Paradossalmente Somewhere South Of Wonder, la canzone che
dà il titolo al disco, è in contrasto con la sua copertina e con il tentativo
di spiegare geo-musicalmente il prodotto ed il suo creatore. Beh, Jeff
Finlin è un personaggio curioso, controverso, dalle fattezze artistiche
bizzarre e dal cantato sgraziato, nasale e personalissimo. Ed infatti,
se il brano riflette il proprio mood in un incalzante blues metropolitano,
aggressivo, ruvido e tipicamente made in usa, la front cover raffigura
una sorta di Stonehenge, simbolo britannico, in cui i pilastri
di roccia vengono sostituiti da carcasse d'auto. Il senso di Somewhere
South Of Wonder, l'album, è tutto qui, un continuo andirivieni di melodie
diverse accompagnate da un songwriting dai dettagli rilevanti e significativi:
cosa aspettarsi da un batterista (con i Thieves di Gwil Owen) passato
con disinvoltura al cantautorato raffinato? Dunque Jeff vuole sorprendere,
vuole un suono che sia tanto tradizionalmente roots quanto innovativo
ed europeo. E qui le bizzarrie di una drum machine (per Summertime)
ad anticipare l'esplosione di fiati e rock chitarristico per una Good
Time dall'impatto frontale devastante, la slide guitar di Will
Kimbrough al servizio di Sugar Blue, un brano dal timbro simil-Ed
Harcourt, e Doug Lancio che fa il verso a Marc Ribot per la waitsiana
Which Way You Gonna Run. E poi? E poi l'Ohio e Nashville, le origini
ed il presente, escono per forza: il sound acustico di Miracle Along
The Way, il pianoforte protagonista della romantica Alchemy
e la ritmata Where Do We Go From Here. Dopo l'esordio solista per
la Little Dog di Pete Anderson (con Highway Diaries del 1997) ed
il discreto seguito ottenuto in Inghilterra all'indomani di Original
Fin (1999), ritroviamo un artista mai pago di stravaganze e dalle
spigliate doti compositive: Jeff Finlin ed il suo Somewhere South Of Wonder
difficilmente lasceranno delusi ed indifferenti
(Carlo Lancini)
www.jefffinlinonline.co.uk/
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