Da sempre innamorato delle radici americane, forse perchè, come
sottolinea ironicamente lo stesso Julian Dawson, ha avuto la fortuna
di nascere il 4 luglio, questo musicista di origini inglesi ha finalmente
deciso di scendere a patti con la tradizione bianca del rock'n'roll, chiedendo
un prezioso aiuto al baffuto Gene Parsons, icona del country-rock
e membro leggendario dei Byrds. Grazie al funanbolico musicista californiano
(che nel disco si diletta con chitarre, banjo, mandolini, pedal steel
e persino batteria), ed appongiandosi ad una lunga serie di amicizie maturate
durante i suoi vent'anni di carriera, fatti di continui viaggi per le
highways americane, Dawson costruisce quindici canzoni che sono piccoli
bozzetti tra country-rock, bluegrass ed ovviamente hillbilly music, rivisitati
con un gusto decisamente personale e melodico, mai sopra le righe e segnati
da una raffinatezza di interpretazione ed arrangiamento. Molti gli episodi
firmati a quattro mani con altri sconosciuti songwriters (tra gli altri
Bill Lloyd, Gene Pistilli, John e Sally Tiven), con i quali Julian condivide
intenti comuni da molti anni: Hillbilly Zen è il
suo quindicesimo lavoro, dopo aver inciso per importanti majors ed aver
maturato significative collaborazioni, un passato che testimonia le credenziali
del personaggio. Filo conduttore del disco restano le morbide sonorità
in gran parte acustiche e le atmosfere gentili di molte ballate in chiave
rootsy (Freedom of the highway, Shadow on the moon, It's
not really raining), spezzate dai vivaci ritmi bluegrass Hillbillies
on pills e Banjo song o dalle inflessioni sudiste di Loser's
blues e What kind of change, che aiutano il disco a scrollarsi
di dosso una sensazione di ripetitività a volte in agguato. Docile
e scorrevole, Hillbilly Zen è un ottimo compagno per la stagione
alle porte.
(Fabio Cerbone)
www.juliandawson.com
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