Bill
Callahan resta innegabilmente una delle voci più singolari,
scomode ed "estreme" dell'ultima generazione americana. Si divertono
a chiamarlo post-rock, visto che il suo personalissimo percorso musicale
ha preso il via nella culla del genere, ovvero la Chicago di fine anni
ottanta. Diventato presto un'icona del circuito alternativo, attraverso
la sua creatura (Smog), oggi inserita in una fantomatica parentesi,
forse per rimarcare l'understatment del personaggio, Callahan ha impresso
senza dubbio un nuovo corso al rock d'autore di questi anni. Costituisce
la punta di diamante di un'ideale traiade della "depressione"
con Will Oldham (ex Palace) e Jason Molina dei Songs:Ohia,
sovvertitori del concetto classico di tradizione; ma a differenza dei
suoi compagni d'avventura, Bill ama mettersi in gioco disco dopo disco,
senza tuttavia mutare i suoi tratti distintivi. Rain on Lens
suona irrimediabilmente Smog, in tutto e per tutto dominato dalle tipiche
atmosfere del passato, proseguendo però un discorso di ulteriore
scarnificazione della sua musica. Sono allontanate le mire pop (prendete
con le pinze questa definizione) che avvolgevano lavori come Red Apple
Falls o Knock Knock, dove la collaborazione con Jim O'Rourke (altra
icona del mondo rock alternativo) aveva segnato un periodo particolare
della sua ispirazione. Rain On Lens si sviluppa su un'ossessiva asciuttezza
folk-rock, marchiato a fuoco dal fondamentale lavoro chitarristico di
Rick Rizzo (Eleventh Dream Day). Prova ne siano l'angoscia
e la tensione dilagante nei riffs di Song e Dirty pants,
il sound più muscoloso di Short drive, il talkin'
alla Lou Reed che si affaccia in Natural decline e Keep
some steady friends around. La forza del disco risiede proprio
nell'intervallare questa inquietudine a bassa fedeltà con la fluttuante
docilità di ballate quali Live as if someone is always watching
you e la conclusiva, splendida, Revanchism, in cui spunta anche
un sax a donare nuovi colori e prospettive a questo incredibile songwriter.
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