STORIA DI UN PAESE

La prima notizia su Roccabascerana è contenuta in un documento che risale all'anno 971. Si tratta di una bolla di Landolfo, primo arcivescovo di Benevento. In essa si menziona ad una permuta di beni avvenuta, precisamente, ad istanza di Giovanni, Abate dell'Ospizio dell'Arcivescovato di Benevento, al quale Ospizio furono tolti dei possedimenti che aveva in Valle Caudina per darli all'Ospedale di quella città e ad esso Ospizio furono date numerose chiese coi beni e tra queste figura "ecclesiam Sancti Angeli de loco Quascirana", che era tenuta dal chierico Roffredo in beneficio. Quindi, già prima del 971 esisteva in Quascirana una chiesa intitolata a S. Angelo, appartenente alla curia Arcivescovile di Benevento, chiesa che era stata concessa al chierico Roffredo in beneficio. L'intitolazione della chiesa a S. Angelo fa supporre che essa fosse stata eretta dai Longobardi, i quali ebbero una grande devozione per questo santo, tanto che una sua effigie appare su una moneta coniata da Sicone nell'829. Questa tesi è favorita anche dal nome tipicamente longobardo del chierico Roffredo, e certo non invalidata da una diffusione del culto di S. Angelo anteriormente alla dominazione longobarda. Quanto al termine Quascirana è da notare che si trova disgiunto dalla parola Rocca solo nel documento del 971, il che induce a supporre che in quell'anno non esisteva la rocca, intesa come arx, fortezza militare, ma esisteva solo la rupes. In due pergamene di Montevergine, una del 1159, l'altra del 1183 compaiono le voci Rocce Guasse e de castello Rocce Guascerana, e da allora il sostantivo Rocca resterà come parte invariabile del toponimo. Il castello, forse, fu edificato sulla rupe dopo il 971 e prima del 1159. E' difficile datarlo con maggiore approssimazione: si sa che i Longobardi, soprattutto dopo la divisione del ducato (848-849), avvertirono il bisogno di fortificare i territori in loro possesso, in particolare quelli di confine.Con l'incalzare dei Normanni dovette crescere la rilevanza strategica del territorio di Quascirana, che guardava, come oggi, verso Benevento, Avellino, la Valle Caudina e vi fu costruita una coalizione di baroni ribelli. Al fronte antiruggieriano aderisce anche il conte Rainulfo di Alife, che ha preso in moglie Matilde, sorella di re Ruggiero. Per oltre un decennio si susseguono colpi di mano, usurpazioni, violenze: la Valle Caudina è teatro di cruente battaglie. Con la vittoria di Ruggiero comincia un periodo di pacificazione che comporta un nuovo assetto patrimoniale dei baroni normanni. Nel Catalogus baronum la Valle Caudina appare divisa in feudi, medi e piccoli. Roccabascerana non vi è nominata, ma vi compare Riccardo de Rupe Canina, con i figli Andrea e Ruggiero, che aspirano alla titolarità della contea di Alife, e ne 1170 l'ottengono. La Rupe Canina indica probabilmente ciò che esisteva allora di Roccabascerana, per derivazione da una chiesa di S. Canio, sita nel suo territorio.


Mentre si consolida il potere feudale normanno, si realizza la crescita religiosa e patrimoniale dei monaci di Montevergine. Se ne ha significativa testimonianza dai documenti del Regesto delle Pergamene dell'Abbazia di Montevergine in cui, appunto, sono riportati i possedimenti, le donazioni, le vendite , i censi e altri diritti che l'Abbazia di Montevergine possedeva su Roccabascerana. Gli interessi fondiari di Montevergine a Roccabascerana ricevono un forte impulso nel dicembre del 1183, con la donazione del giudice Lorenzo di Cervinara, il quale offre al monastero di Montevergine, beni da lui precedentemente comprati da un cittadino beneventano di nome Formato, sicuramente proprietario di un notevole patrimonio terriero nella Valle Caudina, già venditore di un pezzo di selva a quattro cittadini di Roccabascerana nel 1159. Così, verso la fine del secolo XII, a seguito di donazioni fatte non solo alla chiesa madre, ma anche alle chiese locali dipendenti, il patrimonio di Montevergine si allarga notevolmente anche nel territorio di Roccabascerana. Le terre monastiche vengono talvolta gestite direttamente, mediante l'opera di servi e conversi, e più spesso indirettamente, tramite concessioni enfiteutiche, o più raramente in fitto, dietro il pagamento di canoni. Con tali concessioni i monaci contribuiscono alle trasformazioni agrarie ed alla messa a coltura di molte terre. Negli ultimi anni del regno svevo, barone di Roccabascerana è Giovanni Mascabruno, descritto come un valoroso cavaliere, discendente da Riccardo, secondogenito del principe di Capua, della stessa stirpe normanna-Drengot, alla quale era appartenuto Rainulfo d'Alife. Il Mascambruno è capitano di re Manfredi, e ne segue la sfortunata sorte. In seguito alla sconfitta di Benevento (1266) viene spogliato di tutti i suoi averi dal vincitore Carlo d'Angiò. Con l'avvento di Carlo d'Angiò, Roccabascerana fu donata, nel 1269 a Ruggiero de Burson e nel 1271 al figlio Riccardo. Il 4 ottobre 1269 il re Carlo da Melfi scrive al milite Roberto de Cornay perchè faccia pagare alle Università del Giustizierato di Principato e Terra Beneventana, le paghe dovute alle milizie che prestano servizio in quel giustizierato,alla ragione di 1 oncia d'oro e tarì 15 al mese per ogni cavaliere e di tarì 18 per ogni fante. Fra le altre Università Roccabascerana deve contribuire per due fanti, Pietrastornina per due fanti. Questi dati dimostrano che le due Università avevano una certa importanza. All'epoca Roccabascerana era Roccagrossarana. L'Università era l'ente politico-amministrativo che oggi chiamiamo Comune o Municipio; quindi l'insieme di tutti i cittadini di una data circoscrizione territoriale. Le Università, attraverso le assemblee dei suoi abitanti eleggevano i "giudici ai contratti", figure di rilievo che garantivano l'autenticità dei contratti pubblici e decidevano certe vertenze di propria spettanza. Essi rimanevano in carica un anno, perciò, detti giudici annuali e venivano confermati dal feudatario, in seguito si ebbero i giudici a vita e regi quando la conferma veniva dalla curia del re.


Durante il dominio angioino troviamo un altro ufficiale il Mastrogiurato che faceva capo all'autorità regia, tramite i giustizieri o presidi delle provincie, ed aveva l'incarico di notificare decreti di sentenze, esaminava le querele per furti e violenze e si preoccupava dell'applicazione del codice penale. Il 9 novembre 1272 viene nominato Mastrogiurato in Roccabascerana, Brancaccio de Rocca. Il 19 giugno 1272 risultano sindaci di Roccabascerana Brancaccio de Terreno e Bartolomeo Principe. Ad essi il giustiziere Gualtiero di Collapietra rilascia una ricevuta del pagamento di due once e ventidue tarì e mezzo , per la tassa evasa di undici fuochi occultati nel 1268. Le collette e le tasse fondiarie venivano ripartite per fuoco, ossia per famiglia. All'incirca si computa che ad ogni fuoco facevano riscontro cinque abitanti. A Carlo d'Angiò risale l'innovazione delle enumerazioni per fuoco, e mai per abitanti. La tassa del focatico, ossia per fuoco, era stabilita in una quarta d'oncia d'oro, ossia sette tarì e mezzo. Le famiglie numerose, i mendicanti, gli storpi, gli oblati, ossia coloro che avevano offerto se stessi e i loro beni, a beneficio di un monastero o di una chiesa, erano dispensati da questa tassa. Per le nostre popolazioni la tassa del focatico risultò così onerosa che costrinse molti ad emigrare in altre parti del regno ove si era esenti ed altri ancora ad accrescere le file del banditismo. Ed a conferma di ciò, occorre aggiungere che nel 1268, molte Università dichiararono un numero di fuochi inferiore al reale, in modo da far diminuire le imposizioni fiscali. Però, quando la frode fu scoperta, quelle Università dovettero pagare per quei fuochi occultati. "A queste esose tasse si aggiungevano, poi, le "Decime Pontificie", il cui importo, il più delle volte, veniva devoluto a favore dei re di Napoli e di Sicilia". Nel giugno del 1276 per la nuova moneta, il carlino d'argento, dal nome del re Carlo, Roccabascerana paga 5 once, 15 tarì, 1 grana. L'8 gennaio del 1278 per la generale sovvenzione, imposta alle terre del Principato, Roccabascerana paga 17 once, 27 tarì, 13 grana. Il nome è deformato in " Rocca Cassarani". Il 1° agosto del 1281 per la generale colletta Roccabascerana (il cui nome è Rocca de Guassarano), paga 5 once, 15 tarì, 15 grana. Dopo la morte di Roberto d'Angiò (13439,, per le discordie verificatesi nel regno e per le lotte tra Angioini e Durazzeschi, i feudi passano rapidamente da un signore all'altro, tolti per fellonia o concessi per fedeltà, e pertanto, per quel burrascoso periodo, non è facile ricostruire la successione feudale di Roccabascerana. Dai pochi documenti disponibili, risulta comunque che per circa 80 anni il feudo passa alternativamente dai Della Marra ai Della Leonessa. Il 16 maggio 1348 Matteo Della Marra, utile signore delle terre di Serino e di Montoro, viene nominato capitano a giustizia e a guerra delle terre di Montefusco, con i casali di Ceppaloni, Roccabascerana, Pietrastornina, e molti altri, con pieni poteri. Tali terre sono tenute a versare a lui tutte le contribuzioni fiscali per le milizie alle sue dipendenze.


Nel concedergli un così ampio potere la reggente Margherita Durazzo, tutrice del re Ladislao, non aveva mancato di raccomandargli moderazione, clemenza e senso di umanità verso i sudditi. Intorno al 1400 il feudo di Roccabascerana risulta appartenere a Marino Della Leonessa, figlio di Guglielmo e di Isabella Stendardo. Nel 1419 passa a Nicola Piccolo, utile signore di Roccasecca in Terra di Lavoro, il quale lo vende a Nicola Della Marra, consigliere e familiare della regina Giovanna II. Alfonso d' Aragona, durantre il viaggio del 1437 in Valle Caudina, dona a Fabrizio Della Leonessa, nipote di Marino, la Rocca di Bassarano, il castello di Montesarchio ed altri feudi. Ma nel 1461 il suo successore Ferrante condona il delitto di fellonia al real consigliere Giacomo Antonio Della Marra, già partigiano di Renato d'Angiò, e gli restituisce le terre a lui confiscate, tra cui Roccabascerana e Ceppaloni. A Giacomo Antonio succede il figlio Camillo, al quale, il 20 febbraio 1464 vengono confermati tutti i feudi paterni. Con lui ha finalmente termine l'altalena tra i Della Marra e i Della Leonessa, ma suo figlio Giacomo Antonio,seguendo le orme del nonno, ricade nel delitto di fellonia, per aver partecipato alla congiura contro il re Ferrante,e ne paga definitivamente il fio. Il re, superata la crisi, attua una politica che favorisce la commercializzazione dei feudi, col doppio obiettivo di ridimensionare il ceto feudale e di offrire le migliori opportunità di investimento al nuovo ceto burocratico a lui fedele. Il feudo di Roccabascerana, sottratto al feudatario ribelle, ricaduto in potere della regia corte, viene venduto dal re al suo fedele consigliere Sperone Di Gennaro, insieme con i fondi rustici Martinacio e Sualdo, il 14 gennaio 1467; ma due anni dopo lo stesso re Ferrante concede l'investitura sulle terre di Summonte e Roccabascerana ad Antonio Spinello. Nel 1482 il feudo di Rocca Balsarana si trova in possesso di Antonella Dentice, alla quale il re ordina che siano restituiti tutti i beni che le sono stati usurpati. Dopo questa autorevole conferma della sua titolarità, nel 1484 la baronessa Dentice cede il feudo di Roccabascerana a Giovan Battista Brancaccio ricevendone in permuta il feudo di Ceglie d'Otranto. IL Brancaccio, a sua volta, dopo due anni, lo rivende per 286o ducati a Federico Spinello, il quale sarà confermato nel possesso del feudo dal re Alfonso II nel 1494. Con la famiglia Spinello Comincia un periodo di relativa stabilità nelle terra di Roccabascerana.

Morto Federico Spinello il 29 novembre 1498, suo figlio Troiano riceve dal re l'investitura sulle terre di Roccabascerana, Summonte e San Nicola dei Carcisi presso Montefusco: anche l'imperatore Carlo V nel 1518 lo confermerà negli stessi feudi. Nel 1528 le terre del regno vengono invase dal francese Lautrec: con lui si schierano, fra gli altri, Giacomo Antonio Della Marra, barone di Ceppaloni, Fabio Della Leonessa, barone di San Martino,


Gianvincenzo Carafa, signore di Montesarchio, Airola e Cervinara. Ma il Lautrec viene sconfitto e i tre feudatari subiscono, in conseguenza del loro tradimento, la perdita dei beni. Roccabascerana invece, con Pannarano e Pietrastornina,non subisce alcuno scossone: gli Spinello si schierano con gli Spagnoli. A Troiano Spinello succede il figlio Federico, il quale, non avendo figli, nomina sua erede universale la zia Lucrezia Spinello, come sua parente più prossima. Per lei nel 1530 prende possesso del feudo suo marito Giovanni Antonio Caracciolo, conte di Oppido. Ma la regia corte non approva: presso il tribunale della Sommaria si snoda una lunga lite giudiziaria e solo nel 1534 si giunge ad una transazione. Lucrezia Spinello riceve l'investitura per le terrein contesa, ma s'impegna a pagare al vicerè don Pedro de Toledo la somma di 23000 ducati. Intanto, nel corso del XVI sec., il paese va vistosamente crescendo. Nel 1532 vengono numerati 82 fuochi fiscali, che aumenteranno progressivamente negli anni 1545, 1561,1595, anni in cui si registranop rispettivamente 101,111, 179 fuochi. più che un raddoppio in 50 anni.Anche tenendo conto che si tratta di fuochi fiscali, ai quali non corrispondono tutte le famiglie effettive del paese, possiamo calcolare che, verso la fine del secolo, Roccabascerana raggiunge la soglia dei 1000 abitanti. A questi dati di espansione demografica si affiancano quelli indicativi di un certo sviluppo economico, rilevabili da una serie di vendite, donazioni, contratti di affitto o di matrimonio. Nel 1529 a Roccabascerana esercita la professione di notaio Domenico Vernillo, al quale detta il suo testamento il maestro Giovanni Giordano, a favore del figlio postumo, o in mancanza, a favore del monastero di Montevdrgine. Nel 1548 pubblico notaio in Roccabascerana è Antonio Viterno, davanti al quale tra Cito Bartolomeo, figlio di Giovanni Principe e Cita Felice, figlisa del quondam Matteo Guerriero viene stipulato un contratto di matrimonio, da celebrarsi nella chiesa di San Leonardo, con una dote di due once. Nel 1656 imperversa la peste che infligge un durissimo colpo alla popolazione di Roccabascerana. Nel 1669 i fuochi erano 48 riducendo di 2/3 gli abitanti. Un'altra terribile sciagura si abbatte a Roccabascerana, nel giugno 1688: il terremoto, al quale sopravvivono solo 429 persone, secondo i dati fatti raccogliere dal cardinale Orsini. Alla morte di Giuseppe d'Aquino (1669) la Gran Corte della Vicaria dichiara suo erede Carlo Capecelatro, figlio di sua sorella Beatrice D'Aquino e di Andrea Capecelatro, annullando, l'8 aprile 1674, la vendita fatta nel 1652 a Fabio Della Leonessa, arcivescovo di Conza. La lite dura a lungo, finchè non si addiviene ad una transazione: Michele Capecelatro, figlio di Carlo, cede la terra di Roccabascerana al prezzo di 22500 ducati a Fabio Della Leonessa, principe di Sepino e duca di San Martino. "L'istrumento di questa vendita fu stipulato dal notaio Alessandro De Martino di Napoli il 27 settembre 1712 e venne approvato dal vicerè Carlo Borromeo il 22 dicembre dello stesso anno". Fabio Della Leonessa muore a San Martino il 14 gennaio 1730 e gli succcede il figlio Giuseppe.


Costui, oppone una efficace resistenza passiva, rifiutando di esibire la propria dichiarazione dei beni tassabili, durante il processo di formazione del catasto onciario di Roccabascerana. La cui attuazione ha inizio nel 1741 e si conclude nel 1746. Si tratta di una fonte particolarmente ricca , benchè concepita come documento fiscale. Le partite catastali comprendono tutte le famiglie del paese e il loro patrimonio complessivo. Giuseppe Della Leonessa, pretende di non dover pagare la tassa della bonatenenza, in compenso dei proventi di giustizia che dice di non aver mai percepito. Riesce, così, a provocare il bolocco della tassazione di tutto il comparto della bonatenenza e l'impossibilità di calcolare il gettito totale delle once. Tuttavia nei documenti catastali non manca l'elencazione dei beni del feudatario. Vi compaiono 32 censi enfituetici in danaro in diverse contrade di Roccabascerana, 138 quantitativi di grano corrisposti annaulmente al barone a titolo di censo e 10 rendite di annue entrate da capitale dato in prestito. Interessante è anche la descrizione del castello. "Possiede un palazzo con castello diruto, e il palazzo sta anche decaduto e male acconcio e disabitato, composto da due quarti sottani e soprani di diverse camere ed appartamenti, con scale, cucine ed altro; Non ne percepisce nè ricava cosa alcuna, ed il medesimo sta situato sopra una pietra viva, ed il castello, il quale sta unito a detto palazzo, sta anche sopra una pietra viva, assai più eminente di quella dove sta il palazzo, il quale tiene l'atrio avanti, un cortile con giardino diruto, di capacità di tomoli due, e sta isolato da torno intorno. Sue coarenze sono la chiesa arcipretale di S, Giorgio e Leonardo, i beni di Giovanni Perone, la via pubblica ed altro terreno di detto eccellentissimo possessore, chiamato Giardino, che tiene a censo Nicola Giannino e volgarmente è detto Palazzo e Castello". Come si vede,verso la metà del 7OO il castello era ormai "diruto", ed anche il palazzo baronale era decaduto e disabitato: il barone di quegli anni, Giuseppe Della Leonessa,infatti, viveva nel castello di San Martino. I D'Aquino l'avevano sicuramente abitato: nel palazzo baronale di Roccabascerana venivano stipulati pubblici istrumenti.Vi nacquero nel 1579 Beatrice, che sarà moglie di Ottavio, nel 1629 Giuseppe, barone di Roccabascerana, nel 1630 sua sorella Beatrice, poi moglie di Andrea Capecelatro. Tra il XVI e il XVII sec. il palazzo baronale di Roccabascerana conobbe certamente un periodo di particolare vitalità, quale probabilmente non fu più ragggiunta nei secoli successivi. A Giuseppe Maria Della Leonessa successero nella titolarità del feudo di Roccabascerana, rispettivamente figlio e nipote, Fabio Maria III e GIuseppe II, il quale ebbe l'ultima intestazione feudale di Roccabascerana, San Martino, Ceppaloni e Terranova Fossaceca. Dopo la legge del 2 agosto 1806, eversiva della feudalità, il comune di Roccabascerana dovette sostenere, presso la Commissione feudale, una lite con l'ultimo feudatario Giuseppe Della Leonessa, il quale pretendeva ancora il pagamento di 125 ducati annui per il diritto di legnatico, di fida e colta del castello. Il tribunale della Commissione feudale pronunciò una prima sentenza l'11 gennaio 1810, con la quale


dichiarava decaduta la prestazione a titolo di colta del castello, ai sensi della legge 2 agosto 1806. Il 12 febbraio 1810 la stessa Commissione chiedeva al signore di Roccabascerana di esibire il titolo giustificativo della pretesa esazione dei 125 ducati, ma egli non riuscì a produrre alcun documento valido, e pertanto il 26 aprile dello anno fu pronunciata la sentenza che ordinava all'ex feudatario di astenersi definitivamente da tale esazione nei confronti del Comune di Roccabascerana. Tra la fine del 600 e il primo 700 si registrava a Roccabascerana una presenza ecclesiastica molto diffusa ed incisiva sotto l'influenza della forte personalità del cardinale Orsini. Le terre della Chiesa, tutte censuate, appartenevano in gran parte alla chiesa parrocchiale di S. Giorgio e Leonardo, che esigeva 78 censi enfiteutici ed entrate da capitale per un totale di 153 ducati. Ricostruita dopo il terremoto del 1688 e consacrata nel 1694 dal cardinale Orsini col titolo di arcipretale, era mantenuta a carico dell'Università ed aveva una netta preminenza sulle altre chiese. Con un atto notarile del 1743 "L'arciprete di Rocca concede ai casalisti di Squillani la licenza di fare il precetto pasquale nella chiesa del Carmine, sita nel loro casale, per una volta tanto" Le rendite della chiesa di Squillani, consacrata nel 700, presentavano un'ammontare non elevato. Accostata alla parrocchiale era la chiesa del S. Rosario, mantenuta dall'omonima Confraternita laicale, della cui fondazione si conserva il regio assenso. Il 3 aprile 1793 i confratelli chiedevano al re Ferdinando IV l'assenso sulle regole dell'amministrazione della Confraternita, nonchè sull'erezione e fondazione dell'oratorio, e l'ottennero il 14 gennaio1794. Nel 1746 la Confraternita possedeva 51 fondi censuati in varie località di Roccabascerana. Ai beni della Confraternita vanno aggiunti quelli della chiesa del S. Rosario, consistenti in un capitale di 104 ducati dati a prestito ed altri beni patrimoniali. Attigua alla chiesa del S. Rosario era la cappella della Concezione (ius patronato dei signori Pignatelli di San Martino), con un'entrata annua di 109 ducati circa. La cappella della Concezione fu fatta costruire nel 1623 dall'arciprete Donato Sarchioto di Roccabascerana con un reddito originario di 11 ducati e mezzo, perchè in essa fossero celebrate due messe alla settimana, una per sè e una per i suoi defunti. L'arciprete la dedicò alla SS: Concezione e ai santi Donato e Carlo, e vi pose sepoltura per sè e per i suoi, come ricorda una lapide marmorea nella cappella stessa. Un'altra epigrafe, posta sulla soglia d'ingresso, dice che il cardinale Orsini il 12 ottobre 1706 vi consacrò due altari, l'uno dedicato alla Vergine del Rosario con i santi Domenico e Caterina da Siena, l'altro ai santi Donato e Carlo Borromeo. Lo stesso cardinale dispose nel 1719 che la cappella fosse affrescata con le immagini dei santi dedicatari. In epoca moderna, sono stati ritrovati centinaia di scheletri in due fosse al di sotto del pavimento della chiesa del Rosario. Sono i resti mortali delle vittime della peste del 1656. Notizie precise non vi sono, perchè l'archivio storico del paese era custodito sotto il pulpito della chiesa madre, che era situata al di sopra della chiesa della Confraternita. La chiesa madre, nella notte del 31 gennaio 1929, venne distrutta da un


violento incendio, mentre imperversava un temporale: il fuoco in poco tempo devastò le strutture in legno e l'archivio andò perduto. La nuova ed attuale chiesa fu costruita nel 1936, in posizione luminosa, fuori dal vecchio centro urbano, progettata dallo stesso architetto che disegnò la chiesa del SS. Rosario di Avellino, della quale è contemporanea. Entrambe sono di stile gotico. Però, mentre per quella di Avellino si rispettò più attentamente il progetto preparato, le cose non andarono allo stesso modo a Roccabascerana. Ci furono difficoltà economiche nel corso della costruzione, con pause e riprese dei lavori, con sottoscrizioni popolari che non riuscivano a fronteggiare la spesa. Alla fine si giunse al completamento dell'opera, ma con qualche semplificazione del disegno. L'abitazione del parroco, che è legata alla chiesa, fu costruita con i fondi emessi dal papa Pio XI, il quale proprio in quel periodo aveva disposto che tutte le chiese parrocchiali fossero dotate di una canonica. Lo ricorda lo stemma papale che si vede sulla porta d'ingresso della canonica. La chiesa conserva di San Giorgio, patrono del paese, la cui festività ricorre il 23 aprile, una reliquia: un piccolo osso, la falange di un dito. La storia del santo si intreccia con la leggenda. Si sa storicamente che esisteva un legionario di Diocleziano che vene martirizzato per la sua fede cristiana. Attorno a questo martire sorsero delle leggende che riguardavano l'uccisione di draghi e altri mostri. Il nome Giorgio gli fu attribuito perchè aveva liberato terre dell'Asia Minore dai pirati, i "cattivi" di quel tempo, simboleggiati col drago. Giorgio,infatti, in greco significa "terra liberata". Non è certo che S. Giorgio sia il protettore di Roccabascerana, perchè non ci sono documenti che lo attestino ma la popolazione lo considera tale e come tale lo onora e lo venera. Ritornando indietro nel tempo,ricordiamo che a Roccabascerana sorgeva anche la chiesa di S. Maria di Costantinopoli , il cui unico altare era a carico dell'Università. Nel 1796 questa chiesa era diventata la seconda parrocchiale del paese.La chiesa di S. Nicola nel casale di Tuoro fu costruita a spese dei casalisti. La posa della prima pietra, con cerimonia solenne il 22 luglio 1744 fu sancita con atto notarile. Per tutto il 700 operò a Roccabascerana un Monte Frumentario di istituzione orsiniana, sotto il titolo del Rosario, con il compito di dar soccorso ai contadini poveri nella semina o in altri lavori campestri. Vi furono raccolti 43 tomoli di grano nel 1717; 67 tomoli nel 1721 e 78 nel 1722. Da non sottovalutare il valore sociale della presenza di questo Monte Frumentario in una società come quella rocchese del 700 ove gli addetti all'agricoltura coprivano i 3/4 della popolazione. Specialmente nelle cattive annate, in cui il raccolto a stento poteva bastare al nutrimento, i contadini poveri, non riuscendo a conservare il grano per la semina, si trovavano costretti a prenderlo in prestito, cadenedo in balia di ingordi usurai privati. Il Monte Frumentario costituiva per loro un'ancora di salvezza, in quanto forniva il grano in prestito a condizioni non speculative. La Cappella del Pio Monte dei Morti, presso la chiesa parrocchiale,


si faceva carico di provvedere all'ultima dimora per poveri e derelitti, mentre il Pio Monte delle Povere Orfane, con un introito annuo di circa 16 ducati, sopperiva al sostentamento delle ragazze più sfortunate. Gli interessi sui capitali della Chiesa, intorno all'8% risultavano più bassi di almeno due punti rispetto a quelli dei tanti usurai privati. Così i beni ecclesiastici, consentendo e stimolando attività economiche e commerciali,svolgevano comunque una funzione sociale. L'Università di Roccabascerana nel 700 è governata da quattro "eletti" (espressi con votazione regolare dell'Assemblea generale dei cittadini), che durano in carica un anno (dal 1° settembre al 31 agosto dell'anno successivo), sono responsabili della gestione del bilancio. Essi rappresentano i quattro gruppi abitativi di Roccabascerana e casali (Cassano, Tuoro, Squillani) e rappresentano, le più diffuse categorie sociali: Tra gli eletti dal 1740-41 al 1745-46 si contano 10 massari, 9 braccianti e 4 artigiani.Due degli eletti del 1740-41 sono analfabeti e firmano con un segno di croce. Il ceto civile appare tanto debole da non esprimere,almeno in modo palese, neanche un rappresentante. La popolazione, nel periodo 1688/1737 aumenta notevolmente, raggiungendo un importante tasso di crescita che si protrarrà per un lungo periodo, raggiungendo alla fine del secolo i 2000 abitanti circa. Aumenta notevolmente,anche l'ampiezza media dei nuclei familiari, l'80% circa dal 1737 al 1746. Una spinta verso l'aggregazione in famiglie multiple, vere o presunte, fu certamente impressa dall'attuazione del catasto onciario e dalla convenienza fiscale difar comparire più nuclei familiari intorno ad un solo capofuoco. Quanto alle attività economiche e produttive, la prevalenza degli addetti all'agricoltura sale ad una percentuale del 79%. Ben 110 capifuochi sono classificati come braccianti (semplici o zappatori), ai quali vanno aggiunti 48 massari e 2 potatori. Le attività artigianali e commerciali sono scarsamente rappresentate. Il ceto civile raggiunge appena il 3,5% ed è rappresentato da un dottore fisico, un giudice ai contratti, un dottore in diritto, il notaio. Il ceto emergente è costituito dai massari che accumulano un reddito tassabile di circa 4300 once, quasi pari a quello dei braccianti, di cui sono meno della metà. Nel 1810 a Roccabascerana si contano 1818 abitanti che diventano 1859 nel 1813, 1866 nel 1814 e 1910 nel 1815, facendo registrare un leggero calo demografico nel primo decennio del secolo e subito dopo una ripresa lenta, ma costante e di lunga durata, che subirà una netta accellerazione nella seconda metà del '800. In rapporto con l'andamento demografico si sviluppano la società civile e le attività economiche e politiche. Al tempo della Repubblica Partenopea le popolazioni della Valle Caudina, in un primo momento, aderirono e parteciparono ai moti rivoluzionari. A ricordo di questo avvenimento, vennero piantati nel centro di ogni paese "tigli" come simboli di libertà. A Roccabascerana testimonia ciò un tiglio che si erge maestoso al centro della piazza principale. Esso fu piantato nel 1798, come ricorda una lapide murata all'angolo della piazza, dietro lo stesso tiglio.


Le idee di patriottismo del regime napoleonicoavevano gettato il seme di nuovi ideali ed avevano acceso di speranza gli uomini più evoluti culturalmente; ma l'atteggiamento dei governi assolutisti era sempre viglile, sospettoso, oppressivo. Il malcontento contro la restaurazione borbonica favorì la nascita delle Società Segrete, dette "vendite", tra le quali si annovera la Carboneria. Il Principato Ultra (l'odierna provincia di Avellino) prendeva il nome Carbonaro di "Regione Irpina", la quale corpo consulente del potere legislativo, da una Magistratura, corpo esecutivo.Il potere legislativo era affidato ad un'assemblea di deputati di ciascuna Tribù, che si chiamava Gran Dieta e rappresentava l'intero, Popolo Carbonaro della Regione. L'Irpinia e l'intera Valle Caudina furono tra le vere protagoniste del primo risorgimento italiano. Tra gli "attendibili" politici di Principato Ultra nel 1850 compare il rocchese Angelo Imbriani "irriducibile" insieme ad un gruppo di patrioti caudini, che fu oggettto di particolare attenzione da parte della polizia borbonica. Nei primi anni dell'unità d'Italia, lungo la fascia del Partenio e nella Valle Caudina imperversò il triste fenomeno del brigantaggio, di cui anche Roccabascerana ne soffrì le conseguenze . Nella seconda metà dell'800, come già detto, la curva demografica presenta un andamento fortemente ascendente, che continua nei primi decenni del 900, nonostante l'emigrazione transoceanica. Dai 2205 abitanti del 1863 si passa ai 3258 nel 1881, a 3455nel 1895, che salgono fino a 4148 nel 1933 e 4270 nel 1936. Il massimo sviluppo demografico della storia di Roccabascerana si registra negli anni '30 del 900. Subito dopo si evidenziano i primi segni di un'inversione di endenza che continuerà nei decenni successivi. Il momento di maggiore impulso allo sviluppo del paese va collocato a cavallo tra l'800 e il 900,quando si assiste a quell'incremento edilizio che darà al paese un assetto più definito, con la costruzione di edifici pubblici e case private, la pavimentazione di strade che collegano le frazioni dell'ampio territorio comunale, e infine, nel nuovo secolo l'elettrificazione del paese.

 

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