Redattore: Marco Tinterri
Collaborazione grafica:Silvia Filippi
Ultimo Aggiornamento: 27 dicembre 2000

Presso la sezione hi-tech è disponibile un documentario multimediale basato su questo saggio.

451 d.C.

La battaglia dei Campi Catalaunici è l'ultima grande vittoria di un esercito romano contro i barbari e per certi versi l'esempio più alto della nuova realtà militare, costituita dai cosiddetti eserciti romano barbarici, che si è andata sviluppando negli ultimi secoli. Artefice della vittoria non è più solo la compattezza delle legioni ma anche la furia e il vigore fisico con cui combattono i suoi alleati. Roma non è più in grado di affrontare da sola le orde barbare ma deve chiedere alleanza a re di altri regni limitrofi per difendere i suoi confini. E' sia un chiaro sintomo di debolezza sia l'avvisaglia di quanto accadrà nel futuro più prossimo dove i re stringeranno e rinnegheranno alleanze coi vicini per combattere una serie infinita di guerre.

Ma torniamo ai Campi Catalaunici.
Nella lunga serie di successi militari questo è forse uno dei più importanti. Certo non apre la strada a nuove conquiste, ma consentirà al mondo classico e al mondo barbarico, civilizzato da secoli di contatti con l'Impero, di difendersi dall'attacco selvaggio dei barbari Unni. Attacco che se portato a termine avrebbe forse segnato terribilmente il futuro di tutta l'Europa e del bacino del Mediterraneo.
Dopo il trasferimento di fatto del centro dell'impero a Bisanzio la minaccia barbara era diventata costante. Si erano susseguite una serie infinita di battaglie e scontri di confine culminate nella terribile sconfitta di Adrianopoli (378 d.c.) nella quale un intero esercito imperiale guidato dall'imperatore d'oriente Valente era stato massacrato dai Visigoti di Fritigerno. Le proporzioni dell'immensa sconfitta non avrebbero consentito più, alla macchina bellica romana, di riprendersi completamente. Il mito dell'invincibilità delle legioni già minato dalla sconfitta delle legioni del legato imperiale Varo nel 9 d.c. nella Selva di Teutoburgo era definitivamente segnato. Proprio la frequenza con cui i barbari si affacciavano ai confini di Roma avevano indotto Teodosio a dividere l'impero fra i suoi due figli Arcadio e Onorio, il primo in oriente e il secondo in occidente, nel tentativo di rendere la difesa del "limes" più facile. Purtroppo, così come già era successo per Marco Aurelio con Commodo, i figli non furono all'altezza del padre. Ma la fine purtroppo era già prossima e una serie di imperatori tanto corrotti quanto inetti non avrebbero potuto certo rinviare oltre l'inevitabile. Le cause delle grandezza di Roma erano state la saldezza dell'organizzazione politica e militare. Roma era sinonimo di certezza del diritto e, sovente, pace e prosperità. Ma a questa grandezza esterna si contrappose a lungo andare la debolezza di una classe di comando sempre più lasciata in mano ai propri desideri di potere e alle proprie debolezze di uomini che al proprio dovere di governare per il bene di Roma. La repubblica era stata in grado di produrre per lungo tempo una classe dirigente che, pur con episodi di corruzione e malgoverno, era riuscita a porre alle basi del proprio agire il bene supremo della città eterna. Ora non era più così.
L'esercito rimase per secoli l'ultimo baluardo delle antiche virtù repubblicane. Era un esercito molto diverso da quello riorganizzato da Mario nel I secolo a.C. Quello aveva dovuto rinunciare a reclutare i soli cittadini romani dando l'avvio ai primi soldati di professione, l'esercito imperiale invece, era costituito in massima parte da schiavi, stranieri e barbari che peggioravano sempre più la qualità media del soldato romano. Al principio del II secolo d.C., durante l'impero di Adriano, l'esercito era composto da una coorte di mille uomini (coorte miliaria) e dietro di lei serravano le altre nove coorti, armate con lunghe lance e pesanti scudi. Con Alessandro Severo (III sec. d.C) delle legioni rimase sempre più solo il nome. Armamento sempre più pesante, grande dispiego dell'artiglieria, baliste, catapulte, e un uso delle cavalleria pesante (catafratti) sempre più frequente.
L'esercito di Ezio era dunque solo un lontano parente delle legioni condotte da Cesare a conquistare la Gallia e sempre più simile ad un esercito medievale, anche se più nutrito e più disciplinato.

Se questa era la situazione da parte romana andiamo ora a vedere come si presentava lo schieramento Unno.
Le poche notizie che sappiamo degli Unni ci vengono dalla Cina. Erano un popolo nomade del deserto della Mongolia che viveva in moltissimi minuscoli gruppi. L'aridità delle terre che erano abitate dagli Unni era tale che veniva loro consentita solo la pastorizia e, ancor più, la pratica del brigantaggio. Ma se era tanto rozza la loro vita di tutti i giorni altrettanto, se non di più, era la loro cultura, limitata all'etica della guerra, ovunque e contro chiunque, per la pura sopravvivenza del proprio gruppo. Il solo reale segno lasciato dalla civiltà, si fa per dire, unna è il terrore che veniva suscitato nei popoli che si apprestavano a rimanerne vittima. Nessuno scritto, nessuna opera architettonica, nulla, solo morte e distruzione dietro di loro. Negli anni antecedenti il 370 d.C. li troviamo ancora a terrorizzare la Cina, ma poi definitivamente respinti e probabilmente ricacciati ancora più a ovest dagli Avari si affacciarono in Europa. E' il 375 d.C. e gli Unni assoggettarono rapidamente le popolazioni che abitavano lungo il corso del Danubio ( alani, ostrogoti ..). Neanche le legioni romane erano riuscite a fermarle e sotto il comando del loro nuovo capo Attila si affacciarono via via anche verso le opulente provincie della Gallia e verso l'Italia.

spostamenti popoli barbari
Mappa indicante gli spostamenti dei popoli barbari.

espansione barbarica
Altro diagramma sulla espansione barbara nel quinto secolo d.C.

Ma chi era Attila? Certo non era un semplice barbaro ignorante come tanti capi del suo popolo. Le sole fonti peraltro ci vengono da cronisti e poeti latini, bizantini e germanici che ci dipingono un uomo non comune per coraggio e ferocia. Attila è addirittura un eroe in alcune saghe nordiche (Le sue gesta, quelle del suo cavallo e della sua spada magica sono protagoniste dell'ultima parte della saga Niebelungen Lied ambientata nella capitale del suo regno Etselenburg (l'odierna Buda). E' interessante notare come il cavallo (Bucefale-Alarico) e la spada (Excalibur-Artù, Durlindana-Orlando), siano tratti comuni di molte saghe medievali tese ad esaltare oltre che le virtù dell'eroe anche quelle dei suoi principali compagni d'avventura, il cavallo e la spada.
Proprio la spada era stata per Attila, diremmo oggi, un ottimo veicolo pubblicitario per rivendicare il suo primato sul popolo unno. Ci riferisce un cronista romano, allora ambasciatore presso la sua corte, che in una delle sue prime campagne il re si era mostrato a tutte le sue truppe brandendo un'antica spada di ferro che pretendeva essergli stata donata dal Dio della guerra come prova del fatto che lui, Attila, era una sua reincarnazione. Un'abile mossa, non c'è che dire, soprattutto se si tien conto che il popolo unno adorava fin dai tempi più antichi una spada nuda come loro dio.

Attila

Attila Sempre lui!
Attila. Notare come venga rappresentato con le corna caprine, a simboleggiare un demone, se non il diavolo stesso.

Nel 445 Attila dominava su un territorio che approssimativamente corrisponde alla zona che va dal nord del Danubio e del Mar Nero sino ad Est del Caucaso e parte dell'antica Tracia e dell'odierna Ungheria. In quell'anno fonda Etselenburg, sulle rive del Danubio, dopo essersi liberato del fratello Bleda che sino ad allora aveva gestito insieme a lui il potere. Interessante è citare una leggenda abbastanza diffusa all'epoca anche in ambiente romano nella quale si diceva che l'omicidio di Bleda da parte di Attila era stato modellato su quello di Romolo ai danni di Remo affinchè proprio Etselenburg fosse la nuova Roma. Probabilmente un'altra buona opera di marketing oppure la materializzazione di un timore che da tempo correva presso il popolo romano. Il 445 infatti aveva chiuso il XII secolo di vita dalla fondazione di Roma e tanti dovevano essere i secoli di vita riservati all'urbe dai 12 avvoltoi visti da Romolo in occasione della sua gara con Remo per decidere chi dovesse essere il padrone della città che stavano per fondare . Si diceva anzi che proprio l'uccisione del fratello fosse il prezzo pagato da Romolo per i dodici secoli di grandezza di Roma e non una semplice disputa di confine. Sorprendente è anche pensare come gli stessi romani cristiani ritenessero possibile l'avverarsi della profezia che riguardava Attila. Anche il re barbaro stesso forse finì per crederci tanto è vero che dopo cinque anni (450 d.c.) mosse con un consistente esercito verso l'Impero Orientale mettendolo a ferro e fuoco, saccheggiando le provincie più vicine al suo regno e poi dirigendo verso il cuore dell'impero d'occidente, la Gallia.
Ottenuta la collaborazione di uno dei tanti re franchi che da tempo coabitavano la provincia insieme ai governatori imperiali, Attila riuscì a passare tranquillamente il Reno poco al di sotto dell'odierna Coblenza con un esercito di forse 700.000 uomini (il dato, riferito dai cronisti dell'epoca, è da ritenersi eccessivo). Sconfisse il re dei Burgundi che si opponeva al passaggio delle sue truppe, quindi divise le sue forze in due gruppi. Il primo si diresse a Nord ovest verso le odierne Torres ed Arras mentre il grosso dell'esercito sotto il suo comando distrusse i paesi della zona dell'odierna Besancon, nella regione dei Burgundi, e si accinse ad attraversare la Loira. Il piano (simile a quello che gli Alleati useranno contro Napoleone nel 1814 per conquistare Parigi !!!!) prevedeva che l'ala destra a nord proteggesse i franchi alleati, che l'ala sinistra a sud impedisse ai Burgundi di riorganizzarsi bloccando i passi alpini mentre il centro si dirigeva verso Orléans. Davanti a lui ormai rimanevano solo il re dei Visigoti Teodorico e l'ultimo grande erede della tradizione militare romana, il generale Ezio. Orléans resistette valorosamente per diversi giorni consentendo ai due eserciti di Ezio e di Teodorico di riunirsi nei pressi del fiume Marna. Saputo dell'avvenuto ricongiungimento Attila richiamò immediatamente le sue due ali e lasciò l'assedio di Orleans concentrando l'intero esercito nella piana dei Campi Catalaunici, l'odierna Chalons-sur-Marne. Si narra che proprio durante la ritirata da Orleans un eremita cristiano, visto Attila marciare in testa al suo esercito, si avvicinasse al re unno dicendogli: " Tu sei il flagello di Dio per il castigo dei cristiani". Attila, sempre pronto a cogliere queste opportunità di marketing, adottò prontamente quell'appellativo e con esso passò alla storia.
Il campo di battaglia scelto con oculatezza da Attila era particolarmente favorevole alle manovre della cavalleria, il nerbo dell'esercito unno. Ezio e Teodorico comandavano le ali dello schieramento romano mentre al centro era stato posto l'esercito degli Alani comandati del re Sangibano, la cui fedeltà era però dubbia. Di fronte a loro si schieravano gli unni di Attila al centro con sulle ali gli ostrogoti e i Gepidi di Ardarico.

fase1

Nelle prime ore della mattina Ezio fece occupare le colline che dominavano il campo di battaglia da una forte schiera di sagittarii (arcieri) e da altre truppe scelte conquistando così un decisivo vantaggio strategico, la possibilità di dominare il campo di battaglia. Resosi conto dell'importanza delle posizione acquisita dai romani Attila condusse una serie di furiose cariche di cavalleria con l'intendimento di riconquistare la posizione. Tutto fu inutile e le cariche vennero respinte con un consistente perdita di uomini da parte unna. L'azione degli arcieri di Ezio sarà uno dei fattori di questa battaglia anche in altre fasi dello scontro.
Ora i romani disponevano del vantaggio strategico di poter aspettare l'attacco unno da una solida posizione difensiva, mentre la grande massa di cavalleria unna aveva dalla sua parte la forza d'urto.

fase2

Attila, di solito molto deciso questa volta attese, forse quasi presagisse, da inguaribile superstizioso, la sconfitta.
Neanche il sole sorto dalle nebbie ad illuminare il campo di battaglia fece decidere uno dei due contendenti a muoversi. Ezio preferì conservare il vantaggio della sua posizione e decise di non sfruttare il sole che splendeva negli occhi del nemico.
Questa tattica attendista fu ben ripagata dal nervosismo che cominciava a diffondersi sempre più fra le truppe a cavallo unne.
L'esercito romano non era forse all'altezza dei legionari di Cesare ma certo, sia le truppe di Ezio che quelle dei due re gallo-romani Teodorico e Sangibano, sapevano come rimanere a piè fermo incuranti del caldo e del nervosismo. Fu la chiave di volta della battaglia. Come un abile giocatore che non ha fretta di prendere la decisione giusta ma attende il momento opportuno per sfruttare l'errore nemico, così Ezio e le legioni attesero che Attila facesse la prima mossa.
Alle tre del pomeriggio, finalmente col sole alle spalle, Attila decise di lanciare i suoi all'attacco.
Il tratto di terreno che separava i due schieramenti venne percorso d'un fiato dai barbari mentre i romani rinserravano i ranghi coprendosi con i larghi scudi rettangolari. Dietro questi scudi gli arcieri presero a bersagliare le schiere nemiche mietendo vittime mentre le prime linee lanciato i giavellotti contro l'avanguardia unna si disponevano a reggerne l'urto. I morti da parte unna si contavano già a centinaia.
Il cozzare delle armature dei soldati dei due eserciti fu terribile e per lungo tempo la polvere, le urla e il sangue impedirono di avere chiara la situazione. Gli unni però, perso il vantaggio della forza d'urto della cavalleria, si videro imprigionati in un corpo a corpo che premiava la pesantezza dell'equipaggiamento difensivo e offensivo romano. Questi ultimi infatti potevano disporre di corazze che coprivano tutte le parti vitali del corpo ed erano addestrati a combattere fianco a fianco come un uomo solo mentre gli unni con armature più leggere e armi meno potenti faticavano ad infliggere perdite consistenti allo schieramento di Ezio.
Visto che il centro-destra dello schieramento ben conteneva le orde unne, i Visigoti sulla sinistra si lanciarono sull'ala destra unna. Teodorico, che combatteva in testa a tutti, venne ucciso ma i Visigoti anziché sbandare dopo aver perso il loro capo raddoppiarono gli sforzi mettendo in fuga gli Ostrogoti ed attaccando sul fianco gli stessi Unni di Attila.
Rotta la foga dell'attacco unno avevano preso ad avanzare compatte ed ordinate anche le forze di Ezio ed il re unno rischiava di trovarsi accerchiato in balia del nemico. L'ala destra era stata sbaragliata e Attila, resosi conto che la battaglia era perduta, decise di radunare l'ala sinistra del suo schieramento e gli Unni rimastigli nell'accampamento per cercare di riorganizzare una difesa durante la notte.
Aspettandosi un attacco per la mattina successiva fece disporre alla meglio tutti i carri attorno all'accampamento e vi fece appostare i suoi migliori arcieri.
Aveva deciso che nessuno avrebbe potuto vantarsi di averlo preso vivo e dopo aver fatto accatastare tutte le ricchezze che aveva razziato durante la campagna vi fece disporre le mogli attorno e lui si mise in cima, pronto a darsi fuoco e morire in mezzo ai suoi uomini piuttosto che cadere in mani romane.

fase3

Quando il mattino successivo illuminò la scena dei 165.000 caduti, prevalentemente Unni, per ordine di Ezio i romani e i Visigoti non si mossero lasciando che Attila riconducesse il suo esercito sconfitto verso il suo regno.
Molto si è discusso sul perché Ezio non proseguì la battaglia. Probabilmente, oltre a voler evitare nuove ingenti perdite con l'attacco ad un campo seppur malamente fortificato, all'astuto generale romano non sfuggiva il pericolo che avrebbe corso l'esercito latino, solo un terzo delle forze di cui disponeva Ezio, nel caso che i barbari alleati si fossero accordati per tradirlo e poi per attaccarlo. Teodorico era morto infatti e il principe Torrismundo che si era distinto in battaglia ed era stato nominato suo successore sul campo poteva non essere un alleato fidato come il primo.

Gli assalti di Attila contro l'impero d'Occidente non tardarono a rinnovarsi , ma non furono mai più così pericolosi come quello che aveva minacciato l'intero Impero prima della sconfitta dei Campi Catalaunici.
Appena due anni più tardi infatti (452 d.c.) Attila scese in Italia dove saccheggiò Vicenza, Verona, Bergamo e Brescia e dove distrusse completamente, fra le altre, la fiera Aquileia che gli aveva resistito per diversi giorni.

chisa di Aquileia
Resti di una chiesa cristiana distrutta da Attila ad Aquileia.

Giunto fino a Pavia si fermò improvvisamente. Le cause non furono mai note.
C'è chi dice che superstizioso com'era non volesse procedere oltre per paura di fare la stessa fine di Alarico. Chi dice che fu l'incontro con il papa Leone I con il quale si era incontrato sulle rive del Mincio.

Attila vs. Papa Leone
L'incontro tra Attila e Papa Leone I. (dipinto di Raffaello)

Molto più probabilmente fu la notizia di due eserciti, uno raccolto da Ezio e l'altro dall'imperatore d'Oriente Marciano che marciavano verso il nord con l'intenzione di intrappolarlo che lo fecero precipitosamente abbandonare la penisola. Ritornato ad Etselenburg morì poco dopo in circostanze misteriose. Fu infatti trovato morto affogato nel proprio sangue di fianco alla giovane moglie, appena sopsata, dopo un banchetto nel quale aveva bevuto e mangiato in eccesso.
Avvelenamento? Regicidio?
Più semplicemente si trattò forse dell'ennesima, più grave emorragia di quelle che già in passato l'avevano colpito.
La fine di Attila fu anche la fine del regno Unno che si disgregò in brevissimo tempo poco dopo la morte del suo artefice.

In chiusura vale forse la pena di riportare integralmente due deliziosi brani tratti da "L'Italia dei secoli Bui" di Indro Montanelli e Robeto Gervaso:
"…Giordane ci ha lasciato testimonianza di come i Gioti videro gli Unni quando questi apparvero nei loro territori: "Quando il re Filimer" egli scrive "ebbe condotto il nostro popolo dalla Svezia in Scizia, trovò in mezzo alla popolazione del luogo certe streghe che egli scacciò per via dei loro malefizi. Esse si persero nel deserto dove incontrarono gli Spiriti del Male che errano in quei paraggi e che se le presero come concubine. Dalla loro unione nacquero gli Unni, creature giallognole di odio, piccole, ferocissime, e incapaci perfino di articolare i loro pensieri.".
Giordane, da buon goto, aveva ragione di fornire un ritratto così malevolo degli Unni: i suoi antenati erano stati, dopo gli Alani, le loro prime vittime in Europa…".
Se questa era la visione del goto Giordane, altrettanto interessante è la descrizione riportata da Ammiano Marcellino nel 395 c.d. di un ufficiale di una armata iperiale di guarnigioni in Tracia:
"…Raccontò la terrificante apparizione, sulle rive del Danubio, di certi uomini piccoli e tozzi, imberbi come eunuchi, con orribili volti i cui tratti umani sono appena riconoscibili. Piuttosto che uomini si direbbero bestie a due zampe. Portano una casacca di tela con guarnizione di gatto selvatico e pelli di capra intorno alle gambe. E sembrano incollati ai loro cavalli. Vi mangiano, vi bevono, vi dormono reclinati sulle criniere, vi trattano i loro affari, vi prendono le loro deliberazioni. Vi fanno perfino cucina, perché invece di cuocere la carne di cui si nutrono, si limitano a intiepidirla tenendola fra la coscia e la groppa del quadrupede. Non coltivano i campi e non conoscono la casa. Scendono da cavallo solo per andare a trovare le loro donne e i bambini, che seguono sui carri la loro errabonda vita di razziatori".

BIBLIOGRAFIA


"Le battaglie che fecero la storia" - E. Cecchini Mursia 1989
"L'Italia dei secoli Bui" - I.Montanelli, R.Gervaso Bur 1965
"Dizionario delle battaglie" - E.Rosati/ A.M.Carassiti Tascabili Newton 1996


SCARICA IL FILE!


Per la Vostra comodità includiamo anche una versione scaricabile di questo saggio, in formato .doc (Microsoft Word).

La battaglia dei campi Catalaunici - 95Kb


I saggi pubblicati in questo sito sono copyright dei rispettivi autori. Ne è vietata la riproduzione, anche parziale ed in qualunque forma, senza il consenso dei suddetti.