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Stan Ridgway - Holiday in Dirt New West 2002 1/2

Tra i più acuti alchimisti dei suoni della frontiera, Stan Ridgway resta uno dei songwriters più geniali ed ignorati degli ultimi anni, un autore singolarissimo, che è riuscito nel difficile compito di rendere uniche ed affascinanti le sonorità del deserto, partendo dalla tradizione country e rock'n'roll, per delineare un suono sintetico e moderno, infarcito di un armamentario di tastiere e batterie elettroniche. I puristi storceranno il naso, troveranno indigeste le sue elecubrazioni elettroniche, eppure Stan, a partire dalla ormai lontana avventura con i Wall of Voodoo alla fine dei settanta, ha incarnato un progetto singolarissimo, assolutamente originale, nato dalle ceneri della scena punk e finito diritto tra le realtà più eccitanti della new-wave americana. Holiday in Dirt non è il suo nuovo solista, ma potrebbe benissimo essere considerato in tali termini, tale è la coesione e la forza del materiale raccolto. In realtà si tratta di "scarti" ed inediti di studio dei suoi ultimi dieci anni di carriera, non rietrati per vari motivi nei suoi ultimi dischi, tra cui ricordiamo Black Diamond del 96, praticamente un capolavoro. Ci si accorge dunque della precisa identità di questi brani, che vanno a formare un disco completo a tutti gli effetti: è il solito, ammaliante Stan Ridgway con il suo inconfondibile taglio cinematografico per una ipotetica colonna sonora di un b-movies poliziesco sulle strade della California. Radici country (Floundering e l'acistica Act of Faith) e border songs riadattate ai suoi gusti (Time inside), rivisitazioni e stravolgimenti del suo passato punk e garage-rock (After the storm), in uno scenario apocalittico. Basterebbero le mirabili movenze notturne di Operator help me ed il robusto rock'n'roll di End of the line per garantirne l'imperitura gloria.
(Fabio Cerbone)

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