RESISTENZA A FARMACI ANTIRETROVIRALI IN PAZIENTI HIV+ *
Questa ricerca è svolta su pazienti afferenti al nostro centro per
il trattamento dell'infezione da HIV, e riguarda il complesso problema
dei fallimenti terapeutici dovuti allo sviluppo di resistenze ai farmaci
utilizzati per inibire la replicazione virale. Essa si svolge su più
fronti: in parte il nostro centro aderisce ad uno studio policentrico
nazionale coordinato dal prof. Lazzarin (studio SMART), che ha come
principale scopo la valutazione obiettiva del ruolo della preventiva
determinazione delle resistenze fenotipiche e genotipiche ai farmaci
antiretrovirali all'atto della scelta degli stessi nei cambiamenti di
protocollo. Questo progetto nell'attuale fase prevede l'arruolamento
randomizzato di pazienti in fallimento di duplice terapia antiretrovirale
in due bracci di studio, l'uno con scelta libera (sulla base dei criteri
anamnestici e delle linee guida), l'uno con scelta guidata dalla determinazione
delle resistenze genotipiche e fenotipiche; si prevede che questa fase
si protrarrà per tutto l'anno in corso. Un secondo fronte di ricerca
consiste in un progetto autonomo, svolto in stretta collaborazione con
l'Istituto di Igiene e Medicina Preventiva (Dipartimento di Scienze
della Salute) della nostra Università, e riguarda principalmente la
valutazione dell'impatto dell'identificazione di marcatori "surrogati"
di resistenza ai farmaci antiretrovirali, o di mutazioni "chiave", sul
risultato clinico del trattamento. Il disegno generale dello studio
è retrospettivo, su sieri conservati nelle nostre sieroteche, il che
permette un'attenta selezione dei soggetti sulla base della mancanza
di variabili indipendenti, come la scarsa compliance terapeutica, in
grado di inficiare molti risultati di studi condotti in questo campo.
Nell'attuale fase, dopo il completamento di un primo gruppo studi riguardanti
i farmaci inibitori non nucleosidici della transcriptasi inversa e i
cui riscontri sono stati di volta in volta segnalati in vari congressi
internazionali e sottomessi per pubblicazione in una rivista di prestigio,
l'attenzione viene rivolta soprattutto ad un'altra categoria di farmaci,
gli inibitori delle proteasi. In sintesi, i dati fin qui prodotti hanno
permesso di trarre le seguenti conclusioni: a) i ceppi di HIV infettanti
pazienti con storia di terapia antiretrovirale esibiscono un'elevata
percentuale di mutazioni in siti correlati a resistenza a farmaci antiretrovirali;
b) queste possono essere soddisfacentemente riscontrate con una metodica
genotipica surrogata relativamente semplice e poco costosa denominata
LiPA; c) la presenza di una o più mutazioni "chiave" indici di resistenza
a farmaci inibitori della transcriptasi inversa nel protocollo in uso
ha molte probabilità di influenzare negativamente il risultato clinico;
d) la conoscenza di tali mutazioni prima della scelta dei farmaci nel
protocollo terapeutico è per converso in grado di influenzare positivamente
il risultato clinico. L'applicazione dello stesso metodo di studio a
nuove categorie di farmaci dovrebbe nel prossimo futuro rafforzare tali
conclusioni e contribuire a stabilire il ruolo dei marcatori "surrogati"
di resistenza ai farmaci nel trattamento dell'infezione da HIV, con
ovvi risvolti nella pratica clinica.
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INTERAZIONE DNA E MOLECOLE DI ISTOCOMPATIBILITA'
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Nel corso delle risposte immunologiche numerose cellule vanno incontro
ad apoptosi. I relativi corpi apoptotici vengono fagocitati dai macrofagi
tissutali e dalle cellule dendritiche, cioè dalle cellule che presentano
gli antigeni ai linfociti T. Recentemente abbiamo osservato che il DNA e'
in grado di legare con alta affinità' le molecole HLA di classe II. Ci siamo
chiesti se il DNA proveniente dalle cellule apoptotiche fagocitate andasse
a legarsi con le molecole HLA di classe II dei fagociti, impedendone cosi'
il caricamento con antigeni peptidici. Per rispondere a tale quesito, una
linea cellulare Fas positiva e' stata cresciuta in presenza di timidina
triziata, mandata in apoptosi tramite un anticorpo anti-Fas e aggiunta in
una coltura di macrofagi o cellule dendritiche. Dopo 24 ore, i fagociti
sono stati lisati. I lisati cellulari sono stati poi incubati in pozzetti
coniugati con un anticorpo anti-HLA di classe II o con anticorpi non correlati.
E' stata osservata presenza di radioattività' soltanto nei pozzetti coniugati
con l'anticorpo anti-HLA di classe II, espressione del fatto che il DNA
proveniente dai corpi apoptotici si trova legato alle molecole HLA-II dei
fagociti. I fagociti che hanno endocitato corpi apoptotici sono poi stati
utilizzati come cellule presentanti l'antigene a linfociti CD4+ peptide-specifici:
è stato osservato che tali fagociti sono incapaci di presentare l'antigene
per almeno dieci giorni. Tale fenomeno potrebbe costituire un nuovo meccanismo
di controllo e spegnimento delle risposte immunologiche. Sono stati utilizzati
plasmidi codificanti per una proteina di fusione contenente un prodotto
fluorescente (EGFP) per valutare la possibilita' di transfettare linfociti
B in assenza di agenti adiuvanti la transfezione. L'idea e' basata sul fatto
che se il DNA plasmidico lega le molecole HLA-II esso può essere in grado
di penetrare spontaneamente nella cellula con frequenza sufficiente ad indurre
transfezione. In effetti, e' stato osservato che circa lo 0.05% delle cellule
B (provenienti da sangue di soggetto sano) dopo 24 ore dalla transfezione
diventa fluorescente. In collaborazione con il laboratorio del Prof. Zanetti
presso l'UCSD in San Diego, e' stato dimostrato che in una percentuale variabile
tra lo 0.01 e lo 0.1 delle cellule sottoposte a transfezione spontanea e'
possibile riscontrare l'RNAm specifico per la proteina transfettata e la
proteina stessa. Questa scoperta potrebbe aprire nuove prospettive di impiego
dei vettori plasmidici allo scopo di indurre una immunizzazione nei confronti
di antigeni rilevanti (ad es., antigeni tumore-associati). *In collaborazione con: M. Zanetti, University of California, San Diego (UCSD). |
EFFETTI DELLA CICLOSPORINA A NEL TRATTAMENTO
DELLA SCLEROSI SISTEMICA PROGRESSIVA (SSP) *
La terapia della SSP e' discussa. Dal momento che meccanismi autoimmunitari sono coinvolti nella patogenesi della malattia, da circa sette anni abbiamo iniziato a trattare pazienti affetti con SSP con ciclosporina A a basso dosaggio (2,5 mg/kg/die). Attualmente abbiamo una casistica di piu' di 20 persone in trattamento, nove dei quali assumono continuativamente il farmaco per un periodo tra 2 e 5 anni. I dati clinici sono stati annualmente raccolti tramite l'utilizzazione di "scores" organo-specifci (relativi a dati funzionali di cute, microcircolo, esofago, polmone, rene e cuore). La terapia e' stata ben tollerata da tutti i pazienti senza l'insorgenza di effetti collaterali. I dati relativi all'andamento della malattia sono riassunti nella seguente tabella: Andamento Cute Esofago Polmone Rene Cuore Capillari Miglioramento 7 4 4 4 4 Stabilizzazione 2 1 5 5 9 4 Peggioramento 0 0 0 0 1 Soltanto 5 pazienti hanno accettato di sottoporsi allo studio pH-manometrico. Questi risultati dimostrano l'utilita' del trattamento con ciclosporina A nei pazienti affetti da SSP. Pertanto, essi ci incoraggiano a proseguire lo studio stesso ampliando la casistica e prendendo in considerazione anche aspetti biologici che possono costituire il bersaglio dell'azione farmacologica del farmaco stesso.
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ANALISI IMMUNOCHIMICA E FUNZIONALE DELLE MOLECOLE HLA SOLUBILI*
Le fasi effettrici della risposta immune sono conosciute
in dettaglio mentre meno noti sono i meccanismi che regolano la loro soppressione.
Ricerche recenti del nostro gruppo indicano che le molecole solubili HLA
di classe I svolgono un importante ruolo immunosoppressorio. Infatti esse
sono in grado di legarsi specificamente alla molecola CD8 e di indurre la
secrezione di Fas-ligando solubile da parte dei linfociti CD8 attivati.
Il successivo legame tra il Fas-ligando solubile e il Fas espresso in membrana
induce apoptosi dei linfociti CD8. L'effetto apoptotico viene indotto dalle
molecole solubili HLA di classe I in modelli sperimentali allogenici e autologhi
e dalle loro catene pesanti libere prive di ß2-microglobulina. Altre ricerche
hanno dimostrato che le molecole HLA di classe I e Fas-ligando solubili
presenti in alcuni tipi di emoderivati rappresentano uno dei principali
fattori alla base dell'effetto immunomodulante dalle emotrasfusioni. Infine,
nel nostro laboratorio sono state messe a punto metodiche originali per
la determinazione delle catene pesanti libere delle molecole solubili HLA
di classe I e delle molecole solubili HLA-G. Mediante tali metodiche è stato
possibile dimostrare che livelli elevati di catene pesanti libere delle
molecole solubili HLA di classe I sono dosabili nel siero in corso di infezioni
virali e di rigetto dopo allotrapianto e che molecole solubili HLA-G sono
dosabili nel liquido amniotico rivestendo un potenziale ruolo nella tolleranza
materno-fetale. * In collaborazione con: S. Ferrone, Department of Immunology, Roswell Park Cancer Institute, Buffalo, NY, USA; C. Mazzei, Centro Trasfusionale, Ospedale S. Corona, Pietra Ligure; M. Costa, Cattedra di Ginecologia e Ostericia, Università di Genova. |
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