Riusciamo
finalmente ad avere tra le mani l'ultima fatica dei Red Star Belgrade,
terza prova del gruppo di Chapell Hill, North Carolina, che tanto mi aveva
sorpreso favorevolmente in occasione della pubblicazione di End of
the Line, versione europea (era uscito su Rykodisc) e corretta
di The Fractured Hymnal, pubblicato negli States dalla piccola
ed intraprendente Checkered Past. Perdonate i tempi lunghi di ricerca
(il disco ha quasi un anno...), ma visto che RootsHighway non si prefigge
di sottostare a regole particolari di mercato, possiamo parlarne tranquillamente
in questa rubrica. Telescope ribadisce la formula sonora di Bill
Curry e Graham Harris, coppia (anche nella vita) alla guida
del progetto Red Star Belgrade: rispetto ai precedenti lavori credo ci
sia una minore sorpresa e questo gioca a sfavore del disco, il quale mantiene
comunque un suo carattere e riesce a distinguersi perfettamente dalla
massa dei prodotti di settore. Si tratta ancora una volta di uno strano
impasto tra campagna e città, tra un chitarrismo a tratti selvaggio
e figlio del punk, o forse meglio della prima stagione del post-punk californiano
d'inizio anni '80, ed un inconfondibile impronta alternative-country.
Potremmo descrivere il canto un po' sgraziato di Bill Curry come una sorta
di Lou Reed perso sulla catena degli Appalachi ed in effetti spesso il
minimalismo degli arrangiamenti richiama alcune intuizioni dei Velvet
Underground: esempi calzanti sono Dreming 'bout you, After the
revolution ed una suggestiva ballata pianistica quale Long cold
day, che a dire il vero si riaggancia soprattutto allo Steve Wynn
più soffice. A spezzare il clima in gran parte raccolto di queste
canzoni ci pensano le sfuriate elettriche della slide nella title-track,
il guitar rock di No pound e Count me out, qualche marcetta
country-rock (The bottle e la singolare cover in formato alternative-country
di Highway to hell degli AC/DC) ed un aperto omaggio ai padri putativi
dell'ultima generazione roots americana in Uncle Tupelo: titolo
inequivocabile, non c'è che dire.
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