Il
nome mette già di buon umore; la foto di copertina rivela una certa
eccentricità di fondo, oltre a mostrare gusti tendenti al kitch;
la produzione è rimessa nelle mani esperte di Eric Roscoe Ambel
(il guru del roots-rock più arcigno, una garanzia) e Garden
of love parte con il piede giusto: riff dichiaratamente Stones e tanta
energia rock'n'roll mischiata ad inflessioni honky-tonk. La Demolition
String Band è tutta racchiusa in queste brevi note introduttive:
il proseguio di Pulling Up Atlantis, secondo disco per il
gruppo, operante sulla vivace scena alternative-country newyorkese, non
prevede scossoni particolari o inaspettate deviazioni di percorso, presentadosi
all'appuntamento fresco e convincente fino in fondo. Una bella sorpresa
dunque, anche se perfettamente inquadrata nei dettami del genere: la voce
ben impostata (ma non eccezionale) e l'impatto visivo di Elena Skye
fa coppia con le ottime chitarre di Boo Reiners, uno che salta
volentieri dai lidi del più classico twangy sound texano, al rock'n'roll
di Keith Richards, infilando di tanto in tanto sonorità jingle
jangle (Dress of roses, Give it to the needy). In aggiunta
lo stuolo di amici-musicisti chiamati a raccolta da Ambel fornisce nell'occasione
le giuste soluzioni per far compiere il salto di qualità all'intero
disco, una delle uscite roots-rock più spigliate degli ultimi mesi.
Sono tradizionali quanto basta (l'honky-tonk sfrenato di Gone so long
e She want outta town), ma sanno anche essere irriverenti quel
tanto da catturare un'immediata simpatia: sentire ad esempio l'azzeccata
cover in chiave bluegrass di Like a prayer (Madonna) o l'elettrica
coda finale in One shot.
(Davide Albini)
www.demolitionstringband.com
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