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Johnny Dowd - The Pawnbroker's Wife Munich 2002 1/2

Di fronte alle ispide ed oscure trame della musica di Johnny Dowd si rimane sempre spiazzati: personaggio assolutamente anarchico ed irriverente, ha esordito alla "tenera" età di cinquant'anni con un sintomatico Wrong Side of Memphis (1998), manifesto di un approccio deviato ed oltraggioso verso le sue radici sudiste (originario del Texas, ha vissuto per anni in Oklahoma). Da quel punto in poi il suo percorso musicale si è ulteriormente indurito: stabilito un fruttuoso sodalizio con la sua band, ha sporcato il suo folk-blues d'impostazione acustica con arrangiamenti ed atmosfere nere come la pece, inventandosi uno strampalato folk industriale, tra tastiere minacciose, canti sulfurei ed infernali addolciti dalla seconda, insostituibile voce di Kim Sherwood-Caso. The Pawbroker's Wife continua questo percorso, confermando pregi e difetti della formula musicale abbracciata: la produzione di Justin Asher (anche chitarrista del gruppo), oltre ai sintetizzatori ed alle batterie elettroniche di Brain Wilson feriscono meno che nel precedente, torbido Temporary Shelter (uscito giusto un anno fa), rendendo questo lavoro il più digeribile e meno contorto della sua produzione; tuttavia continua ad essere un autentico tour de force giungere in fondo ad un disco del buon Johnny senza essere assaliti da un senso di angoscia. Ironico nel proporre una versione stravolta di Jingle Bells (si, proprio la famosa canzoncina natalizia), Dowd insegue ritmiche sbilenche in On shakey ground we stand, fa il verso al Tom Waits più rumorista in Billy blu, affonda le mani nel fango del Delta-blues (King of emptiness) e ci assalta frontalmente con le scariche punk di Sweeter than honey. Niente compromessi: o lo si ama o lo si trova assolutamente insopportabile.
(Fabio Cerbone)

>>Intervista a Johnny Dowd

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