La copertina rimanda sottilmente ad uno chansonnier folk degli anni sessanta,
magari in pianta stabile nel Village di New York, un bianco e nero un
poco fuori moda che tradisce sulla reale collocazione temporale di Every
Reason That Doesn't Matter. Si tratta in verità del terzo
lavoro per Fred Haring, songwriter dalle buone quotazioni originario
di Columbus, Ohio, al secondo tentativo in casa Blue Rose. L'esordio in
terra tedesca, This
Grande Parade, ci aveva mostrato un outsider di provincia ancora
sulla via della maturazione, indeciso se abbracciare l'estetica del classico
rocker provinciale o quella più pacifica del folksinger dall'animo
introspettivo. Il nuovo corso non sembra aver operato quella precisa scelta
che ci saremmo attesi, ma l'abbandono in fase produttiva dell'amico Dan
Baird (comunque presente in studio al banjo) ha attenuato gli accenti
roots, favorendo il timbro urbano, finanche pop del personaggio. L'impasto
tra melodia e chitarre elettriche (quelle di Mike Jackson e Andy
Harrison) sposta la sua classica scrittura d'impostazione folk (tra
spicciola poesia provinciale e meditazioni personali) verso un pop-rock
sostenuto (Murder by Ballpoint Ben, la verve tutta rock'n'roll
di I Remember When), infarcito di ballate cristalline (I Just
had the Worst Day of My Life non avrebbe stonato nel repertorio dei
Cracker) ed un sound di derivazione Byrds (le scintillanti chitarre in
This Glorious Gamble). Paradossalmente sono proprio i momenti di
classica impostrazione cantautorale a creare una sensazione di stanchezza:
a volte eccessivamente stucchevoli (la pianistica Maybe You'd Come
Along) e troppo appesantiti dall'utilizzo degli archi di Teresa
Fyffe (il finale di Patience Poems and Wine), riportano Fred
Haring al dilemma di una scelta di campo più precisa. In ogni caso,
un altro giovane autore da seguire.
(Fabio Cerbone)
www.fredharing.com
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