SCUOLA MEDIA
CURIONI - ROMAGNANO SESIA
CLASSE 1 B
ANNO
SCOLASTICO 1999 - 2000
PROGETTO SESIA
NOI E IL FIUME
Un lavoro che coinvolge diverse scuole medie, tra le
quali anche la nostra, studia il fiume Sesia; in particolare, per quanto
riguarda noi “l’uso delle sue acque nel
tempo”. Pertanto innanzi tutto due parole su questo corso d’acqua.
Nasce dal Monte Rosa (ghiacciaio del Sesia );
Il Monte
Rosa
tocca diversi paesi e città, ad alcuni dei quali aggiunge pure il suo nome e dopo un percorso di 135 km versa le sue gioie e preoccupazione nel gran seno paterno del Po
Il Sesia a
Romagnano
In tempi andati in questo nostro importante fiume ci si lavava, si lavavano i panni ; si attingeva l’acqua per irrorare campi e prati; si asportavano sabbie e sassi per le costruzioni; era, pure come è oggi, ”nutrimento” delle falde acquifere
lavandaie
al Sesia a Romagnano
Veramente è, sì, un fiume in quanto ha un regime continuo, anche se talora molto povero; ma altre volte diventa un “mostro” pericolosissimo in quanto le sue piene possono essere terrificanti.
La piena che travolse il ponte per Gattinara
E’ anche molto generoso perché dispensa acqua
a piene mani, come ben sanno contadini e risicoltori del Novarese e del
Vercellese; riceve infatti acque da affluenti, torrenti e ruscelli, ma
altrettanto generosamente ne distribuisce tramite rogge e canali.
L’inizio della Roggia Mora a Prato Sesia
Come: un
tempo si procedeva ad uno scavo, si sbarrava parzialmente il fiume con
dighe di sassi, quindi una parte di esso prendeva un corso diverso e portava
l’acqua là dove le esigenze dell’uomo la richiedevano. Quando arrivava la
piena, portava via la diga che però pazientemente veniva ricostruita e tutto
tornava come prima. Col tempo la dissennatezza dell’uomo rese stabili alcuni
sbarramenti servendosi del cemento; ciò però portò all’innalzamento del letto
del fiume, richiedendo la costosa costruzione di argini per proteggere gli
insediamenti umani dalle periodiche “furie” del nostro “amico”.
Argine della Roggia
Mora all'entrata di Prato
Verso
la fine del 1200, voluta dal comune di Novara, fu scavata, a partire da Prato,
una di queste rogge, allargata e sistemata poi da Ludovico il Moro da cui prese
il nome (e cioè Roggia Mora); e affiancata da una stradina lungo tutto il suo
percorso, venne prolungata fino alla Sforzesca, una villa di Vigevano. Durante
la sua costruzione divise molti campi a metà e quindi i proprietari si
trovarono con i campi attraversati da questa roggia e nella curiosa situazione
di essere proprietari da una parte e dall’altra della roggia stessa. Ancora
oggi si chiama roggia Mora. Gli utili usi delle sue acque sono molti: nella
Bassa dà l’acqua alle coltivazioni (risaie in particolare); dove i dislivelli
sono un po’ più accentuati serve per produrre energia.
Tratto iniziale della Roggia Mora
Però
a noi è interessato enormemente il momento storico e allora non vogliamo
parlare, almeno per ora, di energia elettrica, ma di energia meccanica prodotta
dal salto d’acqua per fare girare i mulini, o meglio ancora molini, e strutture affini.
Abbiamo
innanzitutto lavorato su una cartina della metà dell’ottocento.
Inoltre
ognuno di noi ha chiesto nei propri paesi informazioni relative ai mulini e
abbiamo avuto notizie di uno a Gattinara, uno a Grignasco, uno a Roasio e sei
tra Romagnano e Prato con in più un filatoio e due pista canape.
Non
ci siamo interessati dei primi e di uno di
Romagnano perché non ad acqua.
I
mulini venivano azionati dallo sfruttamento della scorrere dell’acqua che
faceva girare la ruota a pale la quale faceva sì che la macina macinasse le
granaglie trasformandole in farina.
Il mulino di Prato in funzione
La
visione di un filmato amatoriale prodotto come supporto ad una tesi di laurea
per l’università di Torino ci ha consentito di vedere uno di questi mulini
situato a Prato Sesia; una Roggia chiamata Roggia Molinara portava l’acqua al
mulino; immediatamente prima del quale si divideva in due “canaletti” regolati
da altrettante paratoie. Quando il mulino doveva macinare, un apposito
meccanismo manovrato a mano alzava una paratoia: l’acqua fluiva velocemente,
sbatteva contro le pale della ruota e la faceva girare.
La ruota del mulino di Prato
Dentro
al mulino parallele alla ruota esterna, c’era un’altra ruota fissata allo
stesso perno e perciò girava come la ruota esterna; opportuna pulegge e qualche
ingranaggio facevano ruotare la macina
che frantumava le granaglie; e faceva cadere il tutto su un setaccio che
separava la farina dalla crusca.
Le macine
del mulino di Prato
Abbiamo
saputo da una testimonianza che qualche volta i mugnai facevano i furbetti ed
allora il:”ton, ton, ton“ della ruota veniva
tradotto in “tol, tol, tol” (prendi, prendi ,prendi); quando poi entrava
in funzione un campanello per segnalare che bisognava aggiungere granaglie alla macina il: “tirintin, tirintin,
tirintin” veniva letto come : “tolnu ‘ncu, tolnu ‘ncu, tolnu ‘ncu” (prendine
ancora, prendine ancora, prendine ancora): come erano birbe i nostri nonni!
Ma
torniamo alle cose serie: quando il mugnaio chiudeva la paratoia della ruota a
pale, apriva la paratoia della discarica e l’acqua fluiva dall’altra parte.
Questo mulino è funzionato fino ad una ventina di anni
fa.
Alcuni
mulini non venivano usati per la macina, bensì per la pista canapa, cioè la
macina serviva per sfibrare la canapa le cui fibre venivano poi filate e
tessute. Abbiamo sentito che nella preistoria la canapa per essere sfibrata
veniva masticata dalle donne e siccome era sovente sporca di sabbia, le
poverine si rovinavano precocemente i loro malcapitati denti.
Un’altra
funzione di cui abbiamo avuto notizie, era la brillatura (che vuole dire
togliere la buccia) del riso.
Oggi i mulini ci sono ancora, ma ovviamente
non sono più così artigianali e lenti e sono mossi dall’energia elettrica.
Una delle fonti di quest’ultima energia richiama molto i vecchi mulini: il
procedimento essenziale è lo stesso; solo che, invece dalla mola, viene fatta
girare la dinamo. Evidentemente non è che i mulini siano diventati centrali
idroelettriche, ma mentre un tempo rogge e canali erano costellatti di mulini,
oggi lo sono di centrali idroelettriche. Ad esempio da Grignasco a Prato Sesia
un canale ”muove” ben quattro centrali; a
Romagnano ce ne sono due in 700 metri circa: per non parlare poi di
quelle che si trovano fino a Fara. Sorge a questo punto, spontanea, una domanda:
perché da là in giù non ce ne sono più? Perché, semplicemente, non ci sono
le necessarie pendenze.
Il Sesia a Romagnano: la pendenza è già
diminuita
Concludiamo
il nostro lavoro con un’ultima considerazione: sarebbe estremamente sconveniente
cancellare questi reparti storici dalla nostra memoria ; infatti c’è qualcuno
che la pensa come noi ed abbiamo saputo che il mulino di Prato verrà riattivato
e trasformato in museo. Sarà un modo per ricordare, studiare e onorare le
generazioni che ci hanno preceduti.
Insegnante
guida: prof. Filippo Carocero
Insegnante
collaboratore: prof. Didò Norberto
Impaginazione grafica
e foto: prof. Maura Fornara