luoghi sacri provvedevano allora sette ecclesiastici
. Nella seconda metà del XVIII secolo, ed esattamente nel 1788, venne istituita
la chiesa Collegiata di Santa Maria del Buon Gesù con Bolla pontificia, in cui,
come dote, veniva fissata l'ingente somma di 777 scudi e 45 baiocchi e mezzo
.Era Papa Pio VI.
Un piccolo oratorio, ubicato nello stesso luogo dove oggi sorge la Collegiata,
dedicato a Santa Maria del Buon Gesù, risale al 1470 e forse è da attribuire
alla iniziativa di San Giacomo della Marca, probabilmente passato da queste
parti durante le controversie tra Fermo ed Ascoli che coinvolsero anche questa
zona.
A riprova di ciò si può citare l'esistenza a Fabriano di una chiesa omonima costruita
nel 1456 in circostanze simili.
L 'iniziale struttura della chiesa di Santa Maria del Buon Gesù doveva essere di
dimensioni ridottissime .
Nel 1532
iniziò il primo ampliamento della costruzione; per tale lavoro furono impiegati
molti carri di agricoltori del luogo, con i quali venivano caricati la calce e i
mattoni necessari alla muratura.
Dopo circa quarant'anni l'edificio sacro era in buono stato, veniva infatti
descritto come "optime repertum".
Tuttavia
l'ampliamento avvenne solo ne1 1590, in tale epoca, la chiesa fu ricostruita con
un confine perimetrale decisamente più ampio, per iniziativa della
Confraternita del Buon Gesù. Nei due secoli che precedettero l'istituzione
della Collegiata, furono apportate all' intera struttura migliorie e consolidamenti.
Nel 1601 il Boscoli eseguì gli affreschi sulla volta della navata di destra e
la pala d' altare con la Crocifissione della cappella del SS. Sacramento.
La navata centrale fu rialzata nel 1735 e tre anni più tardi furono ricostruiti
il cornicione della navata centrale, i barbacani di sostegno del cornicione e
furono rimbiancate le colonne .
Nel 1774 vennero realizzati: i tre portoni di noce esterni, le due porte con
stipiti ornati d'intagli ai lati dell'altare maggiore, la bussola papale, le due
pitture sopra le porte laterali, l' orchestra, il cassone per l'organo, gli
ornati (5-6) dei capitelli, intagli e cornici.
Per questi lavori fu pagata ad Alessio Donati la cifra di 97 scudi e 50
baiocchi.
I lavori di decorazione dell ' antiporta, dell ' orchestra e delle porte
laterali della tribuna furono effettuati nel 1779, da tal Libomo Amici per
l'importo di 105 scudi.
La cappella del Sacramento, detta cappellone, fu inaugurata molto più tardi
ne11853, ma già 38 anni dopo, ne1 1891, dovette essere restaurata per il danno
subito dalla caduta di un fulmine .
La Collegiata di Santa Maria del Buon Gesù fu istituita dunque nel 1788
mediante la riunificazione delle parrocchie di San Lorenzo e di Sant'Eusebio e
con l'apporto non indifferente dei beni appartenenti alle tre Confraternite,
ognuna delle quali aveva diritto di patronato rispettivamente di un canonicato.
Il
forno pubblico di Carassai esiste da diversi secoli.
Ne furono proprietari prima il signor Giovanni Martini, poi la Confraternita di
Santa Maria del Buon Gesù e infine il Comune.
Nel 1637 il nobile fermano Giovanni Martini (è la stessa persona che con un
lascito a favore della Confraterni.ta di Santa Maria del Buon Gesù permise di
costituire nel paese un Monte Frumentario ), nel suo testamento rogato il 28
agosto, lascia in eredità alla Confraternita di Santa Maria del Buon Gesù due
forni. Giovanni Martini moriva nel 1659.
Il
1° settembre di quello stesso anno gli eredi di questo illustre benefattore di
Carassai, rispettando a pieno la volontà del loro congiunto, consegnarono i
forni alla detta Confraternita. Uno
di questi si trovava all'interno del Castello Vecchio in quella che attualmente
è la via Boffo da Massa e che allora: era chiamata via da Solel09.Questo antico
esercizio pubblico, detto "delle Donne", ha funzionato fino al 1669,
data in cui il cardinale Giannotto Gualtieri dispose che venisse chiuso.
Tale
disposizione venne presa dall' Arcivescovo poiche il forno, che si trovava a
ridosso della Chiesa di San Lorenzo aveva danneggiato un Sacello -piccola
cappella votiva - di proprietà della Confraternita del Sacramento .
L' altro forno era invece quello che ha funzionato addirittura fino al 1974 in
via Cesare Battisti all'interno del Castello Nuovo.
Tale via nel XVIII e nel XIX secolo veniva chiamata via de1
Forno e prima ancora era anch' essa chiamata via da Sole ( è
interessante notare la singolare omonimia delle vie, una nel Castello Nuovo
l'altra nel Castello Vecchio, in cui in tempi diversi hanno funzionato i due
forni).
Dei due, è stato quello del Castello Nuovo ad assumere una crescente importanza
nel corso degli anni .
L ' edificio di via del forno era una casa a due piani , al piano terra avveniva
la lavorazione del pane e la cottura , al secondo piano c ' erano due stanze .
Il primo si trovava a Rocca Monte Varmine in un casolare che, ancora oggi, anche
se completamente fatiscente, è possibile individuare a nord-est della chiesa di
San Angelo in Piano; l'altro invece era ubicato lungo la pianura dell' Aso nel
tratto sotto Carassai e dava il nome ad una contrada che si estendeva dall '
attuale chiesa della Madonna delle Grazie fino al fiume.
L' edificio, attualmente diroccato e abbandonato, si trova alle spalle della
centrale elettrica.
Quest'ultimo mulino era di proprietà del Comune che annualmente lo dava in
affitto.
Esso esisteva fin dal lontano 1505; proprio in tale anno il Comune, che
evidentemente ne era proprietario, citava in giudizio un tal Girolamo
Bertacchini di Fermo, il quale aveva costruito un nuovo mulino nel territorio di
Montevidon Combatte.
Nella requisitoria vengono rivendicati i diritti sull'acqua del tratto del fiume
Aso che scorre sotto Ortezzano.
Nel 1613, in un atto istruttorio, un testimone dava conferma dei diritti del
comune di Carassai sul pubblico mulino .
Nel 1787 la struttura edilizia di questo esercizio pubblico venne rinnovata; fu
rifatto il pavimento e fu consolidato l'intero edificio
.
Entrambi
i mulini erano costruiti sulla sponda del fiume e non disposti su battelli (
come confermato dalle indicazioni ricavata da sopralluoghi effettuati sul
territorio ); gli elementi di cui si componeva la struttura molitoria erano i
seguenti: la tramoggia, il truogolo, due mole, il tamburo che conteneva le mole,
il palmento, la lanterna, la rotella, I' asse, la ruota .
Il lavoro di molitura del grano, sul finire del '700, veniva effettuato
essenzialmente in due modi: una macinatura grosso- lana che consisteva nel far
passare una sola volta il grano sotto la macina e che comportava un alto residuo
di tritelli (parti più spesse) nella crusca; e una macinatura "a
bianco", sicuramente più redditizia, che era un procedimento da cui si
otteneva una farina più bianca e in maggior quantità.
La macinatura "a bianco" era senz' altro preferibile a quella
grossolana; infatti da 240 libbre di frumento si potevano ottenere 160 libbre di
farina bianca, 20 libbre di farina bigia, 55 libbre di varie crusche con una
lieve perdita di circa il 2%.
Nel
XVIII secolo correva voce che i mugnai perpetrassero sovente frodi nei confronti
dei privati cittadini in quanto si riteneva che mescolassero la farine grigia
con quella bianca .
Pertanto l' Amministrazione comunale aveva previsto per colui che prendesse in
affitto il forno una serie di regole che il fornaio era tenuto a rispettare e
tra queste c'era anche l'obbligo di non mescolare la farina grigia con quella
bianca .
Come precedentemente si è detto, nel 1668 all'interno del Castello Vecchio
c'era un mulino da olio di proprietà della Confraternita del Sacramento ;
questo tipo di mulino funzionava a cilindri dentati disposti sullo stesso piano
lunghi 18 pollici e larghi 9; al di sopra di essi c'era la tramoggia entro cui
venivano poste le olive .
Nel 1771 il
macello di Carassai era posto nella piazza che oggi è intitolata a G.
Matteotti. Era contiguo o comunque nelle vicinanze della chiesa di Santa Monica
, ne era proprietario il Comune, infatti nei registri risulta che periodicamente
veniva dato in affitto.
Durante il periodo napoleonico il macello era gestito da tal Tommasini Giacomo
residente in contrada Castello al numero civico 17.
Nel
1851 il locale dove veniva venduta la carne era periodicamente adibito anche a
pescheria e si trovava ancora nella piazza del paese .
La qualità della carne del pubblico macello era controllata dai Grascieri:
erano questi una sorta di ispettori ai quali era demandato il compito di
verificare la qualità del prodotto messo in commercio; essi potevano consentire
la vendita delle carni anche in luoghi aperti.
Chi aveva in gestione il macello comunale doveva, oltre che eseguire la volontà
dei Grascieri, sottostare ad alcune regole imposte per contratto.
Innanzitutto
il macellaio era obbligato ad offrire una vitella all'autorità locale in
occasione della Festa di San Barnaba, nella ricorrenza del Santo Natale e nella
Festa della Madonna della Misericordia 129 .
Il gestore del macello doveva anche consentire ai privati di utilizzare la
struttura e gli attrezzi da lavoro per l'uccisione degli agnelli. Chi utilizzava
tale opportunità era obbligato a pagare un baiocco e poteva tenere per se la
pelle dell'animale. Il macellaio aveva anche un listino dei prezzi che doveva
rispettare, ogni trasgressione veniva punita con una multa in denaro.
I prezzi al pubblico nel 1787 erano i seguenti: castrato e vitello, 2 scudi e 4
baiocchi, agnello, 2 scudi e un baiocco .
Il negozio del macellaio nel '700 era di solito attrezzato in modo piuttosto
semplice.
Sul davanti, c'erano delle tavole grandi su cui venivano tagliate le carni;
dietro a questa specie di banco molto rudimentale c'era una struttura cilindrica
sopra la quale si disponeva e si collocava mettendola in bella mostra, la carne
tagliata, Altri tocchi di carne erano appesi tramite uncini a nervi di bue e
penzolavano sulle pareti dell'esercizio pubblico .