Se anche Dr. John, il papa bianco di New Orleans, si dice soddisfatto
del bizzarro incontro tra l'originario europeo Anders Osborne (ormai
adottato dalla Big Easy) e il grande e coloratissimo capo indiano Monk
Boudreaux, un motivo ci sarà. Anzi, anche più di uno: Bury The
Hatchet (un titolo che di questi tempi non può che far bene) è
un disco ricchissimo di suoni e di intuizioni musicali che, pur rimandando
alle tradizioni del Mardi Gras o delle mille spezie del gumbo della Louisiana,
trova una sua particolare originalità. Il punto di partenza consigliato
è un'ispiratissima versione di Junko Partner, un classico che Anders
Osborne e Big Chief Monk Boudreaux rivedono con un'intensità ritmica tutta
da scoprire, mostrando quanto le radici del rock'n'roll si intersechino
tra loro. Il capolinea è invece la spiritata versione di Ohio (Neil
Young) che, a prima vista, potrebbe suonare un po' fuori posto, ma che
diventa una splendida ballata acustica, intorbidita dalle percussioni
indiane del grande capo. Da un insolito incontro (perché sugli europei
e sugli indiani a New Orleans non basterebbe un'enciclopedia) un grande
disco, reso tale anche da un combo di musicisti speciali: tra gli altri,
Tim Green ai sassofoni, Kirk Joseph (già nella Dirty Dozen
Brass Band) alla tuba per finire con Brian Stoltz alla chitarra.
Se ai bei tempi suonava con i Neville Brothers e oggi invece si divide
gli accordi con Anders Osborne, come si diceva, un motivo ci sarà.
(Marco Denti)
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