Avevamo fatto conoscenza con questo giovane rocker di Las Vegas circa
un annetto fa, in occasione del suo debutto solista, Twisty
Town: la scena cittadina, contrariamente a quanto si possa
pensare, è molto viva e di recente ci ha regalato un buon disco
di robusto roots-rock da Mark Huff, amico dello stesso Cline. Autentico
outsider del rock provinciale più defilato, Brian esordiva con
un innocente pop-rock stradaiolo, un poco demodè nei suoni, ma
assai gradevole per gli amanti di un genere messo troppo presto in soffitta
dalle nuove generazioni. Fast Train to Brooklin mantiene
quell'impronta fuori moda negli arrangiamenti e nelle sonorità,
facendoci piombare di colpo nei primi anni '80, ma sembra svoltare decisamente
verso un pop sbarazzino, dominato da chitarra e tastiere, che perde gli
aspetti più crudi e blue-collar del passato. Scelta ancora una
volta coraggiosa, perchè in antitesi con i gusti di oggi, ma anche
controproducente nella resa finale, tanto che si fa fatica ad arrivare
fino in fondo senza sbadigli. Undici innocue canzoni, power-pop sulla
scia di Nick Lowe e Marshall Crenshaw (qualcuno se li ricorda?), melodie
frizzanti e rare impennate rock'n'roll: come anticipato, non tutto fila
per il verso giusto, qualche brano fa la figura del riempitivo (le movenze
reggea di Angel in disguise o le atmosfere old-time di Old timey#9),
tuttavia nel mucchio saltano all'occhio diversi gioiellini, testimonianza
di un talento ancora acerbo, ma di buone speranze. Per esempio l'apertura
con la beatlesiana The story of you and me, il sax e le movenze
sixties di This town, l'appeal da autentico singolo di Double
parked heart, arioso pop-rock che si guadagna facilmente la corona
di migliore episodio della raccolta. Un cambio di rotta che potrebbe dare
frutti col tempo: per il momento piace soprattutto la tenacia nel difendere
i propri gusti.
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