Dal
Canada: The
Guthries
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L'omonimo secondo episodio dei Guthries prova a scrollarsi di dosso
i facili accostamenti con le icone del suono alternative-country: come
intelligentemente suggeriscono le stesse note biografiche della band,
le suggestioni richiamate dalla loro musica sono assai più variopinte.
The Guthries si avventura in una commistione di radici
country&western ed arrangiamenti solari, divagazioni pop, echi beatlesiani,
con l'aggiunta di un'intera sezione d'archi in appoggio e qualche fiato
a spingere in direzioni nuove. Li hanno tacciati come cloni dei primi
Jayhawks, e l'influenza è palese nell'apertura di Terrible Thing,
ma scorre ben altro nella testa di Dale Murray e Ruth Minnikin,
principali autori del quintetto. Il primo cala le vere carte vincenti,
mostrando il volto più fantasioso della formazione, che si palesa
in deliziose ballate in bilico tra tradizione roots e sapori pop (The
Ballad of Buck Steel, We Know What We're Doing, The Melodies
You Bring). Chitarre cristalline, richiami sixties ed arrangaimenti
eleganti si impastano in un sound
scintillante e leggero (Lost You in The Fog). Per contro la pigra
vocalità della Minnikin si adatta a ballate sornione quali Careful
Love e la roots oriented I Will Forget, con una menzione speciale
per la splendida Leave Me in Montgomery, che sposta il baricentro
verso sonorità vicine alle intuizioni della Band, altro punto di
riferimento imprescindibile. La dipartita del membro originario Matt Mays
ha sciolto non poco gli influssi tipicamente alt-country, ora ripresi
per mano dall'entrata come autore del fratello di Ruth, Gabriel Minnikin,
voce baritonale e influssi honky-tonk in Missing Hatt e Willin'
and Able. Si tratta di simpatici siparietti tradizionali e nulla più,
in realtà assolutamente fuori luogo nel nuovo corso della band.
L'anima dei Guthries sembra esprimersi al meglio quando si allontana dai
vecchi schemi di genere: li invitiamo a proseguire nel cammino per non
perdersi nel mucchio |
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Il debutto di questa giovane band canadese, originaria della Nova Scotia,
ha il gusto delle piccole cose preziose e non stupisce più di tanto
che si sia fatto notare da gran parte della critica: le lodi tributate
in particolar modo dalla stampa inglese (le prestigiose Mojo, Uncut, Q
tra le tante) hanno contribuito a rendere il nome dei Guthries
una sorta di culto tra gli irriducibili estimatori della purezza alternative-country.
Quella che si respira in Off Windmill è a tutti gli
effetti un'atmosfera di recupero delle origini: gli accostamenti nobili
ai primi Jayhwaks e Wilco sono senz'altro giustificati, nonostante il
disco contenga una gamma di ispirazioni persino più antiche, rintracciabili
nell'era pioneristica del country-rock (Flying Burrito Bros e Gram Parsons
in primo luogo) e in quel 'magico impasto roots che caratterizzava la
Band. Paragoni nobili e pesanti, da prendere evidentemente come sintomo
di un'appartenenza comune. Off Windmill è un disco di una freschezza
incredibile, nonostante non aggiunga nulla di nuovo al genere: strumentazione
elettro-acustica, chitarre incrociate a mandolini, banjo e pedal steel,
ottimi impasti vocali, melodia in primo piano. Sei gli elementi originari
del gruppo, con due coppie di fratelli (Murray e Minnikin) tra cui si
distinguono tre autori: da un parte Ruth Minnikin, voce femminile
impegnata sul versante di flebili ballate folk come Deep Blue,
dall'altra Dale Murray e Matt Mays, ambasciatori del linguaggio
alternative-country (l'elettrica Suited e Left on Pages
sulla scia del Neil Young storico). Mays abbandonerà in seguito
la band, lasciando tuttavia in eredità autentici gioielli quali
Better part of an Hour (praticamente una sorta di outtake di Hollywood
Town Hall dei Jayhwaks) e Rhubarb Pie. |