Dipendesse
dalla mia fissazione per le copertine, che spesso attraggono l'attenzione
più di qualsiasi altra forma di pubblicità, gli HensleySturgis
avrebbero già conquistato un posto di riguardo tra le novità
dell'anno. Scavando più in profondità, ci si accorge che
Cabin Fever rispecchia fedelmente le tonalità invernali
della citata copertina, un paesaggio desolato ed innevato della campagna
dell'Ohio, loro che provengono proprio da Columbus. Il nome non è
francamente una scelta vincente in fatto di marketing, ma sappiamo bene
che nessuno si lamenterà, tanto il successo di queste band è
ridotto al lumicino. Quello che importa mettere in chiaro è che
Barry Hensley e Jason Sturgis sono l'anima della formazione,
due songwriters-chitarristi che molto democraticamente si dividono la
posta in gioco dei tredici brani presenti nel disco in questione, secondo
lavoro ad essere pubblicato sotto l'egida della Blue Rose. Assestatisi
come una vera e propria band, grazie all'aggiunta di una sezione ritmica
stabile, gli HensleySturgis non fanno che confermare le favorevoli impressioni
del loro debutto di due anni orsono (Open Lanes), senza
apportare radicali mutamenti al loro suono. Roots-rock lineare e limpido
che più "american" di così si muore, chitarre
spiegate e produzione di prima classe. Tiriamo pure in ballo i Jayhawks
(specialmente in certe ballate dai toni medi quali Heart of the past,
Bottom land o Same old story) ma non dimentichiamoci i trascorsi
dello stesso Hensley nei Big Back Forty (qualcuno se li ricorda? Un solo
disco all'attivo). Inoltre, una pedal steel avolge di tonalità
country-rock alcuni episodi, ma l'impressione è che il cuore della
band batta per il rock'n'roll (Spark in the dark, Ledge)
e per alcune ballate sostenute e chitarristiche nel segno di Tom Petty
e dei suoi migliori discepoli (Gin Blossoms?), come dimostrano Abandon
e Which William. Infine la chiusura "byrdsiana" di Hazelwoody
haze vale da sola la spesa.
www.hensleysturgis.com
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