In questa sezione sono trattati i seguenti argomenti :
SUPERSTIZIONI , USANZE E TRADIZIONI RELIGIOSE
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SUPERSTIZIONI,
USANZE E
TRADIZIONI RELIGIOSE
Le
Streghe (XIX sec.).
Che l' immagine della strega fosse
una componente importante del patrimonio delle superstizioni carassanesi è
risaputo.
Alcuni anziani ancora oggi raccontano in proposito fatti del tutto inverosimili,
al limite dell'immaginazione, che testimoniano appunto un retaggio antico di
credenze fortemente radicato nei convincimenti del popolo carassanese.
Nel 1811 gli abitanti di Carassai identificavano queste figure con donne che
essi ritenevano brutte e cattive, una sorta di megere, le quali girovagavano per
la campagna e passavano di casa in casa a chiedere l'elemosina.
Secondo la convinzione popolare di allora le streghe avevano la facoltà, il
potere di far ammalare e anche morire le persone: era opinione comune che
preferissero accanirsi contro i bambini. Il semplice contatto fisico, il solo
sguardo della strega erano ritenuti di una tale efficacia, da causare malattie
gravi.
Nel linguaggio dialettale questo tipo di malia è rimasto ancora oggi con il
termine di "fatture" o malocchio. La persona, colpita dal potere
malefico della strega, poteva essere guarita in due soli modi. Un intervento
consisteva nel condurre il malcapitato a Poggio Canoso, frazione di Rotella.
Qui risiedeva un parroco che veniva
ritenuto capace di togliere i malefici influssi indotti dalla strega. Un secondo
modo consisteva nel far entrare la donna, che aveva procurato la malattia, in casa
della persona colpita, ed offrirle sale, farina di frumento e altre cose di suo
gradimento.
Nel caso in cui la strega si fosse rifiutata, allora veniva obbligata con la
forza. I parenti della vittima ricorrevano a tutto, anche alle percosse, pur di
costringerla a baciare il bambino o la persona che fosse ritenuta colpita dal
malocchio.
Mons.
Pietro Dini, in occasione della sacra visita effettuata a Carassai nel 1624,
constatò che i Carassanesi avevano dei comportamenti e delle abitudini che, a
suo modo di vedere, andavano contro il culto divino e i buoni costumi. Pertanto
l' Arcivescovo dettò nove decreti in cui venivano previste delle sanzioni per i
trasgressori.
Questo documento è una
testimonianza antica e fedele delle usanze carassanesi, pertanto riteniamo utile
riportare qui di seguito le disposizioni di mons. Dini.
L' Arcivescovo proibiva:
di salire sulle scale della torre campanaria della chiesa di San Lorenzo e di
suonare le campane. E poi che alcuni giovani tra i più temerari invece di
passare attraverso le scale arrivavano a suonare le campane passando per le
finestre e i tetti delle case contigue alla chiesa, l' Arcivescovo intimava ai
possessori di dette abitazioni di non dare libero accesso ai male intenzionati:
gli uni e gli altri, nel caso avessero trasgredito, venivano puniti con una
ammenda di una moneta d' oro ; di festeggiare gli sposi in modo poco civile,
facendo cioè rumore, con campanacci o altri oggetti. I trasgressori di questa
disposizione venivano puniti con una multa di una moneta d' oro e il vicario
foraneo era tenuto a comunicare all' Arcivescovo i nomi dei contravventori entro
cinque giorni dall'accaduto.
A Carassai, nell ' antivigilia della festa di San Barnaba patrono del paese, era
abitudine dei giovani locali correre all'impazzata attorno alla chiesa rurale di
Sant'Eusebio. Questa corsa frenetica era accompagnata da grida e da schiamazzi;
il tutto avveniva durante la prima ora della notte che probabilmente nel mese di
giugno doveva corrispondere all'incirca alle ore 20,00.
Una simile pratica nei pressi di un
luogo sacro era del tutto inopportuna, perciò l' autorità ecclesiastica
intimava al pievano di chiudere la porta della chiesa appena trascorsa l' ora
della notte stabilita e vietava schiamazzi nei pressi della chiesa. La pena
prevista per i trasgressori era a discrezione dell' autorità ecclesiastica
.
Inoltre mons. Dini proibiva a chiunque di portare in chiesa sedie, sgabelli o
panche e invitava il vicario foraneo a far presente eventuali trasgressioni;
vietava alla popolazione, durante il mercoledì, il giovedì e il venerdì della
settimana Santa, di far rumore in chiesa ( di battere cioè con bastoni sopra i
banchi) in occasione della recita dell'Ufficio delle Tenebre.
I
nomi di coloro che disattendevano questa norma dovevano essere segnalati dall '
autorità religiosa locale all ' Arcivescovo che avrebbe provveduto a comminare
una opportuna sanzione ; proibiva agli ecclesiastici del luogo di celebrare più
messe contemporaneamente nelle chiese del paese; e precisava che ogni messa
doveva essere officiata a distanza di 15 minuti l'una dall ' altra, l' ammenda
prevista per i trasgressori era a discrezione dell ' autorità ecclesiastica
fermana .
Poiché aveva constatato che tra i sacerdoti di Carassai si creavano spesso
dissapori a causa di rivendicazioni avanzate da alcuni ecclesiastici in ordine
alle celebrazioni di funzioni, il Prelato emanava criteri precisi tendenti a
stabilire una gerarchia in seno al clero locale. Disponeva, infatti, che le
funzioni religiose di pertinenza del pievano, che, in sua assenza, era la
massima autorità ecclesiastica locale, dovessero essere officiate dal preposto
di San Lorenzo; nel caso in cui anche lui fosse assente, allora era prerogativa
del pievano scegliere il suo sostituto .
L'
Arcivescovo, qualora fosse stato disatteso il provvedimento e si fossero
ripetuti i litigi tra sacerdoti, si riservava di applicare una sanzione
particolarmente grave quale quella della sospensione a divinilis .
Con i preti del luogo mons Dini non era affatto tenero. Infatti li diffidava a
praticare giuochi nelle vie e nei prati del paese e di passeggiare senza
indossare la veste talare; nel caso in cui non venisse rispettato tale decreto,
il contravvenente doveva pagare una multa di scudi 10 .
Nell'ultima
disposizione mons Dini ribadiva l'importanza di compilare periodicamente
l'inventario dei beni ecclesiastici e la necessità di impartire regolarmente
l'insegnamento della dottrina cristiana, soprattutto alle ostetriche che avevano
la facoltà di battezzare i bambini appena nati in pericolo di vita .
Gli
usi e i costumi dei Carassanesi appartenenti al ceto medio-basso, per lo più
campagnoli, erano, nel XIX secolo, molto singolari e stravaganti Durante la
messa della Notte di Natale e in quella del Sabato Santo i contadini che
partecipavano alla cerimonia si disponevano in fondo alla chiesa e, nel momento
in cui veniva intonato il Gloria in Excelsis Deo, avevano l'abitudine di uscire
dalla Collegiata di Santa Maria del Buon Gesù per verificare quale vento
spirasse Da questo tipo di indagine i coloni carassanesi traevano auspici
favorevoli o sfavorevoli circa la fertilità e la produttività dei campi .
Un'altra usanza molto caratteristica dei Carassanesi era anche i quella di
organizzare delle spettacolari parate durante il giorno di , Pasqua In questa
circostanza i giovani del paese si radunavano in piazza e si disponevano in
cerchio ognuno portava sulle spalle un suo compagno ne veniva fuori un'ampia e
alta fila circolare .
Non meno singolari erano gli usi e le credenze che il ceto popolare carassanese
aveva durante il parto di una donna del luogo.
Arrivata l'ora del grande evento le vicine accorrevano nella casa della
partoriente con lo scopo di alleviare la sofferenza delle doglie Le tecniche che
venivano suggerite e adottate dalle soccorrevo li vicinate, in questi frangenti,
erano davvero strane ed estremamente rischiose per l'incolumità della madre e
del figlio la partoriente veniva trasportata nella stalla dei buoi, poiché le
improvvisate levatrici ritenevano che il calore emesso dagli animali potesse
favorire la nascita del bambino Sempre nella stalla, poi, circondavano la
malcapitata donna con un cordone e ponevano sotto i suoi piedi delle cipolle. In
definitiva il momento del parto si configurava come una sorta di aggravio di
doglie; e alla luce di queste sciagurate usanze emergono con chiarezza i motivi
dell'alta mortalità infantile e delle partorienti nell'Ottocento.
La stranezza delle usanze carassanesi si evidenziavano anche in occasione delle
nozze dei giovani "rampolli" locali Durante la cerimonia del
matrimonio, lo sposo poneva la veste della futura consorte sotto le proprie
ginocchia si riteneva infatti che tale semplice gesto rafforzasse l'unione tra
la coppia e la rendesse più salda e duratura .
Terminata la cerimonia la sposa, come se nulla fosse accaduto, ritornava nella
casa paterna, e soltanto nella domenica successiva andava ad abitare, ornata di
tutto punto, nella casa del novello marito, ove si consumava il rito dei regali
i parenti degli sposi offrivano i loro doni, generalmente soldi, che venivano
raccolti in un cesto posto nel luogo dove si radunavano i convenuti.
Si praticavano riti strani anche in occasione di circostanze infauste come
quelle di un lutto familiare .
Le donne di casa, appena
il malato aveva esalato l'ultimo respiro, spazzavano accuratamente tutti i
locali; ritenevano infatti che in questo modo l'anima dell'estinto potesse
uscire subito di casa. In
segno di lutto gli uomini indossavano maglioni di lana color caffè per diversi
mesi dell ' anno, anche durante la stagione estiva, mentre le donne vestivano di
nero o di verde. La salma, trasportata
in chiesa, veniva baciata sulla fronte e sui piedi.
Al termine della funzione religiosa, gli uomini spruzzavano il cadavere con
acqua benedetta.
Dopo la sepoltura, i congiunti del morto offrivano un pasto caldo ai
parenti che avevano preso parte alla cerimonia funebre .
La
Casciata (XVII sec.). Una tradizione religiosa anch'essa singolare
era la processione che l' otto maggio, in occasione della festa dell'apparizione
di San Michele Arcangelo, si snodava lungo l'irto colle di Rocca Monte Varmine
fino al fiume Aso .
II preposto della chiesa di San Lorenzo, in quella circostanza aveva il diritto
della Stola, aveva cioè, "la preminenza ecclesiastica" rispetto al
parroco della Chiesa di San Pietro di Rocca Monte Varmine .
Il parroco di Rocca scendeva in processione partendo dal Castello fino alla
chiesa di San Michele Arcangelo situata in prossimità del fiume Aso insieme ai
delegati dell'Ospedale del Proietti di Fermo e ai fedeli del luogo.
La processione, giunta nella chiesa di Sant' Angelo, si incontrava con
il
preposto, a cui il parroco di Rocca cedeva la Stola .
Si formava un'unica processione, composta dai fedeli delle due parrocchie, che
risaliva verso Rocca Monte Varmine e si concludeva all'interno del Castello
nella chiesa di San Pietro.
L 'itinerario seguito dai fedeli e dai chierici era sicuramente un percorso in
salita duro e estremamente faticoso.
Al termine della cerimonia però i celebranti e i rappresentanti dell ' Ospedale
dei Proietti sapevano ben rifocillarsi.
I delegati dell'Ospedale, infatti, offriva- no al preposto un lauto pasto e il
parroco della chiesa di San Lorenzo contraccambiava con la casciata: una
torta di quaranta uova con formaggio .
La Fiera di San Barnaba (XVII
sec. ). La tradizionale Fiera di San Barnaba, che si svolge annualmente a
Carassai l' 11 maggio di ogni anno, ha origini lontane.
L' autorizzazione a celebrare la Fiera in occasione della Festa del Santo
Patrono del paese venne concessa nel 1600 da Clemente VIII.
Nella comunicazione, che concedeva l' autorizzazione ai festeggiamenti, inviata
dalla Camera Apostolica alla Comunità e agli uomini della Terra di
Carnasciale, si precisa che la festa e la fiera di San Barnaba dovevano
avere la durata di ben 17 giorni. Le celebrazioni iniziavano perciò il 3 giugno
e si concludevano il 19 dello stesso mese .
Alla fiera potevano partecipare tutte le persone di ambedue i sessi e di ogni
ceto sociale provenienti dalle città, dai paesi, dalle terre, dai castelli e
dagli altri luoghi soggetti alla Sede Apostolica.
I mercanti in occasione della festività potevano vendere vino, olio, legumi di
qualsiasi genere, biade, ad eccezione del frumento, buoi, vacche, vitelli,
cavalli, asini, muli, maiali, pecore, agnelli,
capre e tutti gli animali grandi sia domestici che selvatici.
Si potevano vendere poi uova, galline, polli, uccelli, pavoni e altri volatili.
Era consentita anche la vendita di tessuti di seta, lana, lino e qualsiasi
altro prodotto di questo genere.
Affinchè durante i 17 giorni della fiera non avvenissero episodi
d'insubordinazione e tutto si svolgesse in modo regolare e ordinato, la Camera
Apostolica obbligava le autorità carassanesi a nominare un responsabile (un
capitano) scelto a sorte tra le persone più meritevoli ed oneste del paese, a
cui era demandato il compito di controllo e di sorveglianza.
Questo funzionario, responsabile della festa, veniva pagato con cinque scudi; a
lui veniva concessa l'autorizzazione di portare le armi e di organizzare un
manipolo di guardie armate che avevano il compito d'intervenire in ogni lite.
La Fiera di San Barnaba aveva una così rilevante importanza, che, nei
giorni in cui si svolgeva, erano applicate delle deroghe che consentivano a
tutti i commercianti, anche a quelli che avevano avuto a che fare con la
giustizia, di parteciparvi: erano esclusi solo quelli che avevano commesso
precedenti reati in occasione di detta festa .
Ancora oggi, nella ricorrenza della festa di San Barnaba, si svolge a Carassai
una fiera di un certo rilievo che ha la durata di un giorno.
La Festa della Traslazione della Santa Casa di Loreto (XVII
sec.).
La festa della Traslazione della Santa Casa di Loreto era una
celebrazione religiosa la cui organizzazione ed esecuzione competeva ai
confratelli della Compagnia di Santa Monica.
La chiesa omonima fu probabilmente costruita intorno al 1670- 1680, oggi ancora
si erge nella piazza antistante al comune di Carassai. La festa si svolgeva il
10 dicembre di ogni anno e ha origini antiche.
Poiché la Confraternita di Santa Monica esisteva già nel 1595, è lecito
ipotizzare che fin da allora vi fosse questa tradizione religiosa 158 .
La solennità prevedeva la celebrazione della Santa Messa e una solenne
processione che, all'inizio, prima del 1670-1680 , partiva dalla prepositura di
San Lorenzo, dove era collocata la casetta e l'immagine della Vergine lauretana,
e arrivava fino alla Chiesa di Santa Maria del Buon Gesù.
La devozione popolare intendeva ricordare il 10 dicembre la Traslazione
della S. Casa di Loreto. L 'attaccamento dei confratelli della Compagnia di
Santa Monica alla Madonna di Loreto si evince dal fatto che già nel 1657 i
membri della confraternita, ogni anno, per statuto, dovevano recarsi a piedi a
Loreto .
Durante la suddetta cerimonia per le vie del paese veniva portato in processione
un manufatto ligneo, raffigurante la Santa Casa di Loreto, con un campanile, sul
tetto della Casa sedeva la Madonna con in braccio il Bambino .
Sempre nel XVIII secolo esisteva un Comitato di tre donne, dette le Priore, che
dovevano provvedere a raccogliere le offerte per rinnovare o restaurare i
vestiti della Madonna e del Bambino Gesù .
Del manufatto in questione oggi rimane soltanto la casa. La festa con la
processione invece non si svolge più; fino al 10 dicembre del 1945 la cerimonia
religiosa si è tenuta regolarmente.
L 'immagine di Santa Maria di Loreto veniva portata dalla Chiesa di Santa
Monica alla Collegiata e dopo la funzione religiosa e la predica veniva
ricondotta nella sua chiesa.
Con l'andar del tempo si introdussero molti abusi i giovani carassanesi
solevano accompagnare l'immagine sacra sparando petardi.
Nel i 1946 l'arciprete don Luigi Zega concluse la solita cerimonia nella
Collegiata e riportò, nel giorno seguente la festa, la statua della
Madonna di Loreto nella chiesa di Santa Monica senza alcuna solennità .
(
La croce eretta sul luogo dove si trovava la
chiesa di Sant ' Eusebio )
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