Old Numbers segna il promettente esordio sulla lunga distanza
per una giovane formazione di Minneapolis, dedita ad un fok-orck malinconico
e indolente. The Ashtray Hearts, nome quanto meno singolare, nascono
come trio alla fine del 2000, trasformandosi ben presto in una piccola
orchestra sospesa tra sonorità acustiche ed elettriche. Ora sono
in sette e si dividono democraticamente i compiti all'interno di una ricca
strumetazione: le linee guida vengono tracciate dalle chitarre (Dan
Richmond, anche voce solista, e Steve Yenberg), sulle quali
si innestano scarni arrangiamenti di piano ed accordion (Brad Augustine)
e qualche elegante comparsa della tromba (Aaron Schimdt) sullo
sfondo, dando forma a canzoni apparentemente minimali nella struttura,
in realtà ricche di sfumature impercettibili. L'andamento è
pigro, si respira un leggera brezza autunnale e i testi sono bozzetti
appena accennati, storie d'amore tra tormento e nostalgia. Tutto il disco
si attorciglia intorno agli stessi accordi, senza soluzione di continuità
nei dodici episodi: un persorso unico in cui la voce di Dan Richmond si
cala nel ruolo con la dovuta sofferenza, mantenendo sempre saldi i toni
della dolcezza. Stilisticamente attraversano territori di confine tra
folk-rock depresso (The One You're Closest To, Country Bar)
e dal passo rallentato (Anyone's Guess, Spain), lontano
parente di formazioni quali i Willard Grant Conspiracy, e timidi accenni
alternative-country (il banjo in Still Shaking), con rare accelerazioni
e spunti di elettricità (la splendida Queen South). Stanchi
delle solite etichette si sono cuciti addosso il termine di "apartment
music", sorta di "folk da camera": l'ascolto prolungato
di Old Numbers sembra dargli ragione, una dimostrazione del loro raffinato
talento
(Fabio Cerbone)
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