Non
è il caso di sorprendersi di fronte alla provenienza di questa
giovane formazione, ultimo lungimirante acquisto di casa Glitterhouse:
gli Ai Phoenix sono gli ultimi testimoni, in ordine di tempo, della
vitalità della scena norvegese, mondo apparentemente isolato e
refrattario agli schiamazzi del music business ed oggi più che
mai al centro delle attenzioni di chi cerca nuova linfa per la canzone
folk più stralunata e dall'impostazione low-fi. Patrick Lundberg
e Mona Mork sono il cuore musicale della band, giunta con Lean
that Way Forever al terzo episodio della loro breve storia: il
più ambizioso ed ispirato, almeno scorgendo il tempo impiegato
nelle registrazioni (circa un anno) e le cinque differenti locations utilizzate
per l'incisione. La stampa specializzata, specie quella inglese, ha già
speso parole d'elogio e, ironia della sorte, sono inspiegabilmente divenuti
una sorta di cult-band in Grecia. Aria depressa, folk-rock a bassa fedeltà,
l'immancabile ombra di Nick Drake ed un fascinoso incastro delle voci
di Patrick e Mona. Quest'ultima è cresciuta su un isolotto di 60
anime dove insegnava ad una classe di otto fanciulli e tutta la pacifica
(forse per alcuni monotona) serenità di una simile esperienza di
vita sembra marchiare a fuoco canzoni dall'incedere languido e indolente
(splendida la cover di The song from Moulin Rouge), sussurrate
all'inverosimile (Bird whispering). Tutto si scolora nell'incastro
delle chitarre acustiche (tra le più coinvolgenti si segnala Elvis),
che conducono costantemente il songwriting assai tradizionale degli Ai
Phoenix, i quali però aggiungono intelligentemente sfumature ed
arrangiamenti tanto impercettibili quanto essenziali nel distinguere il
loro sound: per esempio l'organo minaccioso (per essere precisi si tratta
di un resuscitato moog) nella lugubre Ice-cold storm, o l'accordion
di Bosse Litzheim a donare cadenze parigine in Storyteller.
(Fabio Cerbone)
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