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Fred Haring - Every Reason that Doesn't Matter Blue Rose 2002

La copertina rimanda sottilmente ad uno chansonnier folk degli anni sessanta, magari in pianta stabile nel Village di New York, un bianco e nero un poco fuori moda che tradisce sulla reale collocazione temporale di Every Reason That Doesn't Matter. Si tratta in verità del terzo lavoro per Fred Haring, songwriter dalle buone quotazioni originario di Columbus, Ohio, al secondo tentativo in casa Blue Rose. L'esordio in terra tedesca, This Grande Parade, ci aveva mostrato un outsider di provincia ancora sulla via della maturazione, indeciso se abbracciare l'estetica del classico rocker provinciale o quella più pacifica del folksinger dall'animo introspettivo. Il nuovo corso non sembra aver operato quella precisa scelta che ci saremmo attesi, ma l'abbandono in fase produttiva dell'amico Dan Baird (comunque presente in studio al banjo) ha attenuato gli accenti roots, favorendo il timbro urbano, finanche pop del personaggio. L'impasto tra melodia e chitarre elettriche (quelle di Mike Jackson e Andy Harrison) sposta la sua classica scrittura d'impostazione folk (tra spicciola poesia provinciale e meditazioni personali) verso un pop-rock sostenuto (Murder by Ballpoint Ben, la verve tutta rock'n'roll di I Remember When), infarcito di ballate cristalline (I Just had the Worst Day of My Life non avrebbe stonato nel repertorio dei Cracker) ed un sound di derivazione Byrds (le scintillanti chitarre in This Glorious Gamble). Paradossalmente sono proprio i momenti di classica impostrazione cantautorale a creare una sensazione di stanchezza: a volte eccessivamente stucchevoli (la pianistica Maybe You'd Come Along) e troppo appesantiti dall'utilizzo degli archi di Teresa Fyffe (il finale di Patience Poems and Wine), riportano Fred Haring al dilemma di una scelta di campo più precisa. In ogni caso, un altro giovane autore da seguire.
(Fabio Cerbone)

www.fredharing.com