We Are The Boggs We Are è quello che non t'aspetteresti
da una band di New York all'esordio. Attratti più dall'America rurale
che dalla scena musicale della Grande Mela, The Boggs, con la complicità
di strumenti tradizionali, hanno costruito attorno a folk e irish music
(Whiskey And Rye, in stile Pogues) venti canzoni dal sound tradizionale
e primitivo. Non nascondo la disinvoltura con la quale Jason Friedman
(anima, chitarra e voce) & Co. si muovono attraverso suoni blues (Poor
Audrey James), ballate country (How Long?) e melodie old mainstream
(Beside The Windowsill). Rimango comunque spiazzato dalla scelta
della band di affidare il battesimo ad un album autoprodotto, registrato
con modalità alla "Basement Tapes", cioè d'istinto, quasi fosse
una jam session in qualche scantinato o cucina di provincia, e che calca
la mano su uno stile d'altri tempi, con il tentativo di riprodurre perfino
i fruscii del vinile (in Emily, O, Emily soprattutto), manco fosse
un 78 giri del '29 rispolverato di recente. Non che l'audace scelta di
regalare "New Standards" sia da bistrattare e che i ragazzi, con il passo
successivo all'abbandono degli incroci di Brooklyn, abbiano osato troppo.
Temo soltanto che la loro musica si dissolva nel nulla a causa di un mercato
che non da spazio a progetti simili se non per colonne sonore prodotte
da T-Bone Burnett. Comunque, a dispetto del giudizio, ce né fossero...
(Carlo Lancini)
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