Peter c'è riuscito un'altra volta: Ends of The Earth
non è altro che il naturale proseguimento di quel fulminante esordio,
Normal for Bridgewater, che lo aveva imposto come una specie di ultimo
salvatore della purezza alternative-country. Il dettaglio non indifferente
della vicenda è che Peter Bruntnell ha origini inglesi,
ma sembra effettivamente essere cresciuto tra le colline della Virginia,
provando a farsi beffe dei dettagli geografici e culturali. Sarà
dunque a causa di questa dualità che le sue bucoliche ballate dai
classici profumi country-rock (One Drink Away o la stessa title-track)
appaiono sospese tra la malinconia tutta anglosassone di Nick Drake, il
canto strascicato di Neil Young e le chitarre dei Replacements. Il risultato
ha ovviamente steso al tappeto gli affezionati sostenitori di quel magico
impasto tra radici e chitarre rock'n'roll messo in mostra da Son Volt
e derivati (nel caso sentirsi Tabliod Reporter o Rio Tinto).
Il raffronto con la band di Jay Farrar si intensifica anche per la presenza
di Eric Heywood (ex Son Volt, per l'appunto) alla pedal steel,
complice, con le chitarre dello stesso Bruntnell e di James Walbourne,
nel creare quelle pigre atmosfere bagnate in un limpido linguaggio rock
rurale. La differenza rispetto ai tanti mestieranti ed imitatori però
la fanno una manciata di canzoni con una personalità ben definita,
con ogni probabilità già sentite da altre parti, ma maledettamente
belle: il segreto è mischiare una sensibilità pop che solo
un english man potrebbe sfoggiare con la solitudine e gli evocativi paesaggi
roots tipici di certa provincia americana. In Ends of The Earth questo
connubio sembra essere anche più forte che in passato: più
disteso ed uniforme del precedente lavoro, scova questo legame perfetto
soprattutto quando allenta i ritmi (DownTown, Laredo Kent
e Lonesome Charlie) e rinuncia ai clichè del suono no depression.
Come si fa a resistere?
(Fabio Cerbone)
www.peterbruntnell.co.uk
www.backporchrecords.com
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