Trattiamo con colpevole ritardo la nuova fatica dei Bellwether,
disco dagli umori assai poco concilianti con la stagione primaverile alle
porte. Sono una delle formazioni più longeve ed ispirate del circuito
alternative-country, soprattutto una delle poche band del genere ancora
in grado di affascinare e conquistare l'ascoltatore con scarne e crepuscolari
ballate roots, senza apparire per nulla derivativi. Infatti, se nel passato
i punti di riferimento imprescindibili per il loro melodico roots-rock
erano i Jayhawks degli esordi o gli Wilco più rurali, Home
Late, pur mantenendo quelle inconfindibili atmosfere crepuscolari
rivelate nei precedenti lavori (molto bello il precedente, omonimo
disco del 2000), accentua a dismisura le tonalità invernali, ispide
delle ballate di Eric Luoma, artefice principale del progetto Bellwether.
E' un disco intensamente dominato dalle chitarre acustiche, dal violino,
da una batteria flebile appena acennata (il nuovo arrivato Mick Wirtz)
e dalla pedal steel del bravo Eric Heywood (già con Son
Volt e Richard Buckner), che si posiziona idealmente al fianco degli Uncle
Tupelo più incupiti e dei Son Volt più depressi (quelli
del secondo disco Straightaways). La ballata pigra e ciondolante regna
incontrastata e la voce melodiosa di Luoma va a nozze: radici folk appalachiane,
il Neil Young più assonnato, che si incrociano con il consolidato
verbo alternative-country per dare vita a piccoli gioielli quali Dim
light, Afterthoughts e Sugar moon, un trittico iniziale
che ti scalda l'anima come una soffice coperta. Assolutamente omogeneo
nelle atmosfere, fin quasi intransigente, Home Late non è di sicuro
un disco per tutte le stagioni e per tutti gli umori: occorre predisporsi
ad un breve ed intensa pausa malinconica, solo allora Crooked heart
o la letargica The lake potrebbero non mollare più la presa
dal vostro cuore.
(Fabio Cerbone)
www.bellwethertheband.com
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