Ma
chi è questa combricola di rockers di Chicago dal cuore tenero?
Davvero un'altra, l'ennesima, sorpresa che la tedesca Glitterhouse ci
mette a disposizione. Look accattivante, giacca e cravatta da reveivalisti
del rock fine anni '50; un cantante (Brian Krumm) dalla voce roca
e cavernosa, qualcosa a metà strada tra il Tom Waits meno "incatramato",
Bocephus King ed il dimenticato Guy Kyser dei Thin White Rope; un suono
dannatamente rock'n'roll, che lascia però aperta la porta a diverse influenze,
creando un sound generale che sa di epicità e romanticismo, in gran parte
merito proprio della voce di Krumm. Si ritrovano cadenze da rock stradaiolo
(All I got, Lucky, Twisted sheets) paesaggi
western (Feels so good), ballate notturne con un sottile fascino
waitsiano (Half bad, Gone e la più mossa Chevy nova),
rasoiate punk rock (Bernadette, Name I don't recall) e qualche
entrata dei fiati ad arricchire un piatto gustosissimo (Don't know
who are you, Liquor park), che mostra una band versatile ma
dannatamente matura per la propria età (questo è il loro secondo lavoro
dopo The first spilled drink of the evening). Non lasciatevi spaventare
dalla varietà di umori di questo disco, solo all'apparenza dispersivo,
perché tutto suona compatto e con un filo logico, guidato da una sezione
ritmica granitica, da chitarre che sanno nello stesso tempo graffiare
ed abbasare i toni per creare atmosfere più raccolte e da una voglia di
rendere corposa, unitaria e ben distinguibile la propria proposta musicale,
che, sarà bene sottolinearlo, non è facilmente rintracciabile in altre
realtà al momento. Questa sembra essere la marcia in più dei Great
Crusades: imporsi come una rock'n'roll band con tuti i crismi, richiamare
alla mente molte esperienze del passato, ma suonare giovane e diversa
dalla normale amministrazione del rock americano di questi tempi. Una
promessa da seguire con attenzione.
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