Sky
Like a Broken Clock (2001) ha rappresentato
uno spartiacque decisivo nella carriera di Kelly Joe Phelps, cambiando
sensibilmente il suo approccio asciutto e spartano alla materia folk-blues:
fino ad allora sublime interprete di un primordiale blues acustico (solo
la sua voce ed una chitarra celestiale) intriso degli spiriti del Delta,
con il nuovo corso Kelly accentuava alcune caratteristiche prima represse
nel suo sound, diventando in definitiva songwriter a tutto tondo, con
l'apporto fondamentale di una band alle spalle. Esplodeva il suo amore
per le strutture armoniche del jazz, per gli aspetti più cantautorali
della sua musica, in un disco forse parzialmente irrisolto, ma coraggioso.
Questo ep molto sostanzioso (sei canzoni per trenta minuti abbondanti
di musica) rappresenta un'appendice affascinante ed un'ipoteca sul suo
futuro, segno che la nuova strada imboccata darà presto grandi
frutti. Uno solo il brano già edito, la versione iniziale di Beggar's
Oil dal precedente lavoro di studio (poi ripresa in una veste più
eccentrica e altrettanto efficace), ed altre mirabili chicche scovate
nei cassetti delle sessioni di Sky Like a Broken Clock: a giudicare dal
materiale scartato, l'ispirazione non manca di certo a Phelps. Come altrimenti
si potrebbe spiegare l'esclusione dei sette spaziali minuti di Frankenstein
Party of Three: Your Table Is (un titolo da oscar), un contorto, oscuro
blues da lupo mannaro che è semplicemente un capolavoro di equilibri
tra voce e chitarra. Tommy ritorna sui passi del soffice folksinger,
mentre Don Quixote's Windmill è un tour de force chitarristico
entusiasmante, con un fingerpicking magistrale ed un elegante tappeto
dell'organo di Tom West. Nota a parte per l'esecuzione live di Lass
of Loch Royale: da lacrime agli occhi, con un tocco alla slide che
piacerebbe tanto a Ry Cooder.
(Tommason Piccoli)
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