La copertina è di quelle che, se avete ancora un debole per certo
immaginario rock'n'roll tutto americano, colpisce dritto al cuore. Si
respira quell'aria blue-collar tipica di certe ballate da "backstreets",
con Springsteen nel sangue, la puzza dell'asfalto e tanta strada da percorrere.
E' tutto racchiuso nelle note di This Old World, secondo
episodio solista di Bill Toms e dei suoi Hard Rain, eroi
minori di un modo sincero e romantico di intendere il rock'n'roll, per
giunta ad alto rischio di estinzione e per questio degno di tutta la nostra
considerazione. Ovvio che Bill Toms non abbia la stoffa di un fuoriclasse
e che le sue canzoni non trasudino pathos sufficiente per competere con
i mostri sacri, ma di un chitarrista cresciuto alla scuola di Joe Grushecky
(amico di Springsteen, ma soprattutto anima rock operaia di Pittsburgh)
ci si può fidare quasi ciecamente. Per questo atmosfere e radici
sono totalmente in sintonia con quelle del suo mentore (Toms è
da anni chitarrista nella band di Grushecky): sullo sfondo le acciaierie
della capitale della Pennsylvania, storie, desideri ed amori di ordinaria
quotidianità, qualche romantica ballata al neon (Born on the
streets of heartache, springsteeniana fino al midollo, It's just
like you), intervallata a rockacci crudi e nudi (Here with you
tonight). Ogni tanto Toms prova anche a riciclarsi come folk singer
dall'animo acustico e riflessivo: purtroppo A girl like you e I'm
getting off this train aprono e chiudono la raccolta senza eccessivi
sussulti. Non è il ruolo tagliato per lui e, fatta eccezione per
una Million miles from home che sembra uscire da Wildflowers di
Tom Petty, la differenza si sente solo quando entrano in gioco le chitarre
d'appoggio di Vinnie Q ed il sax di Phil Brontz, che trasformano
What's a man to do in un rhythm'n'blues sporco e pieno di groove
come piace tanto a Keith Richards.
(Fabio Cerbone)
www.billtoms.com
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