La chiesa di S. Maria è uno dei più
singolari esempi di architettura romanica costruita nel giudicato di
Arborea.
La chiesa fu costruita vicino a un
piccolo santuario altomedievale dedicato alla stessa Santa.
Agli occhi del visitatore moderno essa
si presenta in una singolare forma a tau, ma la sua attuale conformazione
è il risultato di più fasi costruttive.
Furono monaci toscani, i Camaldolesi
dell’Abbazia di S. Zeno di Pisa, a intraprendere la costruzione della
chiesa nella prima metà del XII sec., subito dopo il loro arrivo a
Bonarcado voluto del giudice arborense di allora Costantino I de Lacon
che, per favorirne l’insediamento, donò loro possedimenti e proprietà:
edifici, uomini e bestiame oltre a concedergli la competenza su altre
chiese della zona. Fu in quell’occasione che venne istituito, dallo
stesso Costantino, il così detto Condaghe di S. Maria di Bonarcado: un
registro che avrebbe da allora in poi documentato l’attività dei monaci
fino al XIII sec.
Proprio nel primo atto del codice è
documentata la donazione di Costantino all’ordine.
L’atto n.145 del Condaghe ricorda,
invece, la cerimonia di consacrazione del nuovo Tempio, che non fu quello
definitivo. Questa prima fabbrica corrispondeva, infatti, solo alla prima
metà della chiesa attuale, dall’ingresso fino al campanile: un’unica
navata oltre la quale si apriva un’abside semicircolare, come è stato
messo in luce durante i lavori di restauro del 1978. Forse anche c'era
anche un transetto.
Circa cento anni più tardi rispetto al
primitivo impianto la chiesa venne ampliata: la vecchia abside venne
eliminata e un nuovo corpo trinavato venne aggiunto a quello già
esistente.
Due epigrafi, una incisa a commemorare
l’inizio dei lavori, datata 1242 e fissata nell’angolo orientale della
navatella Sud e l’altra non più esistente ma tramandataci nel testo e
datata 1268 posta a memoria della consacrazione del nuovo corpo di
fabbrica consentono una precisa datazione dei lavori di ampliamento.
Per quanto riguarda i valori stilistici
di problematica lettura si presenta la facciata che presenta un singolare
disegno di tre grandi arcate cieche inscritte e a mezza altezza una serie
orizzontale di quattro mensole.
L’unica certezza di questa facciata è
data dal portale architravato, sormontato da arco di scarico con conci a
raggiera bicromi, che riprende un modello consueto nelle chiese romaniche
toscane ma ampliamente utilizzato anche nell’architettura religiosa
isolana.
Il corpo trinavato, quello aggiunto,
presenta invece per la prima volta in Sardegna, elementi stilistici di
marca islamica, certamente importati da maestranze iberiche: archetti
lobati sostenuti da peducci fittamante lavorati e fasce verticali, le
lesene, singolarmente lavorate e per questo chiamate lesene a soffietto o
anche a fisarmonica: invece di essere state lasciate lisce, prismatiche,
come è consueto vedere nelle architetture romaniche, qui sono state
articolate assumendo un insolito profilo a onde e zig-zag irregolari. Particolari stilistici nuovi, quindi, per l’architettura
sarda di allora ma impaginati, comunque, seguendo un disegno consueto per le chiese
romaniche isolane e direttamente dedotto dai modelli toscani. Infatti gli
archetti pensili sono sistemati a coronamento delle parti sommitali e le
fasce verticali, le lesene a soffietto, sistemate lungo i
fianchi e l’abside, scandiscono in settori regolari le pareti esterne
dell’edificio raccordandosi in sommità con archi pensili, esattamente
come si vede per esempio nel duomo di Pisa o nel S. Piero a Grado, o nella
non lontana chiesa di Santa Giusta per
citare qualche esempio tra i più noti.
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L'elemento più
singolare della chiesa è dato dalle lesene a 'soffietto' di marca
Spagnola.
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absidale
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