Aria
di California "acida" e flower-power tra le note del secondo
lavoro dei losangelini Beachwood Sparks. Sono stati definiti tra
le band rivelazione del circuito alternative-country per il 2001,
tanto da raccogliere valanghe di critiche entusiastiche sia in patria
che in terra anglosassone, dove si fa un gran parlare a proposito del
loro passionale ed integerrimo revival della prima indimenticata stagione
del country-rock. Tornano prepotentemente alla ribalta le ombre della
west-coast, del country cosmico di Gram Parsons nella sua prima incarnazione
con i Byrds di Sweetheart of the Rodeo, dei Buffalo Springfield
e di tutto quel movimento ricco di innocenza e ideali. Questi ultimi sono
con ogni probabilità morti e sepolti, o se non altro messi in un
cassetto, ma Chris Gunst, Dave Scher, Aaron Sperske
e Brent Radermaker si preoccupano soprattutto di resuscitare
il clima sonoro di quell'epoca attraverso canzoni nel loro "sottogenere"
semplicemente perfette, il cui unico difetto, o il vero grande pregio,
a seconda dei punti di vista, resta il completo asservimento ad uno stile
ben canonizzato. Diffcile insomma scovare nei Beachwood Sparks e nel loro
space-rock tinto di country rurale (Confusion is nothing new e
Yer selfish ways farebbero un figurone su Younger than Yesterday
dei Byrds) i nuovi profeti di una scena, quella alternative-country appunto,
a cui non mi pare si possano in realtà facilmente accostare. Once
We Were Trees, con i suoi celestiali cori sixties (The sun
surrounds me), le squillanti chitarre jingle jangle (You take the
gold), le digressioni rootsy con tanto di armonica e banjo (Hearts
mend, The hustler) rappresenta davvero un universo parallelo
e del tutto non allineato. Questo è con ogni probabilità
il loro punto di forza, unito comunque a capacità tecniche e di
scrittura non comuni, quasi maniacali nel riprodurre il fascino di un'epoca
che si credeva sepolta nella polvere dei ricordi.
www.beachwoodsparks.com
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