La
conservazione della specie: incuranti di mode e mutamenti più o
meno sinceri del moderno rock'n'roll, persino di un certo affaticamento
della scena alternative-country, i June Star cospirano per un ritorno
all'essenza del genere, cercando ispirazioni, melodie ed accordi nelle
recente storia dell'era no depression. Andrew Grimm, voce
solista, autore e produttore del loro secondo lavoro, Telegraph,
non è nuovo a tali operazioni di recupero: già con il suo
principale gruppo di riferimento, i Sixty Acres, aveva guadagnato sul
campo la qualifica di esperto riverniciatore di quelle scosse country-rock
portate alla ribalta dall'asse Uncle Tupelo-Son Volt. Ed è proprio
in quel fondamentale binomio della più recente storia del rock
indipendente americano che vanno collocati i paesaggi rurali dei June
Star, le loro ciondolanti ballate roots e la voce stanca ed impastata
di Grimm stesso. La presenza della spaziale pedal steel di Eric Heywood,
lontano collaboratore dei Son Volt, non fa che avvalorare la tesi, anche
se basterebbe l'apertura di Thrown per rendersene conto: è
uno stringato sunto dell'Unlce Tupelo-pensiero, con una stridente elettricità
a coprire un brano dall'impostazione chiaramente traditional. Si prosegue
su questa nostalgica linea di pensiero, senza tuttavia destare l'impressione
di una furba ripetizione di certi schemi. Non è colpa dei June
Star se sono arrivati dopo i maestri, l'essenziale è che possiedano
canzoni degne di questo nome, e qui mi pare vadano a nozze: splendide,
in particolar modo, alcune sornione ballate country-rock quali Wedding
girl e New Jordan, intervallate da autentiche marcette roots
come Felled e Follow me, in cui l'incastro di chitarre,
banjo, mandolino, pedal steel ed armonica rappresenta la quintessenza
del genere.
www.junestar.com
www.safehouserecords.com
|