La prima domanda da porsi, ciò detto, riguarda la miglior comprensione del perché La Masa sia risultato così significativamente caro alla comunità della Roccapalumba di allora.Il che conduce a cercare di comprendere come (e perché) si sia consolidato in quel tempo, se non anche prima, il rapporto tra lo stesso e il nostro specifico Comune. Chi fii, dunque, questo La Masa? Quali le sue azioni? E i suoi limiti? Non è facile rispondere soprattutto se in breve, come pure è necessario fare in questa sede.

Giuseppe La Masa

Si dica allora che, nato a Trabia da famiglia agiata il 1 dicembre 1819, originario dunque di queste nostre zone, spirito avventuroso, inquieto ed egocentrico, egli ebbe un ruolo ben marcato - che non mancò a 1ui, poi, di porre forse in eccessiva evidenza in ogni occasione possibile - sia nel moto del '48 che nell'impresa garibaldina del '60. Un ruolo che lo avrebbe portato a divenire nello stesso '48 componente della Camera dei Comuni (distretto di Palermo) e poi, nel '60, del Parlamento Nazionale (distretto di Termini Imerese).

Conobbe assai bene, per una prima conclusione, i nostri luoghi come i suoi abitanti, come si vedrà meglio tra poco.Ai primi del gennaio del Quarantotto, in particolare, dopo le fallite sommosse popolari di Reggio e Messina dell'agosto e settembre precedenti, alla vigilia della rivolta di Palermo dunque, si trovava in detta città, inserendosi immediatamente - sorretto dalla cara amicizia di Rosolino Pilo, tra gli altri - nel circuito della congiura antiborbonicalocale. Ed è a detto particolare momento, dal punto di vista della nostra specifica storia locale, che bisogna rifarsi, iniziando proprio da quei giorni, come si vedrà appresso, la prima relazione di La Masa e del movimento insurrezionale con Roccapalumba.

Seguire in breve alcuni eventi di quei giorni memorabili, è il punto di partenza di questa rievocazione. Il 10 gennaio 1848, dunque, compariva in Palermo, ai Quattro Cantoni (Piazza Virgilio), un assai noto e singolare annuncio di sfida al Governo, firmato da un sedicente "Comitato Direttore". In esso si annunciava, da lì a due giorni, lo scoppio di una rivoluzione popolare. "La popolazione di Palermo" - si leggeva, tra l'altro, nel documento - "uscirà armata all'alba del 12 gennaio... e si fermerà nelle parti centrali, aspettando i capi che si faranno conoscere e li dirigeranno" Il fatto è che questo "Comitato direttore" non esisteva assolutamente. Il proclama era, in sostanza il parto della fertile fantasia e delle speranze dei fratelli Bagnasco, che sognavano la sollevazione popolare comunque realizzata in Palermo in quello specifico giorno. Vi prestava in ogni caso fede lo stesso Governo, come mostrava l'arresto di numerosi patrioti, ritenuti ispiratori del documento, effettuato nella stessa giornata di comparsa del manifesto.

Riferire i cento episodi con cui si sarebbe realizzato, da quel momento, il moto popolare, porterebbe troppo lontano e non appare comunque opportuno in questa sede. Per quel che qui più può interessare, va ricordato allora che uno di questi atti straordinari veniva fuori proprio dall'azione del La Masa, il quale - resosi conto della inesistenza di detto Comitato - poneva in atto uno stratagemma ai limiti del credibile. Egli, uscito alla Fieravecchia, inalberava su una canna il tricolore, spacciandosi per "il rappresentante del Comitato" e rincuorando così la nascente rivolta.Scriveva immediatamente dopo, in un bar della piazza, un proclama a nome del Comitato direttore, firmandosi in calce come "il segretario" dello stesso. Così come, poco appresso, nello scrivere ai Comuni vicini, si sarebbe firmato addirittura come "il Presidente" del Comitato provvisorio della rivoluzione. Aveva in un certo senso inizio così una tipologia di azione, che sarà facile riscontrare spesso in La Masa, basata su quella miscela "di vero e di falso", ricordata poi dai contemporanei come una sua caratteristica criticabile e pur tanto efficace per rinsaldare la rivoluzione

Volendo fornire un giudizio storico sull'uomo, certo è che non gli giovava quel volersi sentire - e lasciare poi immagine di se centro di ogni avvenimento del momento, che gli avrebbe attirato critiche aspre e non sempre meritate. "Quel mettersi innanzi a tutti e in tutto; quel sempre pretendere parole di aver eccitato, di aver diritto, di aver dato, nei più pericolosi frangenti, nuova vita alla rivoluzione, quel proferirsi costantemente protagonista... - avrebbe scritto di lui, ad esempio, il ministro Calvi - gli fa un gran torto; e noi, sinceri ammiratori... brameremmo (invece)... una bella modestia". E anche nel rapporto con la comunità municipale di Roccapalumba e con la famiglia locale degli Avellone - si aggiunge da noi - la raccomandazione non sarebbe stata, come si vedrà tra poco, talora fuori luogo.E si passi adesso al nodo centrale della relazione con Roccapalumba: o, come è forse più corretto dire, del rapporto che, per adesso con riferimento solo ai moti del '48, si venne in sostanza a determinare tra l'apparato organizzativo centrale della rivolta di Palermo, le comunità dintorno e, in specie, con lo stesso nostro Comune.

A' riguardo, non si è lontani dal vero sostenendo che la prima notizia ufficiale della rivoluzione dovette pervenire in Paese immediatamente dopo il suo stesso inizio. E noto,in effetti, l'invio di un proclama ai Terminesi, effettuato dallo stesso La Masa - che si firmava, nel caso e con la solita tecnica già intravista, "per conto del Comitato provvisorio" della rivoluzione - in data 13 gennaio 1848". La propinquità e gli stretti rapporti, da sempre esistenti tra Termini e il nostro Comune, lasciano facilmente intuire in effetti, a parte ogni altra considerazione, la rapidità con cui la notizia dovette giungere anche in Roccapalumba.E c'è del resto, un secondo elemento a confermare la cosa.L'Indomani veniva data alla stampa e portata a conoscenza anche della Amministrazione civica locale la deliberazione con cui si rendeva noto che un Comitato "Generale" aveva assorbito quello "provvisori" della Fieravecchia fu pressocchè immediato in quei giorni, in sostanza, il coinvolgimento di Roccapalumba (con l'informativa era implicita, del resto, la richiesta di partecipazione alla stessa) nel destino della rivolta popolare di Palermo.Andando innanzi, dopo questa prima informativa, indicazioni ufficiali pervennero ininterrottamente, da parte del Comitato, dai primi giorni della rivoluzione sino alla inaugurazione di fine marzo del Parlamento Generale di Sicilia.Le stesse ebbero a riguardare, per dire solo delle maggiori; i progressi bellici (fuga dei Borboni da Palermo, cattura del Palazzo Reale, dei forti della stessa Palermo e di Termini Imerese, etc.), l'organizzazione istituzionale (trasformazione del Comitato Generale in "Governo provvisorio" per tutta l'isola, convocazione e prima riunione del Parlamento, etc.) nonchè, più in particolare, i rapporti che si andavano ad instaurare con la città e le varie comunità municipali dell'isola. Come, per introdurre taluni temi sui quali si tornerà tra poco, quelli relativi alla istituzione della Guardia Nazionale (ovviamente creata anche in Roccapalumba) o sul trasferimento dei militari del Governo

borbonico, disarmati e catturati localmente, nella Capitale.Nel distretto di Termini Imerese, inoltre, risultava già ordinata la istituzione di una Compagnia d'Arme, che vigilava anche su Roccapalumba. Non risulta, invece, se qualcuno dei cittadini entrò mai a far parte della c.d. "Legione Universitaria", costituita (ma in tempo successivo) da La Farina nella Capitale, che ebbe a fermarsi sia pur estemporaneamente nel Comune.Basta scorrere i contenuti della Collezione Officiale degli Atti del "Comitato generale" della rivoluzione, del resto, per rendersi esattamente e compiutamente conto di tanti aspetti significativi della questione. Uno degli episodi da cui emerge l'aderenza della cittadinanza anche di questo nostro Paese al moto popolare di quei giorni nacque in questo contesto, ad esempio, dagli importanti avvenimenti svoltisi proprio a Termini in occasione della resa del forte sovrastante la città.

Questa, in effetti, aveva preso parte alla rivolta, come del resto era già accaduto nel 1820, non appena pervenute le prime notizie da Palermo. Un tentativo di impadronirsi del forte venne posto subito in atto, ma non ebbe esito favorevole (nella giornata del 27 gennaio, intanto, venivano inviate a Palermo 50 salme di farina per sorreggere la rivolta; al secondo tentativo la cosa, invece, aveva buon effetto. E, tra i firmatari dell'accordo di resa - a prima dimostrazione della sua presenza dalle nostre parti - era La Masa con altri numerosi cittadini locali, erettisi in Comitato provvisorio del Comune. Un Organismo, questo, da quel momento diffuso presso tutte le città e i comuni isolani aderenti alla rivolta, che fu ben presto creato anche presso la nostra Municipalità.

Tornando all'argomento principale, adesso, una cosa appare certa. Se si esaminano i contigenti di uomini che si erano indirizzati verso Termini nell'occasione della presa del forte - accanto ad una forte presenza di cittadini di Bagheria e Corleone - erano anche numerosi genti (500 lascia intendere lo stesso La Masa), venute "da Caccamo e dai paesi circonvicini". Non si è lontani dal vero, al riguardo, immaginando che tra questi fosse anche una certa presenza di uomini di Roccapalumba. Nè va dimenticato, per inciso, che ampia parte del territorio odierno del Paese ricadeva, a quel momento, proprio nell'area di Caccamo.Roccapalumba, in particolare e come intravisto, rientrava anch'essa peraltro tra gli oltre cento comuni che avevano già inviato adesione all'azione del Comitato generale di Palermo; come è dimostrato, in ogni caso, dai contenuti del Giornale Officiale di quei giorni, che aveva regolarmente data pubblicità alle adesioni medesime e che aveva smesso di pubblicarle solo quando, divenute troppe numerose, sembrava superfluo accennarvisi.

Quasi nello stesso tempo, intanto, era andata avanti in Palermo l'azione del Comitato, tesa ad organizzare la difesa della capitale. Con Provvedimento provvisorio del 28 gennaio (da confermarsi dal Parlamento nazionale a venire) veniva istituito, così, il già cennato corpo della Guardia Nazionale, con lo scopo dichiarato "della conservazione dell'ordine pubblico e della sicurezza delle persone e della proprietà" Il provvedimento istitutivo - riguardante in un primo tempo solo detta città - veniva subito dopo trasmesso "a tutte le Comuni, estendendosi in tal modo la sua applicazione in tutta l'Isola. E ovviamente, anche nel nostro specifico Paese, ove detta nuova istituzione risultava approvata di certo nei giorni immediatamente successivi.Ci si fermi adesso un momento e si cerchi di comprendere meglio, sulla base delle indicazioni date, quale incidenza abbiano potuto determinare concretamente per la Roccapalumba d'allora gli elementi informativi sin qui intravisti.A parte l'ovvio trasferimento nella Capitale di qualche elemento militare, che si trovava nel Paese e che quindi veniva disarmato e imprigionato, si è fatto cenno sinora all'esistenza delle "squadre" e della Guardia nazionale. Il che induce a porre due primi quesiti. Il primo è, in breve, se possa ritenersi che Roccapalumba abbia partecipato al moto del '48 con qualche sua eventuale "squadra", paragonabile a quelle che, più tardi, all'arrivo di Garibaldi, sarebbe stato dato di registrare localmente sia Gibilrossa che Palermo (più oltre si vedrà, pure, se e quando sia stato costituito nel Paese il Comitato provvisorio).

A guardare l'episodio quanto meno dalla presa del forte termitano, in ogni caso, la risposta - anche in assenza di idonea documentazione esplicita al riguardo - sembra di segno positivo. "Squadra" sta ad indicare, in effetti, null'altro che una "banda armata" e sembra certa, al momento, la partecipazione dei locali ai fatti di Termini. Più difficile èstabilire se la presenza termitana sia stato solo un episodio estemporaneo o se uomini del paese si siano poi recati a Palermo, confondendosi tra le squadre della città.

Su questo aspetto della questione - al contrario di quanto sarà dato verificare per gli analoghi eventi del Sessanta - non si possiedono purtroppo riscontri formali. Se ciò avvenne, in ogni caso, può ritenersi che si sia trattato solo di imprese di singoli, attratti verosimilmente - come tanti altri - da quella remunerazione giornaliera data loro nei primi giorni della rivoluzione. Anche in detto caso, inoltre, la cosa ebbe a durare assai poco. Quando la situazione venne ad evolversi favorevolmente alle armi dei rivoltosi, infatti, Palermo non ebbe più bisogno di tanto afflusso d'uomini. Fu lo stesso Comitato generale di Palermo a stabilire pertanto, con propria circolare inviata ai Comuni, che "non abbisognava più di uomini" e che chiunque, malgrado ciò, si fisse presentato nella Capitale a tal fine, "sarebbe stato privato del soldo. Salvo che non intendesse militare, invece, come soldato nella truppa regolare.Detto delle "squadre", la seconda curiosità da sciogliere è quella relativa alla creazione della Guardia Nazionale.Questa, - istituita in Palermo, come detto, il 28 gennaio - era ordinata presso tutte le Comunità isolane al 25 marzo successivo. ne venivano a far parte, in particolare, tutti coloro che fossero tra i 18 e i 50 anni (poi portati a 60).

Già nel provvedimento "provvisorio" del 28 gennaio veniva chiarito che tale servizio era "essenzialmente gratuito". Nel "Manifesto" del 2 febbraio, si aggiungeva poi che nessun impiegato avrebbe avuto diritto "a percepire soldo o provento senza il certificato di servizio" e che nessuno, comunque, avrebbe potuto "pretendere impieghi... senza certificato". L’ applicazione anche nel nostro Paese di tale servizio era, dunque, obbligatoria, centralizzata e stringente, tranne che per particolari categorie di lavoratori giornalieri o non abbienti.A quale logica rispondeva questa Guardia? Anzitutto - e come è ovvio, in tempi di generale disordine civile come quelli, in cui 15.000 uomini (tra evasi liberati localmente dai Regi o introdotti nell'Isola dalle prigioni di terraferma) andavano scorazzando per il Val di Palermo - alla salvaguardia di uomini e proprietà; in secondo luogo - non potendosi attribuire tale ruolo alle "squadre", che si macchiarono talora di accessi e crimini, sino a determinare la loro stessa soppressione con provvedimento del 18 maggio 1848, nè potendosi ancora contare su un esercito siciliano vero e proprio, che era allora sul sorgere - alla tutela dei forti (ad esempio, quelli di Palermo o Termini Imerese) e alla difesa nazionale.In tale contesto, non può sorprendere che l'esercito fosse subordinato alla stessa Guardia Nazionale, pertanto, o che la possibilità di suo stesso armamento - 9.000 fucili con baionetta si resero allora disponibili -risultasse subordinata a quella della Guardia. In ogni caso, per un dettaglio assai importante localmente, può essersi certi, come cennato prima, della creazione in Roccapalumba della Guardia nazionale sin dai primi giorni della relativa istituzione. Costituisce una curiosità del tempo, in tale quadro di riferimento, l'ordine impartito a persona della Guardia Nazionale in occasione di una sfilata in Palermo, notato in famiglia del Paese da chi scrive queste righe.

Sulla Guardia nazionale sembrerebbe potersi fermare qui, salvo quanto sarebbe possibile aggiungere trattando del ruolo di riorganizzazione affidato a La Masa, con riferimento quanto meno al Val di Palermo. Senonchè, ci sono certi particolari sui quali occorre adesso soffermarsi sia pure in breve.Si dica subito, allora, che questo Corpo venne affidato dal Governo provvisorio al comando del barone Riso. Personaggio, questo, proveniente da una famosa famiglia di mercanti e banchieri, insignorito di novello titolo nobiliare, uno dei cui ultimi discendenti sarebbe vissuto, in anni recenti,proprio in Roccapalumba.

Il comando della Guardia nazionale, attribuito il 15 febbraio a quel primo Riso - che ebbe a presentare allora e a far approvare dal Comitato generale gli Statuti provvisori della stessa - non si comprese bene allora se fosse da intendersi con riferimento alla sola Capitale o a tutto quanto il territorio isolano. Inoltre, per un Organismo che nasceva chiaramente con articolazioni diffuse municipali, non si ebbe a parlare mai del ruolo dei Comuni. Il che stava a significare che parte del Potere Legislativo finiva per ricadere nelle mani dello Stato Maggiore di detto Corpo.

Comunque sia, l'azione del barone Riso aveva successo e veniva accettata la applicazione a tutta quanta l'Isola della estensività della autorità della Guardia. Il ruolo della stessa, in detto contesto e in assenza di una gendarmeria o forza pubblica alternativa equivalente, poteva così divenire primario. Rafforzato, peraltro, da quel dispositivo statutario, per cui se ne rendeva impossibile lo scioglimento, addirittura anche da parte dello stesso Potere esecutivo.Tutto ciò dava alla Guardia e al suo Comandante Generale, in conclusione, una rilevanza ed un potere eccezionali. E la circostanza avrebbe avuto conseguenze assai pesanti, poi, rivelandosi il barone Riso - al momento della ripresa delle ostilità guerreggiante con i Borboni - elemento non estraneo ai poteri dominanti della controrivoluzione, come ritennero taluni.Chi furono, in questo contesto, i capi della Guardia in Roccapalumba? La Guardia locale venne capitanata, allora, da quel Francesco Avellone, figlio secondogenito del notaio Giuseppe, su cui si tornerà a dire al momento di soffermarsi sui rapporti tra i garibaldini e il Paese nel 1860. Un altro appartenente a questa famiglia (esattamente, Salvatore, primo dei figli del notaio Giuseppe) era, al contempo, capitano della Guardia in Palermo.Fino a detto momento, come può notarsi, i rapporti tra centro insurrezionale e Roccapalumba risultano, tuttavia e tutto sommato, solo da una documentazione indiretta. Vuol farsi riferimento, allora, a qualcosa di più immediatamente coinvolgente, che verrà anche riferita da Ruggero Settimo in un suo documentato studio sulla rivoluzione.

In proposito, si ha la fortuna di ricordare allora che il Settimo reca nel proprio studio, in particolare, proprio il deliberato del 31 gennaio 1848 del Comune di Roccapalumba, più intuito nella sua possibile esistenza che conosciuto, dal quale si evince la costituzione del "Comitato provvisorio per la Direzione della cosa pubblica": di fatto, uno dei Comitati della rivoluzione patrocinati dal La Masa sin dai primi giorni del moto di Palermo. Si ha aggio di comprendere, con l'occasione, che Presidente del Comitato venne nominato allora Francesco Avellone e vice Presidente Francesco Carimi. Segretario dello stesso fu, infine,Gaetano Militello.Tornando più al generale, occorrerà attendere il 1 aprile del Quarantanove perché sia dato assistenza ad un episodio della relazione diretta del Paese con La Masa. In quel tempo, lo stesso era in Termini, principale del distretto, quando gli pervenne conoscenza di un dispaccio telegrafico, che avvertiva "che sette vapori da guerra ed un legno a vela napoletani" erano stati avvistati dalle parti di Cefalù e in avvicinamento alla città.Tutti i Comuni della zona venivano immediatamente posti in allarme, al fine di inviare in soccorso i contigenti della propria Guardia Nazionale, oltre ad ogni eventuale volontario disponibile. Il luogo della riunione veniva fissato nella contrada Cangemi, soprastante la stessa Termini.

Dal Distretto le genti accorsero numerosi. Ma per Roccapalumba e Vicari vennero a manifestarsi taluni casi particolari. Questi Comuni -avrebbe lasciato scritto di poi lo stesso La Masa - "non poterono anch'essi accorrere alla difesa.. "(31) E bene evidenziare, pertanto, le circostanze che ne avevano attardato il sostegno. Le stesse infatti si rivelano assai importanti, a ben vedere, anche perché dalla loro conoscenza emerge una missiva, la prima di un poderoso incartamento disponibile, con riferimento ai successivi eventi del 1860, sui rapporti tra Roccapalumba, gli Avellone e lo stesso La Masa.Nel dettaglio, a questi si rivolgeva il Presidente del tempo del Comune, un Avellone per l'appunto, scrivendo delle ragioni che avevano impedito tempestiva presenza in Termini. E quali erano questi ragioni? Era accaduto che, al momento che la Guardia Nazionale locale era pronta ad avviarsi per la collina Cangemi, era giunto nel Paese l'Ispettore generale d'artiglieria Salvadore Medina, il quale con una batteria da campagna di 4 pezzi da 8 e due obici da "(si dirigeva alla volta di Catania.Questo Medina, già tenente dell'armata dei re di Napoli, aveva aderito alla causa siciliana, indirizza dosi in quel momento particolare alla volta di Catania. Giunto a Roccapalumba (assai probabilmente, anzi alle c.d. Case Vecchie del Paese), intesa la nuova sul temuto sbarco in Termini dei Napoletani, aveva ritenuto di avvalersi, come supporto, della guardia Nazionale locale.

Rappresentatigli dall'Avellone, Presidente della Comune, la richiesta di La Masa per il sostegno alle sorti di termini, Medina, bloccata la Guardia locale già in movimento dunque, inviava un dispaccio, che perveniva a quest'ultimo in uno a quello della Deputazione di Roccapalumba Cessato il pericolo d’ invasione da parte dei legni nemici, non si rendeva tuttavia più attuale la richiesta di aiuto e, di conseguenza, l'intera vicenda si chiudeva con una lettera di cortesia diretta a Medina, indirizzata nel momentaneo recapito di Roccapalumba . Per un dettaglio minore, quei cannoni non sarebbero mai pervenuti alla loro destinazione finale di Catania, caduta ormai in mani nemiche. Va infine ricordato, per un ulteriore dettaglio, questa volta di maggior significatività per il nostro Paese, che il 2 aprile La Masa indirizzava un resoconto dei fatti al Ministro della Guerra e Marina, Mariano Stabile, ponendo in risalto il ruolo dei Comuni della zona, tra i quali Caccamo, Sciara, Montemaggiore, Vicari e, ovviamente, la stessa Roccapalumba .

Si ritiene di poter trarre, a questo punto, taluni ulteriori conclusioni sulle brevi cose riferite sinora. Infatti, queste testimoniano, anzitutto - nè poteva essere diversamente - che c'è tutta una pur piccola sequenza di episodi dell'epoca risorgimentale che ha riguardato con certezza il sito di Roccapalumba. Basterebbe continuare a raccogliere i tanti ricordi similari, sia pure minori, per stabilire taluni primi tasselli di una storia locale che, in materia, è di sicuro e come cennato assai più ampia del creduto.In secondo luogo, può ritenersi con ciò stabilito un primo e duraturo rapporto tra il Comune e il generale Giuseppe La Masa; che, nato sin dai primi giorni della rivoluzione di Palermo del 1848, dovette di certo svilupparsi fino al duro momento della ricaduta dell'Isola sotto il dominio borbonico e la scelta della via dell'esilio per lo stesso La Masa.In terzo luogo, risulta anche chiarito che la relazione tra il La Masa e Roccapalumba veniva a consolidarsi anche tramite i legami che lo stesso Generale intratteneva, tra l'altro, con la famiglia locale degli Avellone. Una intesa, questa ultima, che taluni pressoché del tutto sconosciuti eventi, sopravvenuti prima della stessa impresa garibaldina del '60, avrebbe resi in buona sostanza indissolubili. Come avrebbero poi confermato gli accadimenti dell'epopea del 1860 in Sicilia.


 

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