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Beth Orton - Daybreaker Astralwerks 2002 1/2

Non c'è che dire, Beth Orton ha agganciato il treno fortunato. Daybreaker è il disco del momento (trendy, si direbbe oggi), e lei la voce femminile più autorevole e chiacchierata del moderno songwriting. Una maturazione costante, una crescita ed un assestamento dei propri gusti musicali continuo, che conduce le certezze dei precedenti Trailer Park e Central Reservation verso i lidi dorati di un folk-pop che non può non conquistare i palati più esigenti. Seducente, adorabile, delizioso, sono gli aggettivi scomodati per l'occasione: il senso è quello di racchiudere l'impalpabile eleganza di un folk-rock un poco futurista, che mischia un suono acustico assai tradizionale (qualcosa che vaga tra John Martyn e Linda Thompson) con i trucchi dell'elettronica più alla moda (i Chemical Brothers che sperimentano nella title-track) e le malizie pop che garantiscono l'accogliemto nei circuiti radiofonici. Qualche illustrre ospite accresce la curiosità (prezzemolino Ryan Adams e sua signora del country Emmylou Harris in God Song) ed il gioco è fatto. Beth Orton non ha bisogno di spinte eccessive, non fraintendete: il talento c'è e si sente, come del resto una voce inconfondibile, ma resta il fatto che le troppe distrazioni elencate distolgono l'attenzione dal vero contenuto di queste canzoni, che non sono, va detto sinceramente, un autentico capolavoro. Hanno grazia da vendere (Concrete Sky è un singolo di prima classe), una malinconia di fondo coinvolgente (Carmella, This One's Gonna Bruise), ma risultano spesso algide nei loro arrangiamenti (la pomposa Paris Train), e parecchio tediose nello svolgimento (Mount Washington). Brava si, ma forse non sarebbe meglio ridimensionare il personaggio?
(Fabio Cerbone)

bethorton.astralwerks.com