In
un costante processo di scarnificazione di quell'inconfondibile linguaggio
musicale che li contraddistingue fin dagli esordi, i Sixteen
Horsepower sembrano inseguire un'evoluzione artistica assai simile
ad uno dei loro maggiori ispiratori, Nick Cave. Anche la creatura musicale
del fosco David Eugene Edwards stempera nel tempo le spigolosità
del proprio suono, diminuisce il tasso di elettricità dirompente
e perde sensibilmente anche quella forte impronta rurale che marchiava
a fuoco i primi due lavori. Le radici della folk music sono sempre ossesivamente
al centro dei loro interessi, e non poteva essere altrimenti in un disco
magistralmente intitolato Folklore, ma il tutto è
attraversato da un profondo senso di eleganza, tutto è avvolto
da un affascinante velo di mistica religiosità. Sono queste le
immagini, meno ispide che in passato, che evocano canzoni dall'incedere
sontuoso: l'irruenza indiavolata messa in mostra agli esordi oggi viene
placata e ricondotta all'interno di ballate eteree (Horse Head Fiddle,
Beyond The Pale, una Blessed Persitance che odora della
new-wave più cupa), in cui guidano le danze le chitarre acustiche,
il piano e la minacciosa presenza del cello. Questo non significa affatto
che la band abbia abbandonato quella sacra missione di riscoperta del
"folklore", perchè qui più che mai i fantasmi
dei Sixteen Horsepower si materializzano: nelle cover di Single Girl
della Carter Family (pura ed incontaminata come ogni ballata dei tempi
andati), di Alone and Forsaken di Hank Williams (più nera
ed angosciata che mai), nel traditional Sinnerman (una preghiera).
Ma il Folklore della band non è a senso unico. L'America è
frutto di mescolanze culturali e radici musicali che vengono da lontano
e covano sotto le ceneri: da qui la rivisitazione di un brano della tradizione
ungherese (Outlaw Song) e la conclusiva mazurka, in lingua francese,
di La Robe a Parasol. Folk music totale e magnificamente classica
quanto quella dei suoi antenati.
(Fabio Cerbone)
www.16horsepower.net
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